Omelia XXXIII domenica tempo ordinario - Anno A (Mt 25, 14-30)
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La parabola dei talenti ci presenta due categorie di cristiani: quella di tutti coloro che, con diligenza, fanno fruttare ciò che hanno ricevuto dal Signore; e quella composta da coloro che, invece, non pongono alcun impegno e vanificano tutte quelle belle qualità che Dio aveva loro dato. Ad ognuno di noi Dio ha dato delle grazie, delle capacità, o, per adoperare le parole del Vangelo, dei talenti, che devono essere utilizzati per la gloria di Dio, per la propria santificazione, e per il bene del prossimo.
Ciò che Dio vuole vedere in noi è l'impegno, la buona volontà, non tanto la riuscita. Spetterà poi a Lui premiare i nostri sforzi e le nostre iniziative con un buon risultato. Se manca l'impegno nostro, non possiamo presumere di avere l'aiuto di Dio; se, al contrario, abbiamo riposto ogni impegno e, malgrado ciò, i risultati sono scarsi, possiamo restare tranquilli in coscienza: abbiamo fatto ciò che potevamo.
Nessuno può addormentarsi e rimanere ozioso; tutti devono lavorare nella vigna del Signore, secondo i talenti ricevuti. Tocca a noi scuoterci dal nostro torpore e prendere coscienza di tutte le possibilità di cui Dio ci ha arricchiti per contribuire al bene. Se faremo così, un giorno ci sentiremo dire dal nostro Signore: «Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21). Se, al contrario, ci faremo prendere dalla negligenza e "nasconderemo il nostro talento sottoterra" (cf Mt 25,25) come quel «servo malvagio e pigro» (Mt 25,26) di cui parla il Vangelo, saremo gettati fuori, ove «sarà pianto e stridore di denti» (Mt 25,30). Queste parole ci fanno comprendere la gravità di alcuni peccati a cui raramente si pensa, la gravità dei peccati di omissione. Non siamo manchevoli davanti a Dio solamente per il male che facciamo, ma anche per il bene che trascuriamo di compiere. All'inizio della Messa, abbiamo detto di aver molto peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni. Lo diciamo ogni domenica, ma ci pensiamo poche volte. Il Vangelo di oggi ci serva di stimolo per rivedere la nostra vita e per mettere ogni impegno nel compiere il bene.
Quasi sicuramente, è molto più grande il bene che non abbiamo compiuto, piuttosto che il male commesso. E, anche quando compiamo il bene, la nostra diligenza lascia molto a desiderare. Tante volte viene da dire che i figli delle tenebre pongono ogni impegno nel compiere il male, mentre noi, che vogliamo servire il Signore, ci accontentiamo di mezze misure. Se li imitassimo nel loro impegno, quanto grande sarebbe il bene che riusciremmo a compiere, quanto grande sarebbe la gloria che riusciremmo a dare a Dio, e quanto maggiore sarebbe il bene che riusciremmo ad arrecare al prossimo!
San Paolo, nella seconda lettura, esorta i cristiani ad essere vigilanti perché «il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (1Ts 5,2). I «figli della luce» (1Ts 5,5) – così li chiama san Paolo – devono rimanere desti e non devono farsi trovare impreparati. Soprattutto, i cristiani non devono farsi trovare addormentati nel sonno della pigrizia. L'Apostolo delle genti dice infatti: «Noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (1Ts 5,6). Dobbiamo essere trovati desti nella preghiera e nel compimento delle opere buone. Un esempio molto bello di questa santa operosità ci è offerto dalla prima lettura di oggi. L'autore del libro dei Proverbi elogia la donna saggia che mette Dio al primo posto nella sua vita e che riempie le sue giornate di tante opere buone: «Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città» (Prv 31,30-31). Questa lettura elogia le opere buone di questa donna. Ella dà al suo sposo «felicità e non dispiaceri per tutti i giorni della sua vita» (Prv 31,12); ella lavora nella sua casa e «stende la mano al povero» (Prv 31,20); lo scrittore sacro afferma che «ben superiore alle perle è il suo valore» (Prv 31,10).
Le parole che abbiamo meditato ci fanno comprendere che un cristiano vale per l'amore che porta a Dio e al prossimo, e non di più. Il mondo segue le vanità e ricerca solo i piaceri; la Parola di Dio ci insegna invece il valore supremo che è quello della carità.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
Pubblicato su BastaBugie n. 690
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