L'Arca di Salvo
Mar 23, 2021 ·
20m 29s
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Description
Giorgio entrò in casa di Salvo. Non aveva mai visto niente di simile. Era strapiena di oggetti, sparsi in ogni possibile posizione. Nulla era al proprio posto. Si respirava un...
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Giorgio entrò in casa di Salvo. Non aveva mai visto niente di simile. Era strapiena di oggetti, sparsi in ogni possibile posizione. Nulla era al proprio posto.
Si respirava un odore di chiuso che lasciava presagire che le finestre fossero rimaste serrate per mesi. Entrò in salotto, sul pavimento c’erano macchie di sugo che formavano una scia che culminava in un oggetto che a giudicare, a prima vista, sembrava un panino con delle polpette.
Giorgio sapeva che Salvo era solito non curare troppo le apparenze, ma si azzardò comunque a dire: “Salvo ma da quanto tempo non pulisci casa?” “Un sistema tende naturalmente ad uno stato di disordine per il principio dell’entropia Giorgio, dovresti saperlo!” Salvo e Giorgio erano entrambi laureati in fisica. Erano stati compagni di corso. Salvo era sempre stato un po’ strano.
Era solito presentarsi a lezione in ritardo ai tempi dell’università, sedere all’ultimo banco e passare ore a fissare il vuoto. Vestiva in modo curioso, calzini di colore diverso, magliette con le scritte più assurde.
Ciò che nessuno sapeva però, è che Salvo stava lavorando ad un qualcosa di molto grande. Un qualcosa che gli aveva portato via 10 anni della sua vita, per la quale aveva sudato, passato notti insonni, dedicato tutto sé stesso anima e corpo, aspettando un giorno di vedere i frutti del suo duro lavoro.
Salvo voleva costruire un’arca. Un vecchio zio gli aveva lasciato in eredità un grande terreno a pochi chilometri dal centro di Ostia lido (suono vento). Era un terreno brullo, non edificabile, non coltivabile, il classico ‘accollo’ che nessuno vorrebbe ereditare. Tuttavia, era perfetto per il suo scopo. L’arca era un progetto folle: centinaia di metri cubi di legno acquistati di nascosto e conservati con cura, ad insaputa di chiunque, pagati a caro prezzo con lo stipendio da dipendente del Mc Donald. E poi tutti quei calcoli, cambiati più e più volte, fino a giungere alla perfezione. O almeno era quello che pensava. Ne era convinto, anche se nessuno ne parlava, anche se i media infangavano e minimizzavano, anche se era l’unico a crederci. Ma sarebbe arrivata... l’acqua sarebbe arrivata. E il suo terreno il punto di partenza perfetto. Ci sarebbe stato l’alluvione con l’a’ maiuscola, che l’essere umano aspetta da millenni.
Lo confermavano i dati sulle emissioni, e i centimetri di cui si innalzava il livello del mare giorno dopo giorno, che lui monitorava costantemente. Per la superficialità e l’indifferenza dell’uomo verso la natura, Salvo storceva il naso e guardava dall’altra parte, pensando al giorno in cui ogni nodo sarebbe venuto al pettine e il diluvio avrebbe finalmente spazzato via quegli insulsi arroganti.
L’arca sarebbe stata perfetta in ogni minimo dettaglio, avrebbe avuto una capienza di centinaia di metri quadri e avrebbe potuto ospitare quante più specie animali avrebbe potuto trovare. Salvo sarebbe finalmente diventato il salvatore del pianeta terra. Eppure anche lui veniva assalito da dubbi, si chiedeva se in realtà non fosse nient’altro che un folle con una folle immaginazione.
Ma nonostante le sue stranezze, nonostante la fatica, la solitudine, la rabbia, Salvo si sentiva libero, senza catene di alcun tipo. A volte si sentiva folle per la sua voglia di vivere, era tutto ciò che per lui avesse un senso. Per questo lui avrebbe protetto sé stesso e quello in cui credeva, senza bisogno di grandi promesse. A volte aveva l’impressione di vivere in un sogno ad occhi aperti, in ogni momento, anche durante il suo turno pomeridiano da Mc Donald, mentre si apprestava a riscaldare le due metà del panino che aveva precedentemente tagliato mentre l’hamburger (suono frittura/piastra) era sull’altro lato della piastra quasi pronta, da servire con la salsa piccante.
