190 - VITA Prima marcia in India, in Usa pro-choice all’attacco
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Cominciamo dalle buone notizie: in India, a Nuova Delhi per la precisione, lo scorso 10 agosto si è svolta con successo la prima marcia nazionale per la Vita, partecipatissima e...
show moreNel corso del rilevante evento sono stati ricordati i milioni di bambini uccisi nel Paese negli ultimi cinquant’anni, 51 per la precisione, da quando cioè è stata introdotta la legge che ha malauguratamente legalizzato l’aborto, legge risalente per l’appunto al 1971. L’arcivescovo di rito siro-malabarese Kuriakose Bharanikulangara della Diocesi di Faridabad ha evidenziato come ogni anno in India siano stati compiuti circa 15,6 milioni di aborti, per giungere oggi ad un tragico totale di circa 800 milioni di bambini uccisi nel grembo materno: un’ecatombe…
Era presente alla grande marcia anche il vescovo Deepak Valerian Tauro, ausiliario dell’arcidiocesi di Delhi e presidente della Commissione per la Vita. Per i bimbi abortiti le campane sono suonate a morto dopo la S. Messa celebrata nella cattedrale, Messa che ha concluso ufficialmente la marcia.
Purtroppo però alle buone notizie fan da contrappeso anche questa volta le cattive: nello Utah un giudice, Andrew Stone, recependo le proteste della multinazionale dell’aborto Planned Parenthood, non ha esitato ad infischiarsene della decisione, con cui la Corte Suprema americana ha rovesciato la sentenza Roe contro Wade ed ha restituito ai singoli Stati la possibilità di legiferare in materia: pertanto, il giudice ha bloccato in via preliminare l’entrata in vigore della normativa pro-life. Contro l’arroganza di tale veto il procuratore generale, Sean Reyes, si è detto pronto a battersi con fermezza in tribunale per far rispettare una legge, che intende tutelare la vita dei bambini non ancora nati. A suo giudizio, «la corte distrettuale ha abusato della propria discrezionalità» e la sua sentenza dovrebbe essere pertanto annullata.
Lo Utah è stato uno dei primi Stati a vietare l’aborto dopo la citata sentenza della Corte Suprema, varando una legge pro-life regolarmente firmata dal governatore repubblicano Gary Herbert ed ora in vigore. Tale normativa, che proibisce l’aborto, pone peraltro anche alcune eccezioni come quella relativa ai casi di stupro, di incesto, l’eventuale disabilità del figlio o una situazione di pericolo per la vita della madre. Non solo: a breve, sempre nello Utah, dovrebbe entrare in vigore ed avere pieno effetto anche una seconda legge, la Down Syndrome Abortion Non-Discrimination Act, firmata sempre dal governatore Herbert, con cui si vieta di abortire i bimbi affetti da sindrome di Down.
Dal pubblico al privato, la lotta per la vita non conosce tregua: secondo quanto riferito dall’agenzia francese Médias-Presse-Info, negli Stati Uniti alcune grandi aziende come Amazon e la Apple, sempre dopo la sentenza della Corte Suprema, si sarebbero immediatamente rese disponibili a farsi carico di coprire tutte le spese alle proprie dipendenti, decise ad abortire ma che vivano in Stati ove ciò sia tornato illegale, per consentire loro di recarsi invece in altri ove sia ancora permesso. Tutto spesato, fino ad un tetto massimo di 4 mila dollari.
Non si è fatta pertanto attendere la risposta di diverse sigle pro-life, che hanno lanciato una riuscita campagna di sensibilizzazione via social, invitando tutti gli aderenti a postare una propria foto con un cartello, che recita: «Amazon e Apple, smettete di finanziare l’industria dell’aborto #BoycottAmazon».
La battaglia per la Vita continua: quanto accaduto nelle poche settimane, in cui è entrata in vigore la sentenza della Corte Suprema americana, dimostra l’importanza di mantenersi informati e d’esser sempre ben desti e pronti a reagire a qualsiasi abuso compiuto, diversamente destinato a tradursi purtroppo in vite umane spezzate nel grembo materno.
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