Felicità: nome impreciso e indefinibile?
Nov 25, 2021 ·
7m 21s
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Description
Felicità: nome impreciso e indefinibile? Parola abusata, sussurrata, urlata, cercata, persa, sfoggiata in bella mostra come fosse in vetrina, nascosta fra le pagine dei libri più amati, qualche volta violentata...
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Felicità: nome impreciso e indefinibile?
Parola abusata, sussurrata, urlata, cercata, persa, sfoggiata in bella mostra come fosse in vetrina, nascosta fra le pagine dei libri più amati, qualche volta violentata da abusi di scaltri venditori di risposte, altre volte ripescata nei meandri della memoria, oppure ritrovata nelle più sagge testimonianze di filosofi, letterati, religiosi, poeti e artisti di ogni tempo.
Parola a noi vicina come fosse scritta sulla nostra pelle, come fosse il nostro sassolino portafortuna nella tasca, come fosse l’indicazione del sentiero da percorrere o la luce in fondo al tunnel.
Il nostro obiettivo o la nostra illusione?
La nostra realtà o il sogno di un’idea?
Il nostro pane quotidiano o la rarità di un’esperienza?
Uno stato d’animo momentaneo o un modus vivendi?
Un momento irripetibile o una costante ricerca?
La necessità che mi venga offerta dagli altri o qualcosa che posso trovare solo dentro di me?
Ed ecco che la strada per il raggiungimento della felicità presenta continue deviazioni, cambi di percorso, mutamenti di pensieri, idee, parole, abitudini.
Le Y del costante e continuo divenire.
Come pensare quindi che mantenere lo stesso percorso, come fosse un senso unico, che si dimostri essere non funzionale alla mia vita, possa condurmi verso qualcosa di nuovo e di diverso?
Come non pensarlo come un comportamento che, avendo magari funzionato una o più volte in passato, possa invece alimentare il problema o la ricerca della sua soluzione?
E come non immaginare che tutto ciò possa impattare negativamente sulla mia ricerca di felicità, poiché mossa dal convincimento che “una quantità maggiore di una cosa [e quindi la sua ripetizione] si traduca per forza in migliore qualità”? (P. Watzlavick)
Ovviamente, “per rendersi conto che una strada è sbagliata bisogna percorrerla” (P. Wazlawick) e noi la percorriamo in cerca di realizzazione, di certezze, di garanzie e spesso, cercatori di felicità, percorriamo strade ignari di ciò che vogliamo cercare o, forse, riuscendo a capire solo dopo ogni azioni se è “quello ciò che stavamo cercando”.
Nella nostra ricerca di senso e di significato sulla strada scelta, sulla sua direzione e sulle sue deviazioni ci rendiamo conto che non è quello che stavamo cercando, pur mantenendo sempre la speranza che si traduce in obiettivi da raggiungere o problemi da risolvere.
Mi domando quindi: ma funziona che io, ogni volta, cerchi una risposta o un nome a qualcosa che raggiungo o meno? O qualche volta funziona che io smetta di cercare una soluzione, una risposta, un fermopoint in cui arrivare e da cui ripartire?
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Parola abusata, sussurrata, urlata, cercata, persa, sfoggiata in bella mostra come fosse in vetrina, nascosta fra le pagine dei libri più amati, qualche volta violentata da abusi di scaltri venditori di risposte, altre volte ripescata nei meandri della memoria, oppure ritrovata nelle più sagge testimonianze di filosofi, letterati, religiosi, poeti e artisti di ogni tempo.
Parola a noi vicina come fosse scritta sulla nostra pelle, come fosse il nostro sassolino portafortuna nella tasca, come fosse l’indicazione del sentiero da percorrere o la luce in fondo al tunnel.
Il nostro obiettivo o la nostra illusione?
La nostra realtà o il sogno di un’idea?
Il nostro pane quotidiano o la rarità di un’esperienza?
Uno stato d’animo momentaneo o un modus vivendi?
Un momento irripetibile o una costante ricerca?
La necessità che mi venga offerta dagli altri o qualcosa che posso trovare solo dentro di me?
Ed ecco che la strada per il raggiungimento della felicità presenta continue deviazioni, cambi di percorso, mutamenti di pensieri, idee, parole, abitudini.
Le Y del costante e continuo divenire.
Come pensare quindi che mantenere lo stesso percorso, come fosse un senso unico, che si dimostri essere non funzionale alla mia vita, possa condurmi verso qualcosa di nuovo e di diverso?
Come non pensarlo come un comportamento che, avendo magari funzionato una o più volte in passato, possa invece alimentare il problema o la ricerca della sua soluzione?
E come non immaginare che tutto ciò possa impattare negativamente sulla mia ricerca di felicità, poiché mossa dal convincimento che “una quantità maggiore di una cosa [e quindi la sua ripetizione] si traduca per forza in migliore qualità”? (P. Watzlavick)
Ovviamente, “per rendersi conto che una strada è sbagliata bisogna percorrerla” (P. Wazlawick) e noi la percorriamo in cerca di realizzazione, di certezze, di garanzie e spesso, cercatori di felicità, percorriamo strade ignari di ciò che vogliamo cercare o, forse, riuscendo a capire solo dopo ogni azioni se è “quello ciò che stavamo cercando”.
Nella nostra ricerca di senso e di significato sulla strada scelta, sulla sua direzione e sulle sue deviazioni ci rendiamo conto che non è quello che stavamo cercando, pur mantenendo sempre la speranza che si traduce in obiettivi da raggiungere o problemi da risolvere.
Mi domando quindi: ma funziona che io, ogni volta, cerchi una risposta o un nome a qualcosa che raggiungo o meno? O qualche volta funziona che io smetta di cercare una soluzione, una risposta, un fermopoint in cui arrivare e da cui ripartire?
Information
Author | Paola Camiciottoli |
Organization | Paola Camiciottoli |
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