Salvo lavorava da Mc Donald come copertura: un part-time gli dava tanto tempo, il suo ingegno, maturato durato il dottorato di fisica, la creatività e il metodo per la folle impresa. Salvo collezionava diverse specie di animali e li custodiva lì dove stava costruendo la sua arca (versi animali). Tra una martellata e l’altra, asciugandosi il sudore dalla fronte, sentiva lo sguardo dei suoi compagni a quattro zampe e si sentiva meno solo. Il Mc in cui lavorava non era molto pulito, erano state trovate delle piccole lumache molto rare che Salvo aveva deciso di collezionare per destinarle all’arca.
Certo, alle volte capitava che andasse a lavoro coperto di morsi di ratto e aveva sempre l’orlo dei pantaloni sporco di fango, ma tanto nessuno ci faceva caso. Salvo andava alla ricerca di animali particolari, era attratto dagli invertebrati. Andava al mare col suo retino e pescava meduse, non aveva paura, anzi era evidente la sua passione per la scienza. Si era anche procurato dei felini molto rari che provenivano dall’altro capo del mondo, qualcuno lo avrebbe potuto accusare di traffico di animali e piante protette. Si stava procurando tutti i tipi di bacche, commestibili ovviamente. Erano molte quelle velenose con cui aveva rischiato di intossicarsi a causa della sua inesperienza da erborista. Una storia interessante è quella di quando andò alla ricerca di un bizzarro animale erbivoro.
Ogni duemila anni il mondo viene colpito da sciagure e catastrofi globali, Salvo ne aveva lette di ogni, ed ecco come ogni volta un salvatore si accinge a costruire un’arca piena di animali. Sembrerà strano, ma di tutti gli animali il più difficile da convincere fu il cammello, che di quei tempi era una razza in via d’estinzione. Si era sparsa la voce che la carne di cammello fosse magra, ricca di Omega3, con effetti drenanti e un appetitoso retrogusto di cioccolata. Così il cammello cercava di farsi i fatti suoi, prediligeva il deserto, lunghi tragitti dove poteva sgranchirsi le zampe percorrendo strade antiche e poco battute.
Insomma, per catturare i cammelli era necessaria astuzia e prontezza di riflessi. Salvo fu costretto a nascondersi su una palma altissima e a mimetizzarsi con arbusti e foglie secche. Dopo alcuni giorni di attesa finalmente vide dei cammelli (verso cammelli) che erano venuti ad abbeverarsi e così si lanciò dalla palma alta e con delle reti di corda spessa e pesante catturò ben due cammelli. Ecco, i cammelli erano stati catturati, li chiamò Cammello Adamo e Cammella Eva e quindi dopo averli fatti bere si preparò a compiere il percorso verso l’arca, l’arca di Salvo.
Eva, un nome inciso nei suoi pensieri, da anni. Ciò che ancora non sapete di Salvo, è che nonostante il suo carattere burbero e solitario, si nascondeva in lui un inguaribile romantico. Era follemente innamorato di una sua collega, quella che preparava le patatine a ruota libera buttandoci tutto quel sale e tutto quell’olio come se non ci fosse un domani. Quando scoprì che si chiamava Eva la trovò una coincidenza deliziosa. Però non sapeva come dichiararsi e sperava fosse lei che in qualche modo lo capisse, magari attraverso quegli sguardi da tigre che le mandava ogni cinque minuti. Lei era giovane e agile, con una lunga chioma di capelli neri corvino legati insieme in una treccia scura e variamente annodata. La tuta da dipendente del Mc inspiegabilmente le risaltava le forme del corpo e aveva delle mani affusolate con le unghie colorate di sfumature diverse. Sul viso risaltavano tante lentiggini e gli occhi azzurri le davano un’aria da ninfa del mare. Una ninfa che friggeva patatine. Accade un giorno che si svegliò con una strana sensazione nel cuore, un coraggio di vivere sopito da anni e pensò: “Basta! Gielo dico, o la va o la spacca!” Si fece una doccia lunga mezzora, si sistemò la barba accuratamente, stando attento a non tagliarsi, si vestì e uscì di casa pieno di energia ritrovata. Cercò di capire quale potesse essere il momento migliore e scelse l’ora della pausa pranzo. Un turbinio di emozioni costellò tutta la mattinata di Salvo, pieno di dubbi e speranze. Scattata l’ora fatale le si avvicinò, giusto poco prima che lei se la svignasse dalla porta di servizio e, lasciandosi alle spalle tutti i pensieri e i
futili progetti sperimentati nella sua mente durante tutta la giornata, esordì semplicemente: “Vuoi venire a pranzo con me?” Lei si girò di scatto e con quegli occhioni blu fece trasparire un’espressione di stupore. “Va bene”, gli disse con poco entusiasmo, “ma solo per una birra veloce...”.
