Il festival di Sanremo non esiste
Mar 1, 2022 ·
9m 34s
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6917 IL FESTIVAL DI SANREMO NON ESISTE di Rodolfo Casadei Adesso che il Festival di Sanremo è finito da due settimane, sui media non se ne parla...
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6917
IL FESTIVAL DI SANREMO NON ESISTE di Rodolfo Casadei
Adesso che il Festival di Sanremo è finito da due settimane, sui media non se ne parla più, l'isteria collettiva si è sedimentata e sono rimaste in circolazione solo le canzoni, adesso si può scrivere del Festival di Sanremo, adesso si può commentarlo. Si può criticarlo, attaccarlo, polemizzare. Prima no, prima significava fare il suo gioco. Farsi usare.
Tutti i benintenzionati, o anche tutti i benpensanti, che si sono indignati per le blasfemie, le volgarità, l'ossessiva correttezza politica che hanno connotato il Festival, e che lo hanno fatto sapere attraverso i social, hanno contribuito al successo di Sanremo e alla propagazione della sua ideologia: hanno moltiplicato il suo messaggio nel mentre stesso che lo esecravano. E non semplicemente perché parlandone, anche in negativo, gli si è fatta pubblicità. Il motto di Oscar Wilde, tratto dal Ritratto di Dorian Gray, «nel bene o nel male, purché se ne parli», resta sempre valido, ma non spiega completamente il meccanismo di Sanremo. Che si nutre delle critiche, dello scandalo e dell'indignazione delle persone religiose o semplicemente sensibili e amanti della decenza proprio per meglio imporre l'egemonia culturale della sua visione del mondo post-cristiana e nichilista. Le provocazioni e le cosiddette blasfemie si ripetono stucchevolmente anno dopo anno proprio allo scopo di sollevare proteste e invettive che non avranno alcuno sbocco.
Dopo l'esibizione del cantante Achille Lauro alcune associazioni hanno avviato una raccolta di firme online per chiedere la squalifica del cantante. La petizione ha raccolto 81 mila firme, che impallidiscono a fronte dei 13 milioni di spettatori della serata finale del festival, e che ovviamente non hanno ottenuto quanto chiedevano. Non è chiaro? Le provocazioni vengono reiterate allo scopo di dimostrare l'impotenza delle reazioni. La forza dell'ideologia sanremese non è dimostrata dall'assenza di proteste, ma dal fatto che le proteste, previste e puntuali come le provocazioni di anno in anno, non incidono assolutamente per nulla: Amadeus, Fiorello e soci proseguono imperterriti per la loro strada fatta di ammiccamenti, irrisioni e atti di deferenza (al politicamente corretto) a dimostrazione della loro incontrastata superiorità rispetto ai dissenzienti.
IGNORARE L'EVENTO
L'unico modo sensato di contrastare l'egemonia culturale di Sanremo è ignorare l'evento. Meno se ne parla, più lo si indebolisce. Perché Sanremo, come tutti gli spettacoli, esiste come evento di massa soltanto nella misura in cui viene visto in televisione e commentato sui social. Il Festival di Sanremo, in sé e per sé, è una manifestazione canora che si svolge in una località del Ponente ligure, in un teatro che ha una capienza massima di 2 mila persone. A farne un evento di costume di dimensioni nazionali è la tivù, chi la guarda e chi commenta quello che ha visto sui social. È perfettamente sensato che il vescovo di Sanremo e Ventimiglia dica la sua sui contenuti dell'evento, poiché si tratta di qualcosa che avviene nel territorio della sua diocesi. A Sanremo, il Festival di Sanremo esiste veramente, in un luogo e in un tempo ben determinati. Ma fuori da Sanremo, nelle case e nelle teste di ciascuno di noi, Sanremo esiste soltanto nella misura in cui guardiamo una trasmissione televisiva e poi ne rilanciamo i messaggi commentandoli con altre persone, dal vivo o nel mondo virtuale. Siamo noi che lo facciamo esistere. Se davvero non ci piace e troviamo deleterio il suo messaggio, abbiamo una sola strada: non permettergli di esistere. E riusciamo a non farlo esistere se lo ignoriamo, se non ne parliamo.
