Gli uragani sono sempre meno devastanti e sempre meno frequenti
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show moreGLI URGANI SONO SEMPRE MENO DEVASTANTI E SEMPRE MENO FREQUENTI di Bjørn Lomborg
Siamo continuamente esposti a un diluvio di notizie allarmanti sul clima, con foto di uragani e devastazioni diffuse ogni ora. Ma questo è dovuto in gran parte all'effetto Cnn: oggi molte più telecamere riprendono qualunque catastrofe e ne rilanciano le immagini h24. Ma se vogliamo predisporre misure corrette, dobbiamo guardare ai dati di lungo periodo.
Buona parte dei dati migliori viene dagli Stati Uniti. E malgrado quel che si sente ripetere, gli uragani atlantici non stanno diventando più frequenti. Per la verità, la frequenza degli uragani che toccano terra negli Stati Uniti è leggermente diminuita dal 1900.
Aeroplani e satelliti hanno enormemente accresciuto la capacità degli scienziati di individuare tempeste in mare. Per questo la frequenza degli uragani che toccano terra, documentata in modo affidabile già dal 1900, è un dato statistico migliore rispetto al numero totale degli uragani atlantici.
E non è vero nemmeno che gli uragani oggi siano più intensi. Anche la frequenza degli uragani di categoria 3 o superiore che toccano terra sta leggermente diminuendo dal 1900. Sebbene sentiate un gran parlare di uragani che diventano più forti, un articolo di Nature rivela che si tratta «non di una intensificazione su scala secolare, bensì di una risalita da un picco minimo registrato negli anni Sessanta-Ottanta».
Nel resto del mondo, nonostante i dati siano meno dettagliati, si osserva la medesima fotografia. La migliore ricostruzione del periodo 1950-2020 non mostra alcun aumento di frequenza degli uragani più intensi né degli uragani in generale.
Le immagini di devastazioni causate dagli uragani abbondano, ma ricordate che lungo le coste lo sviluppo e il popolamento, soprattutto negli Stati Uniti, si sono ampliati enormemente nell'ultimo secolo. Molte più persone vivono sul percorso di queste rovinose tempeste rispetto anche solo a pochi decenni fa.
Ma per salvare vite è molto più utile il miglioramento delle infrastrutture, possibile grazie ad aggiornamento tecnologico e ricchezza, che un taglio delle emissioni di Co2. Oggi gli uragani causano nel mondo danni di entità pari allo 0,04 per cento del prodotto interno lordo globale. E anche dando credito alla recente stima del Gruppo intergovernativo Onu sul cambiamento climatico (Ipcc) in base alla quale gli uragani di categoria alta aumenteranno proporzionalmente, la distruzione causata da queste tempeste secondo uno studio di Nature diminuirà in proiezione fino a valere lo 0,02 per cento del Pil globale nel 2100, perché l'economia mondiale diventerà più ricca, rendendo le infrastrutture più resilienti. Anche se potessimo eliminare del tutto il cambiamento climatico (cosa naturalmente impossibile), tale diminuzione dei danni accelererebbe soltanto fino a raggiungere lo 0,01 per cento del Pil nel 2100.
I migliori dati di lungo periodo disponibili sugli uragani che colpiscono gli Stati Uniti indicano una diminuzione, anche per gli uragani di categoria alta. E il mondo sta diventando più resiliente a questi fenomeni, con o senza tagli di emissioni.
Nota di BastaBugie: Leone Grotti nell'articolo seguente dal titolo "La Cina aumenta la produzione di carbone (addio alle belle promesse sul clima)" spiega che per far fronte alla carenza di energia elettrica, Pechino emetterà ancora più Co2. La mossa di Xi Jinping mina alla radice la Cop26: quando la finiremo di fidarci delle promesse di Pechino? È ormai evidente che il Green Deal è un pericolo per l'economia dell'Europa.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 9 ottobre 2021:
Non solo l'Europa, Anche la Cina è nei guai per problemi legati all'energia. Nelle ultime settimane, per far fronte alla carenza di elettricità, 17 province e regioni hanno annunciato tagli alla produzione industriale dopo che numerosi blackout hanno mandato in tilt la vita di importanti città soprattutto nel Guangdong, Heilongjiang, Jilin e Liaoning. Il presidente Xi Jinping ha quindi deciso di correre ai ripari ordinando di aumentare del 10 per cento la produzione di carbone, come riportato dal Financial Times.
La decisione è gravida di conseguenze, soprattutto in vista della conferenza sul clima di Glasgow, la Cop26. La Cina, infatti, non ha migliorato le sue promesse e obiettivi di riduzione delle emissioni di Co2, come richiesto e fatto da altri paesi. Resta quindi impegnata a raggiungere il tetto delle emissioni nel 2030 e la neutralità climatica nel 2060.
Ma le promesse di Pechino fanno costantemente a pugni con le decisioni politiche che vengono prese dal Partito comunista giorno dopo giorno. Tre settimane fa, all'assemblea dell'Onu, Xi aveva dichiarato che la Cina non avrebbe più costruito centrali a carbone all'estero, guadagnandosi l'applauso di tutti i convenuti. Ma quell'annuncio aveva sollevato diverse domande e il timore del solito doppio gioco da parte del regime.
Ora è arrivata l'ennesima conferma sulla mancanza di volontà della Cina di impegnarsi seriamente nella lotta al cambiamento climatico: l'anno scorso la Cina ha prodotto 3,9 miliardi di tonnellate di carbone e quest'anno la produzione aumenterà ancora.
Dopo l'annuncio di Pechino, la Cop26 sembra indirizzarsi verso l'ennesimo fallimento. Tra i dieci paesi responsabili della maggior parte delle emissioni dal 1850 a oggi, soltanto quattro hanno annunciato obiettivi di riduzione più ambiziosi. Cina, Russia, India, Giappone, Indonesia e Brasile, invece, non hanno presentato piani soddisfacenti.
Le mosse di Pechino dovrebbero anche far suonare un campanello d'allarme a Bruxelles. L'Unione Europea, responsabile di appena l'8% delle emissioni globali, con il Green Deal si è lanciata in un piano iper ambizioso per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il piano rischia di danneggiare enormemente l'economia del continente.
La scommessa è che i paesi responsabili della maggior parte delle emissioni di Co2 seguiranno l'esempio dell'Europa. Ma i fatti, al momento, sembrano dare torto alle speranze della Commissione Ue e questo, come già spiegato in una nostra inchiesta, potrebbe non solo danneggiare il comparto industriale europeo ma anche peggiorare l'ambiente a livello globale.
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