Lui si riempì di gioia e sentì la circolazione scorrergli rapida e defluire in tutto il corpo, una birra sarebbe stata più che sufficiente. Arrivato il momento si trovarono al bar all’angolo vicino al Mc e prima che Salvo potesse dire qualsiasi cosa lei mise le mani avanti: “Esco ora da una relazione molto complicata”.
“Non c’è problema”, rispose Salvo, “solo in amicizia!”. Da quel giorno però queste uscite assieme divennero più frequenti, più serene, più affettuose. Salvo sapeva ascoltare ed Eva non era abituata ad essere ascoltata. Voleva condividere con lei il suo progetto, in fondo non aveva niente da perdere, ma non era facile. I suoi dubbi si amplificavano e spesso non era facile spiegarle dove sparisse per giorni. Quando, finalmente, glielo disse, lei rise di fronte alla sua confessione, disse che aveva visto troppi film di fantascienza, lo canzonò affettuosamente. Lui non si scompose e le disse che in ogni caso gli avrebbe fatto molto piacere poterle mostrare il suo lavoro. E in una giornata di sole, mancavano pochi mesi al grande diluvio, la accompagnò nel terreno ad Ostia. Eva si trovò stupefatta davanti all’arca, immensa e bellissima, davanti a bestie mai viste prima neanche su National Geographic, alcune forse perché troppo insulse. Lumache bitorzolute, felini un po’ rachitici, mustelidi buffi. Si presentò a Cammella Eva, che masticava con indifferenza e poi aiutò Salvo nelle mille cose da fare. Dall’iniziale inquietudine, rimase affascinata dal mondo di Salvo. Non gli credeva, non poteva avere ragione sull’alluvione, ma quello che aveva costruito era un piccolo mondo bellissimo. Si stava innamorando.
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Giorgio sapeva che Salvo era solito non curare troppo le apparenze, ma si azzardò comunque a dire: “Salvo ma da quanto tempo non pulisci casa?” “Un sistema tende naturalmente ad uno stato di disordine per il principio dell’entropia Giorgio, dovresti saperlo!” Salvo e Giorgio erano entrambi laureati in fisica. Erano stati compagni di corso. Salvo era sempre stato un po’ strano.
Era solito presentarsi a lezione in ritardo ai tempi dell’università, sedere all’ultimo banco e passare ore a fissare il vuoto. Vestiva in modo curioso, calzini di colore diverso, magliette con le scritte più assurde.
Ciò che nessuno sapeva però, è che Salvo stava lavorando ad un qualcosa di molto grande. Un qualcosa che gli aveva portato via 10 anni della sua vita, per la quale aveva sudato, passato notti insonni, dedicato tutto sé stesso anima e corpo, aspettando un giorno di vedere i frutti del suo duro lavoro.
Salvo voleva costruire un’arca. Un vecchio zio gli aveva lasciato in eredità un grande terreno a pochi chilometri dal centro di Ostia lido (suono vento). Era un terreno brullo, non edificabile, non coltivabile, il classico ‘accollo’ che nessuno vorrebbe ereditare. Tuttavia, era perfetto per il suo scopo. L’arca era un progetto folle: centinaia di metri cubi di legno acquistati di nascosto e conservati con cura, ad insaputa di chiunque, pagati a caro prezzo con lo stipendio da dipendente del Mc Donald. E poi tutti quei calcoli, cambiati più e più volte, fino a giungere alla perfezione. O almeno era quello che pensava. Ne era convinto, anche se nessuno ne parlava, anche se i media infangavano e minimizzavano, anche se era l’unico a crederci. Ma sarebbe arrivata... l’acqua sarebbe arrivata. E il suo terreno il punto di partenza perfetto. Ci sarebbe stato l’alluvione con l’a’ maiuscola, che l’essere umano aspetta da millenni.
