Le due democrature del Medio Oriente, non le uniche
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Il terremoto ha lasciato ferite in Anatolia, ma i rivolgimenti nell’area sono improntati al più cupo pessimismo, non solo per come un dittatore ha potuto stravolgere lo spirito della comunità...
show moresulla sponda meridionale del Mediterraneo orientale della sedicente unica democrazia del Medio Oriente, che si trova alle prese con il congelamento di questa riforma che completerebbe la trasformazione dello stato laico israeliano in una democratura confessionale senza divisione tra poteri, fondato sull’apartheid, che cancella libertà fondamentali a seguito della alleanza tra il Likud e le più viete posizioni reazionarie di una destra feroce, a causa della hybris di un tracotante politico privo di scrupoli che intende soltanto riuscire a evitare il carcere.
Tutto è dunque improntato all’impunità e all’uso da parte dell’oligarchia al potere delle risorse nazionali per assicurare la continuità del potere, un quadro a cui si assiste dalla diffusione dovunque del pensiero di destra e del capitalismo neoliberista.
Molti sono i tratti comuni tra le due nazioni rivali, eppure sempre pronte a scambiare affari. Forse l’ambito di maggiore aderenza e scambio diretto (o più facilmente per via di triangolazioni) è quello delle armi (prodotte, vendute e comprate con tutti, senza scrupoli di alcun genere) e l’appartenenza a uno stesso fronte atlantista, ma anche procurarsi risorse (gli affari con il “curdo utile” Barzani per Ankara; il gas attorno a Cipro per entrambi), e pure l’importanza ipocrita della religione per entrambe le competizioni elettorali da cui discendono le alleanze incongrue e il costante riferimento alla centralità delle comunità confessionali in una società estremamente divisa, dove, come acutamente individua Eric a proposito di Israele, le sfumature non sono mai totalmente laiche in un abbraccio esiziale tra politica e gruppi religiosi, lo stesso che ha mantenuto Erdoğan al potere per 20 anni e che oggi, con il trionfo delle destre sioniste, tende alla teocrazia per ridurre le possibilità democratiche delle minoranze ed è difficile sperare che l’insurrezione in corso contro Netanyahu non porterà a un cambiamento radicale: infatti pochissimi dei manifestanti chiedevano di risolvere la questione palestinese.
Allo stesso modo la coalizione di Kemal Kiliçdaroglu, che per ora si accontenterebbe di sottrarre la presidenza a Erdoğan, poi dovrebbe trovare un programma di minima condiviso, magari emendando in prima istanza la Costituzione – che Israele non ha, affidandosi a una dozzina di leggi fondamentali come base a cui fare riferimento – che risale ancora al governo golpista turco del 1980, sostituire la legge elettorale, eliminando il presidenzialismo… ma poi le disparità sarebbero enormi e imporrebbero nuove elezioni.
Persino i confini sono vaghi – liquidi direbbe Bauman – perché Israele ha confini mutanti… ma anche la Turchia rivendica isole greche a poche miglia dalla costa.
Non di secondo piano l’importanza delle pulsioni razziste: contro i palestinesi per Tel Aviv, ma non solo perché tra ashkenaziti, sefarditi e falascià ci sono livelli diversi di importanza e di preparazione, con riferimenti diversi alla dottrina sionista; contro i siriani e gli afgani per Ankara; a questa gara di intolleranza razzista non si sottraggono nemmeno i candidati di sinistra. In entrambi i casi l’oggetto delle attenzioni sono popolazioni simili e vicine: tutti semiti gli uni, tutti mesopotamici o dell’Asia centrale nell’altro caso.
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Author | OGzero - Orizzonti geopolitici |
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