Dormi sepolto in un campo di grano
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https://ogzero.org/studium/siamo-gia-oltre-la-globalizzazione-tra-fake-e-smart/ Sulla scorta della proverbiale definizione di “granaio del mondo” l’Occidente sta attribuendo integralmente alla guerra in Ucraina la responsabilità della fame che si sta annunciando per carenza di grano...
show moreSulla scorta della proverbiale definizione di “granaio del mondo” l’Occidente sta attribuendo integralmente alla guerra in Ucraina la responsabilità della fame che si sta annunciando per carenza di grano (ma non si parla del fatto che la Russia è il maggior esportatore di fertilizzanti), senza considerare che il prezzo dei cereali era già in aumento prima del 24 febbraio e che sono periodiche le rivolte del pane (anche dopo il 2011 dei gelsomini).
La guerra è stata solo il la ciliegina su una torta immangiabile per i 20 milioni di potenziali morti per fame che la contingenza può creare e i due autocrati di Astana si stanno mettendo d’accordo anche in questo caso per spartirsi guadagni e prestigio nei paesi africani sbloccando la situazione del Mar Nero con il blocco delle tonnellate di grano ammassato nei silos ucraini che rappresentano comunque soltanto l’8 per cento del prodotto annuale mondiale. Un’arma ibrida come le bombe di migranti gettate ai confini, che si produrranno anche attraverso questa nuova fame indotta dalla guerra sarmatica. Ma non solo: Alfredo Somoza ha colto i vari collegamenti che portano alle scelte strategiche dei singoli stati vincolati in qualche modo ai prodotti russi (per esempio il Brasile) e il ritorno d’immagine per i popoli affamati in Africa che si troveranno a ringraziare i garanti russo-turchi delle forniture alimentari che sono i responsabili dell’improvvisa carenza; senza contare la stagflazione ormai globale e l’indebitamento generalizzato.
@alfredosomoza ha fatto dunque il punto attribuendo a ogni fattore la giusta responsabilità nella emergenza della carestia, guardando al sistema di produzione e distribuzione del cibo, il saccheggio e la colonizzazione dei territori, la pianificazione selvaggia e monocolturale: speculazione, latifondo senza collegamento con il territorio, landgrabbing, sistemi di produzione malati, diserbanti e ogm, concentrazioni di colture; la superficie coltivabile è diminuita con la globalizzazione, le colture per il foraggio o per i biocombustibili sono sempre più estese, il cambiamento climatico, la siccità avevano già innescato la speculazione sulle commodities dei futures che è strabordata con la scusa del conflitto raddoppiando il prezzo del grano; l’occupazione di terre africane da cui saccheggiare i prodotti da importare in madre Cina, o da esportare in paesi ricchi, sottraendo cibo potenziale agli autoctoni;
Alfredo nel suo libro “Siamo già Oltre?” descriveva così il sistema su cui è intervenuto il conflitto in Ucraina, scompigliandolo e paradossalmente rendendo ancora più il cibo un’arma ricattatoria di consumi – anche indotti dal colonialismo – da brandire contro i poveri:
«Nei paesi nei quali si è spinto l’acceleratore del moderno agribusiness, dove spesso si produce non solo di più ma anche male, la produzione non serve per soddisfare il bisogno dei consumatori ma per incassare sovvenzioni, fare guerre commerciali, imporre mode alimentari. Difficilmente in Africa, Asia meridionale o America centrale si produce più di quanto si consuma. Anzi, lì spesso si produce molto di meno, dato che una parte crescente delle loro terre agricole viene utilizzata per produrre alimenti e biocombustibili destinati al mondo ricco: che poi non riesce nemmeno a consumarli tutti. Distogliendo l’attenzione dalle cause per concentrarsi solo sugli effetti si arriva a soluzioni “umanitarie”, di buon senso, che però non risolveranno mai il problema a monte. Non porteranno, cioè, a una politica mondiale che stabilisca le priorità nella produzione di cibo, che imponga regole precise sul suo costo e sui suoi impatti. Non è sostenibile, per esempio, il mercato delle primizie che viaggiano in aereo da un angolo del mondo all’altro per garantire pere, ciliegie o mirtilli dodici mesi all’anno per il desco dei consumatori ricchi. Non è possibile che, quando un paese dà in concessione terreni agricoli a soggetti esteri, la Fao non intervenga a certificare che la sicurezza alimentare di quel paese sia comunque garantita, e che le concessioni non la mettano a rischio. Non è sensato che il consumatore, quando compra prodotti provenienti da migliaia di chilometri di distanza, non sia chiamato a pagare il costo ambientale di quella merce. Sono tanti i nodi irrisolti e i problemi in via di peggioramento, quando si pensa al tema del cibo… Ma ci raccontano che basta il riciclo degli sprechi per porvi rimedio. Una versione di comodo per le multinazionali del cibo e dell’agricoltura, proprio quelle che occuparono gli spazi più in vista all’Expo milanese. Imprese che si accaparrano licenze sulle sementi, sono grandi gestori dell’acqua, impongono modelli di consumo basati sulla carne rossa, la più dannosa per la salute e la più “costosa” per l’ambiente, anche se italiana. Questi gruppi oggi tengono in pugno l’agenda del cibo e buona parte della politica accetta la loro narrazione. È questo il segreto (di Pulcinella) da non far sapere al contadino».
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Author | OGzero - Orizzonti geopolitici |
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