Lo confermavano i dati sulle emissioni, e i centimetri di cui si innalzava il livello del mare giorno dopo giorno, che lui monitorava costantemente. Per la superficialità e l’indifferenza dell’uomo verso la natura, Salvo storceva il naso e guardava dall’altra parte, pensando al giorno in cui ogni nodo sarebbe venuto al pettine e il diluvio avrebbe finalmente spazzato via quegli insulsi arroganti.
L’arca sarebbe stata perfetta in ogni minimo dettaglio, avrebbe avuto una capienza di centinaia di metri quadri e avrebbe potuto ospitare quante più specie animali avrebbe potuto trovare. Salvo sarebbe finalmente diventato il salvatore del pianeta terra. Eppure anche lui veniva assalito da dubbi, si chiedeva se in realtà non fosse nient’altro che un folle con una folle immaginazione.
Ma nonostante le sue stranezze, nonostante la fatica, la solitudine, la rabbia, Salvo si sentiva libero, senza catene di alcun tipo. A volte si sentiva folle per la sua voglia di vivere, era tutto ciò che per lui avesse un senso. Per questo lui avrebbe protetto sé stesso e quello in cui credeva, senza bisogno di grandi promesse. A volte aveva l’impressione di vivere in un sogno ad occhi aperti, in ogni momento, anche durante il suo turno pomeridiano da Mc Donald, mentre si apprestava a riscaldare le due metà del panino che aveva precedentemente tagliato mentre l’hamburger (suono frittura/piastra) era sull’altro lato della piastra quasi pronta, da servire con la salsa piccante.
Salvo lavorava da Mc Donald come copertura: un part-time gli dava tanto tempo, il suo ingegno, maturato durato il dottorato di fisica, la creatività e il metodo per la folle impresa. Salvo collezionava diverse specie di animali e li custodiva lì dove stava costruendo la sua arca (versi animali). Tra una martellata e l’altra, asciugandosi il sudore dalla fronte, sentiva lo sguardo dei suoi compagni a quattro zampe e si sentiva meno solo. Il Mc in cui lavorava non era molto pulito, erano state trovate delle piccole lumache molto rare che Salvo aveva deciso di collezionare per destinarle all’arca.
Certo, alle volte capitava che andasse a lavoro coperto di morsi di ratto e aveva sempre l’orlo dei pantaloni sporco di fango, ma tanto nessuno ci faceva caso. Salvo andava alla ricerca di animali particolari, era attratto dagli invertebrati. Andava al mare col suo retino e pescava meduse, non aveva paura, anzi era evidente la sua passione per la scienza. Si era anche procurato dei felini molto rari che provenivano dall’altro capo del mondo, qualcuno lo avrebbe potuto accusare di traffico di animali e piante protette. Si stava procurando tutti i tipi di bacche, commestibili ovviamente. Erano molte quelle velenose con cui aveva rischiato di intossicarsi a causa della sua inesperienza da erborista. Una storia interessante è quella di quando andò alla ricerca di un bizzarro animale erbivoro.
Ogni duemila anni il mondo viene colpito da sciagure e catastrofi globali, Salvo ne aveva lette di ogni, ed ecco come ogni volta un salvatore si accinge a costruire un’arca piena di animali. Sembrerà strano, ma di tutti gli animali il più difficile da convincere fu il cammello, che di quei tempi era una razza in via d’estinzione. Si era sparsa la voce che la carne di cammello fosse magra, ricca di Omega3, con effetti drenanti e un appetitoso retrogusto di cioccolata. Così il cammello cercava di farsi i fatti suoi, prediligeva il deserto, lunghi tragitti dove poteva sgranchirsi le zampe percorrendo strade antiche e poco battute.