Sanremo non è più da molto tempo un festival della canzone: è una liturgia; è il rito e la lezione di catechismo di una religione. Tutto ciò che avviene sul palco del festival ha i caratteri della ieraticità, della rivelazione, della parola di verità distillata alle folle. Le cinque serate rappresentano una specie di Settimana santa della televisione italiana, nel corso della quale ogni sera un personaggio diverso pronuncia un'omelia su un argomento dottrinale: il sesso, la razza, la criminalità, eccetera. Con un'impostazione della voce, con inquadrature, con coreografie che rimandano alla sacralità, alla profezia, al rapimento mistico. Gli officianti evocano figure di martiri che traggono la loro consacrazione non dallo specifico della loro testimonianza, ma dal fatto che le loro icone vengono mostrate a Sanremo.
LE PROFANAZIONI DEL CRISTIANESIMO
Le cosiddette profanazioni del cristianesimo affidate alle esibizioni di Achille Lauro e alle parodie di Fiorello non sono autentiche profanazioni, ma tipici procedimenti di una religione nuova che per soppiantare più rapidamente e in modo davvero irreversibile la religione che l'ha preceduta non si limita a negarla, ma ne assorbe simboli, riti e linguaggi. Tutti sanno che il cristianesimo ha scelto il 25 dicembre come data della nascita di Cristo in sostituzione della festa pagana del Sole Invitto che si celebrava in quella data; che il papa è chiamato anche sommo pontefice, in continuità col pontifex maximus che era la massima autorità religiosa romana; pochi sanno che i cembali usati nelle cerimonie dei cristiani copti erano usati già nei riti religiosi egizi. Mutuare e risignificare è la parola d'ordine di ogni nuovo culto che vuole annientare quello che era già presente: è un'operazione iniziata già quarant'anni fa, coi crocifissi esibiti da Madonna come orecchini o su reggiseni scoperti, strofinati sulla bocca o su altre parti del corpo.
Se ancora non credete all'interpretazione del Festival di Sanremo come nuovo culto umanitario e nichilista, date un'occhiata a quello che ha scritto Elena Stancanelli, nota scrittrice, su La Stampa a proposito dei due vincitori, Blanco e Mahmood: «A cantare è un fanciullo. Un giovane favoloso che di anni ne ha davvero diciotto, Blanco da Calvagese, in provincia di Brescia. Insieme a un uomo altrettanto favoloso, Mahmood, trent'anni. Uno che ha talmente tanto talento e intelligenza da aver capito che quello che gli serviva, per rendere il suo pezzo indimenticabile, era un ragazzo con gli occhi ancora pieni di stelle. (...) Guardatelo Blanco che si affaccia al balcone e spiega ai suoi coetanei che lo acclamano che devono indossare la mascherina. Non c'è niente che non possa fare senza mai togliersi quelle stelle dagli occhi perché sa fare una cosa che noi abbiamo fatto malissimo: essere giovane. Sa navigare, e ha la spavalderia di chi non si tira mai indietro. Capace di attraversare tutto e non rifiutare niente. (...) Non so voi, ma io non vedo l'ora che, dopo il festival di Sanremo, si prendano tutto. Diamogli le chiavi, chiediamogli scusa e facciamo un passo indietro». I vincitori di Sanremo sono figure messianiche. Sono gli unti del Signore. Non lo leggete su un giornaletto, ma su un grande quotidiano del gruppo editoriale Gedi di John Elkann; non lo scrive una sciroccata, ma una scrittrice che ha già vinto il premio Vittoriano Esposito.
Chi non è Testimone di Geova, non frequenta le Sale del Regno. E non fa post su Facebook o tweet su Twitter per commentare negativamente quello che nelle Sale del Regno si dice e si fa. Fate lo stesso coi geovisti di Sanremo: lasciateli perdere, non aprite quando suonano al vostro campanello. Le canzoni potete ascoltarle dopo con calma, al di fuori del festival. Per ascoltare la Messa di Requiem di Mozart non dovete per forza partecipare a un funerale. Il Festival di Sanremo non esiste. Non fatelo esistere proprio voi.
