Archeozoologia II
Dec 16, 2020 ·
5m 19s
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Description
Da tempo, in alcune università, la preparazione dei giovani archeologi ha iniziato a comprendere nozioni di archeologia ambientale e tecniche di recupero di reperti naturalistici, per cui la distanza fra...
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Da tempo, in alcune università, la preparazione dei giovani archeologi ha iniziato a comprendere nozioni di archeologia ambientale e tecniche di recupero di reperti naturalistici, per cui la distanza fra archeologi e specialisti si va colmando. Sui cantieri di scavo sta quindi diventando una pratica comune raccogliere tutte le ossa, anche i frammenti più piccoli. In particolari situazioni, ad esempio accumuli di scarti di cibo, il deposito viene anche setacciato per recuperare le ossa più piccole, ad esempio di uccelli e pesci. Le ossa in connessione anatomiche e gli scheletri completi vengono tenuti in associazione, perché possono fornire informazioni diverse dalle ossa sparse.
Per la conservazione, le ossa vengono pulite con spazzolino a secco, più di rado lavate perché possono disgregarsi; in casi di particolare fragilità si fa uso di un consolidante acrilico, lasciando un campione non trattato per le analisi di laboratorio; solo quando sono perfettamente asciutte, le ossa vengono chiuse in sacchetti di plastica corredati dalle indicazioni di scavo.
I resti faunistici
In laboratorio si procede inizialmente separando le ossa e i frammenti identificabili e dividendo ulteriormente i due gruppi in grandi, medi e piccoli animali. Ossa non identificabili sono presenti in ogni campione, sia pure in percentuale variabile. In genere, un’accentuata frammentarietà diminuisce la possibilità di identificazione; in tal caso è importante capire a che cosa vada attribuito lo stato di conservazione delle ossa, se ad aspetti legati all’alimentazione e all’economia (rottura per l’asportazione del midollo o per ricavare strumenti) o alla funzione del luogo di ritrovamento (battuto pavimentale, accumulo di scarti di officina).
Alcuni tipi di ossa, quali le costole o le vertebre, risultano comunque di difficile attribuzione e allo stesso modo le ossa di specie dallo scheletro molto simile, come la pecora e la capra.
Un’altra difficoltà si pone, soprattutto nel caso di materiale frammentario, nel riconoscimento di una specie domestica dal corrispondente selvatico, come ad esempio fra maiale e cinghiale, e fra Bos primigenius e Bos taurus.
Identificate le diverse specie, sia pure con le limitazioni appena descritte, si passa al calcolo delle percentuali di presenza. Questa è un’operazione particolarmente delicata, perché il semplice conteggio delle ossa e dei frammenti presenti non è immediatamente rappresentativo del numero degli individui a cui quelle ossa erano pertinenti.
Il campione è infatti il risultato di vari eventi che hanno selezionato le ossa, che si distribuiscono nel tempo (trattamento e utilizzazione dello scheletro prima del seppellimento, natura del terreno di giacitura, accuratezza nello scavo), mentre un’altra fonte di distorsione dei dati è legata al fatto che le ossa di certi animali, anche se in frammenti, sono più riconoscibili di altre. Il sistema di calcolo più semplice, che considera ogni frammento come appartenente ad un individuo diverso, deve perciò essere corretto, valutando l’importanza dei vari fattori che possono aver influenzato la composizione del campione. Alcuni archeozoologi preferiscono un tipo di calcolo diverso, detto del “numero minimo degli individui”. Anche questo sistema presenta inconvenienti: è troppo soggettivo e tende a sopravvalutare la presenza delle specie rare a danno di quelle più comuni. Se infatti una specie è rappresentata da un unico osso o da poche ossa, il numero minimo degli individui e il numero dei resti coincidono o sono molto vicini; invece, quanto più è alto il numero delle ossa di una singola specie tanto più i due dati divergono. In conclusione, è ben difficile calcolare il numero reale degli individui a cui si riferiscono le ossa di un campione, e considerando che in genere le elaborazioni statistiche si basano sulle proporzioni tra le ossa e non sulle cifre assolute e tanto meno sul numero minimo di individui, mancando un accordo generale fra gli studiosi sul metodo di quantificazione, è necessario ricorrere a vari tipi di calcolo
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Per la conservazione, le ossa vengono pulite con spazzolino a secco, più di rado lavate perché possono disgregarsi; in casi di particolare fragilità si fa uso di un consolidante acrilico, lasciando un campione non trattato per le analisi di laboratorio; solo quando sono perfettamente asciutte, le ossa vengono chiuse in sacchetti di plastica corredati dalle indicazioni di scavo.
I resti faunistici
In laboratorio si procede inizialmente separando le ossa e i frammenti identificabili e dividendo ulteriormente i due gruppi in grandi, medi e piccoli animali. Ossa non identificabili sono presenti in ogni campione, sia pure in percentuale variabile. In genere, un’accentuata frammentarietà diminuisce la possibilità di identificazione; in tal caso è importante capire a che cosa vada attribuito lo stato di conservazione delle ossa, se ad aspetti legati all’alimentazione e all’economia (rottura per l’asportazione del midollo o per ricavare strumenti) o alla funzione del luogo di ritrovamento (battuto pavimentale, accumulo di scarti di officina).
Alcuni tipi di ossa, quali le costole o le vertebre, risultano comunque di difficile attribuzione e allo stesso modo le ossa di specie dallo scheletro molto simile, come la pecora e la capra.
Un’altra difficoltà si pone, soprattutto nel caso di materiale frammentario, nel riconoscimento di una specie domestica dal corrispondente selvatico, come ad esempio fra maiale e cinghiale, e fra Bos primigenius e Bos taurus.
Identificate le diverse specie, sia pure con le limitazioni appena descritte, si passa al calcolo delle percentuali di presenza. Questa è un’operazione particolarmente delicata, perché il semplice conteggio delle ossa e dei frammenti presenti non è immediatamente rappresentativo del numero degli individui a cui quelle ossa erano pertinenti.
Il campione è infatti il risultato di vari eventi che hanno selezionato le ossa, che si distribuiscono nel tempo (trattamento e utilizzazione dello scheletro prima del seppellimento, natura del terreno di giacitura, accuratezza nello scavo), mentre un’altra fonte di distorsione dei dati è legata al fatto che le ossa di certi animali, anche se in frammenti, sono più riconoscibili di altre. Il sistema di calcolo più semplice, che considera ogni frammento come appartenente ad un individuo diverso, deve perciò essere corretto, valutando l’importanza dei vari fattori che possono aver influenzato la composizione del campione. Alcuni archeozoologi preferiscono un tipo di calcolo diverso, detto del “numero minimo degli individui”. Anche questo sistema presenta inconvenienti: è troppo soggettivo e tende a sopravvalutare la presenza delle specie rare a danno di quelle più comuni. Se infatti una specie è rappresentata da un unico osso o da poche ossa, il numero minimo degli individui e il numero dei resti coincidono o sono molto vicini; invece, quanto più è alto il numero delle ossa di una singola specie tanto più i due dati divergono. In conclusione, è ben difficile calcolare il numero reale degli individui a cui si riferiscono le ossa di un campione, e considerando che in genere le elaborazioni statistiche si basano sulle proporzioni tra le ossa e non sulle cifre assolute e tanto meno sul numero minimo di individui, mancando un accordo generale fra gli studiosi sul metodo di quantificazione, è necessario ricorrere a vari tipi di calcolo
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