Insomma, per catturare i cammelli era necessaria astuzia e prontezza di riflessi. Salvo fu costretto a nascondersi su una palma altissima e a mimetizzarsi con arbusti e foglie secche. Dopo alcuni giorni di attesa finalmente vide dei cammelli (verso cammelli) che erano venuti ad abbeverarsi e così si lanciò dalla palma alta e con delle reti di corda spessa e pesante catturò ben due cammelli. Ecco, i cammelli erano stati catturati, li chiamò Cammello Adamo e Cammella Eva e quindi dopo averli fatti bere si preparò a compiere il percorso verso l’arca, l’arca di Salvo.
Eva, un nome inciso nei suoi pensieri, da anni. Ciò che ancora non sapete di Salvo, è che nonostante il suo carattere burbero e solitario, si nascondeva in lui un inguaribile romantico. Era follemente innamorato di una sua collega, quella che preparava le patatine a ruota libera buttandoci tutto quel sale e tutto quell’olio come se non ci fosse un domani. Quando scoprì che si chiamava Eva la trovò una coincidenza deliziosa. Però non sapeva come dichiararsi e sperava fosse lei che in qualche modo lo capisse, magari attraverso quegli sguardi da tigre che le mandava ogni cinque minuti. Lei era giovane e agile, con una lunga chioma di capelli neri corvino legati insieme in una treccia scura e variamente annodata. La tuta da dipendente del Mc inspiegabilmente le risaltava le forme del corpo e aveva delle mani affusolate con le unghie colorate di sfumature diverse. Sul viso risaltavano tante lentiggini e gli occhi azzurri le davano un’aria da ninfa del mare. Una ninfa che friggeva patatine. Accade un giorno che si svegliò con una strana sensazione nel cuore, un coraggio di vivere sopito da anni e pensò: “Basta! Gielo dico, o la va o la spacca!” Si fece una doccia lunga mezzora, si sistemò la barba accuratamente, stando attento a non tagliarsi, si vestì e uscì di casa pieno di energia ritrovata. Cercò di capire quale potesse essere il momento migliore e scelse l’ora della pausa pranzo. Un turbinio di emozioni costellò tutta la mattinata di Salvo, pieno di dubbi e speranze. Scattata l’ora fatale le si avvicinò, giusto poco prima che lei se la svignasse dalla porta di servizio e, lasciandosi alle spalle tutti i pensieri e i
futili progetti sperimentati nella sua mente durante tutta la giornata, esordì semplicemente: “Vuoi venire a pranzo con me?” Lei si girò di scatto e con quegli occhioni blu fece trasparire un’espressione di stupore. “Va bene”, gli disse con poco entusiasmo, “ma solo per una birra veloce...”.
Lui si riempì di gioia e sentì la circolazione scorrergli rapida e defluire in tutto il corpo, una birra sarebbe stata più che sufficiente. Arrivato il momento si trovarono al bar all’angolo vicino al Mc e prima che Salvo potesse dire qualsiasi cosa lei mise le mani avanti: “Esco ora da una relazione molto complicata”.
“Non c’è problema”, rispose Salvo, “solo in amicizia!”. Da quel giorno però queste uscite assieme divennero più frequenti, più serene, più affettuose. Salvo sapeva ascoltare ed Eva non era abituata ad essere ascoltata. Voleva condividere con lei il suo progetto, in fondo non aveva niente da perdere, ma non era facile. I suoi dubbi si amplificavano e spesso non era facile spiegarle dove sparisse per giorni. Quando, finalmente, glielo disse, lei rise di fronte alla sua confessione, disse che aveva visto troppi film di fantascienza, lo canzonò affettuosamente. Lui non si scompose e le disse che in ogni caso gli avrebbe fatto molto piacere poterle mostrare il suo lavoro. E in una giornata di sole, mancavano pochi mesi al grande diluvio, la accompagnò nel terreno ad Ostia. Eva si trovò stupefatta davanti all’arca, immensa e bellissima, davanti a bestie mai viste prima neanche su National Geographic, alcune forse perché troppo insulse. Lumache bitorzolute, felini un po’ rachitici, mustelidi buffi. Si presentò a Cammella Eva, che masticava con indifferenza e poi aiutò Salvo nelle mille cose da fare. Dall’iniziale inquietudine, rimase affascinata dal mondo di Salvo. Non gli credeva, non poteva avere ragione sull’alluvione, ma quello che aveva costruito era un piccolo mondo bellissimo. Si stava innamorando.
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