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IL FESTIVAL DI SANREMO NON ESISTE di Rodolfo Casadei
Adesso che il Festival di Sanremo è finito da due settimane, sui media non se ne parla più, l'isteria collettiva si è sedimentata e sono rimaste in circolazione solo le canzoni, adesso si può scrivere del Festival di Sanremo, adesso si può commentarlo. Si può criticarlo, attaccarlo, polemizzare. Prima no, prima significava fare il suo gioco. Farsi usare.
Tutti i benintenzionati, o anche tutti i benpensanti, che si sono indignati per le blasfemie, le volgarità, l'ossessiva correttezza politica che hanno connotato il Festival, e che lo hanno fatto sapere attraverso i social, hanno contribuito al successo di Sanremo e alla propagazione della sua ideologia: hanno moltiplicato il suo messaggio nel mentre stesso che lo esecravano. E non semplicemente perché parlandone, anche in negativo, gli si è fatta pubblicità. Il motto di Oscar Wilde, tratto dal Ritratto di Dorian Gray, «nel bene o nel male, purché se ne parli», resta sempre valido, ma non spiega completamente il meccanismo di Sanremo. Che si nutre delle critiche, dello scandalo e dell'indignazione delle persone religiose o semplicemente sensibili e amanti della decenza proprio per meglio imporre l'egemonia culturale della sua visione del mondo post-cristiana e nichilista. Le provocazioni e le cosiddette blasfemie si ripetono stucchevolmente anno dopo anno proprio allo scopo di sollevare proteste e invettive che non avranno alcuno sbocco.
Dopo l'esibizione del cantante Achille Lauro alcune associazioni hanno avviato una raccolta di firme online per chiedere la squalifica del cantante. La petizione ha raccolto 81 mila firme, che impallidiscono a fronte dei 13 milioni di spettatori della serata finale del festival, e che ovviamente non hanno ottenuto quanto chiedevano. Non è chiaro? Le provocazioni vengono reiterate allo scopo di dimostrare l'impotenza delle reazioni. La forza dell'ideologia sanremese non è dimostrata dall'assenza di proteste, ma dal fatto che le proteste, previste e puntuali come le provocazioni di anno in anno, non incidono assolutamente per nulla: Amadeus, Fiorello e soci proseguono imperterriti per la loro strada fatta di ammiccamenti, irrisioni e atti di deferenza (al politicamente corretto) a dimostrazione della loro incontrastata superiorità rispetto ai dissenzienti.
IGNORARE L'EVENTO
L'unico modo sensato di contrastare l'egemonia culturale di Sanremo è ignorare l'evento. Meno se ne parla, più lo si indebolisce. Perché Sanremo, come tutti gli spettacoli, esiste come evento di massa soltanto nella misura in cui viene visto in televisione e commentato sui social. Il Festival di Sanremo, in sé e per sé, è una manifestazione canora che si svolge in una località del Ponente ligure, in un teatro che ha una capienza massima di 2 mila persone. A farne un evento di costume di dimensioni nazionali è la tivù, chi la guarda e chi commenta quello che ha visto sui social. È perfettamente sensato che il vescovo di Sanremo e Ventimiglia dica la sua sui contenuti dell'evento, poiché si tratta di qualcosa che avviene nel territorio della sua diocesi. A Sanremo, il Festival di Sanremo esiste veramente, in un luogo e in un tempo ben determinati. Ma fuori da Sanremo, nelle case e nelle teste di ciascuno di noi, Sanremo esiste soltanto nella misura in cui guardiamo una trasmissione televisiva e poi ne rilanciamo i messaggi commentandoli con altre persone, dal vivo o nel mondo virtuale. Siamo noi che lo facciamo esistere. Se davvero non ci piace e troviamo deleterio il suo messaggio, abbiamo una sola strada: non permettergli di esistere. E riusciamo a non farlo esistere se lo ignoriamo, se non ne parliamo.
Sanremo non è più da molto tempo un festival della canzone: è una liturgia; è il rito e la lezione di catechismo di una religione. Tutto ciò che avviene sul palco del festival ha i caratteri della ieraticità, della rivelazione, della parola di verità distillata alle folle. Le cinque serate rappresentano una specie di Settimana santa della televisione italiana, nel corso della quale ogni sera un personaggio diverso pronuncia un'omelia su un argomento dottrinale: il sesso, la razza, la criminalità, eccetera. Con un'impostazione della voce, con inquadrature, con coreografie che rimandano alla sacralità, alla profezia, al rapimento mistico. Gli officianti evocano figure di martiri che traggono la loro consacrazione non dallo specifico della loro testimonianza, ma dal fatto che le loro icone vengono mostrate a Sanremo.
LE PROFANAZIONI DEL CRISTIANESIMO
Le cosiddette profanazioni del cristianesimo affidate alle esibizioni di Achille Lauro e alle parodie di Fiorello non sono autentiche profanazioni, ma tipici procedimenti di una religione nuova che per soppiantare più rapidamente e in modo davvero irreversibile la religione che l'ha preceduta non si limita a negarla, ma ne assorbe simboli, riti e linguaggi. Tutti sanno che il cristianesimo ha scelto il 25 dicembre come data della nascita di Cristo in sostituzione della festa pagana del Sole Invitto che si celebrava in quella data; che il papa è chiamato anche sommo pontefice, in continuità col pontifex maximus che era la massima autorità religiosa romana; pochi sanno che i cembali usati nelle cerimonie dei cristiani copti erano usati già nei riti religiosi egizi. Mutuare e risignificare è la parola d'ordine di ogni nuovo culto che vuole annientare quello che era già presente: è un'operazione iniziata già quarant'anni fa, coi crocifissi esibiti da Madonna come orecchini o su reggiseni scoperti, strofinati sulla bocca o su altre parti del corpo.
Se ancora non credete all'interpretazione del Festival di Sanremo come nuovo culto umanitario e nichilista, date un'occhiata a quello che ha scritto Elena Stancanelli, nota scrittrice, su La Stampa a proposito dei due vincitori, Blanco e Mahmood: «A cantare è un fanciullo. Un giovane favoloso che di anni ne ha davvero diciotto, Blanco da Calvagese, in provincia di Brescia. Insieme a un uomo altrettanto favoloso, Mahmood, trent'anni. Uno che ha talmente tanto talento e intelligenza da aver capito che quello che gli serviva, per rendere il suo pezzo indimenticabile, era un ragazzo con gli occhi ancora pieni di stelle. (...) Guardatelo Blanco che si affaccia al balcone e spiega ai suoi coetanei che lo acclamano che devono indossare la mascherina. Non c'è niente che non possa fare senza mai togliersi quelle stelle dagli occhi perché sa fare una cosa che noi abbiamo fatto malissimo: essere giovane. Sa navigare, e ha la spavalderia di chi non si tira mai indietro. Capace di attraversare tutto e non rifiutare niente. (...) Non so voi, ma io non vedo l'ora che, dopo il festival di Sanremo, si prendano tutto. Diamogli le chiavi, chiediamogli scusa e facciamo un passo indietro». I vincitori di Sanremo sono figure messianiche. Sono gli unti del Signore. Non lo leggete su un giornaletto, ma su un grande quotidiano del gruppo editoriale Gedi di John Elkann; non lo scrive una sciroccata, ma una scrittrice che ha già vinto il premio Vittoriano Esposito.
Chi non è Testimone di Geova, non frequenta le Sale del Regno. E non fa post su Facebook o tweet su Twitter per commentare negativamente quello che nelle Sale del Regno si dice e si fa. Fate lo stesso coi geovisti di Sanremo: lasciateli perdere, non aprite quando suonano al vostro campanello. Le canzoni potete ascoltarle dopo con calma, al di fuori del festival. Per ascoltare la Messa di Requiem di Mozart non dovete per forza partecipare a un funerale. Il Festival di Sanremo non esiste. Non fatelo esistere proprio voi.
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