Parole in viaggio - puntata #23
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Buonasera a tutti e bentornati sulle frequenze di parole in viaggio Stiamo vivendo giorni molto particolari, giorni in cui il concetto di tempo e di spazio lasciano posto a una...
show moreStiamo vivendo giorni molto particolari, giorni in cui il concetto di tempo e di spazio lasciano posto a una nuova concezione di vita. La diffusione di questo virus ha sconvolto non tanto la paura e l’angoscia di esserne vittima, quanto invece ha rivoluzionato le nostre abitudini. C’è una duplice prospettiva, da un lato purtroppo le persone che stanno vivendo il contatto con la malattia, da chi è vittima del virus a chi cerca di rendere la guarigione più veloce e sicura possibile ( e a tutte queste persone va il nostro pensiero, il nostro supporto e il nostro ringraziamento), dall’altro invece la gran parte della popolazione che è costretta a rivedere tutto ciò che prima era scontato e abituale.
Una quarantena forzata per chi ha conosciuto il virus, una quarantena forzata anche per chi fortunatamente non l’ha incontrato.
Quarantena è una parola che in questi giorni viene spesso usata, l’isolamento, l’abbattimento dei contatti tra persone. Il concetto di quarantena nasce in pieno medioevo, quando a Venezia, la Serenissima Repubblica di Venezia, nel suo periodo di splendore, gestiva contatti mercantili e non con tutte le terre allora note, tutto il mondo conosciuto era in contatto con Venezia. E anche per questo non di rado arrivavano con merci e persone, anche malattie. Una volta Scoperto che il contatto era la causa, obbligarono l’equipaggio delle navi che sbarcavano a passare un periodo di isolamento prima di girare liberamente per calli e campielli, un periodo durante il quale se non comparivano strani sintomi o segni nel corpo, identificava la persona come non portatrice di malanni. Un periodo di quaranta giorni, una quarantina di giorni da cui la nostra parola…
e di eventi catastrofici, purtroppo, ne è piena la storia dell’uomo; ancor di più da quando l’uomo ha iniziato a documentare ciò che succedeva: la parola ha trasformato i fatti in memoria collettiva, sebbene non sempre la memoria collettiva rappresenta quell’archivio che tutti siamo invitati a consultare. Non sempre gli esempi del passato sono elemento sufficiente per considerare i fatti del presente. Forse per pigrizia, perchè in fin dei conti è una delle caratteristiche umane più innate, affrontare un compito usando il minor sforzo possibile. Consultare le fonti del passato, analizzarle, compararle con i dati attuali, fornire diverse prospettive di lettura, scegliere la strategia risolutiva: sono tutte azioni che richiedono sforzo e energia, non sempre facilmente disponibili. Un esempio l’abbiamo davanti agli occhi, in queste due-tre settimane abbiamo sentito usare la parola virus e relative conseguenze in mille modi diversi, anche dalla medesima persona. E pazienza se il racconto viene da l’uomo che ne discute a tavola con la sua famiglia, è più che legittimo cambiare opinione; mi lascia molto più perplesso se questa mutazione di pensiero avviene dai vertici, da governatori che hanno in mano la salute dei loro cittadini… e purtroppo qualche esempio, senza fare nomi, li abbiamo sentiti: un giorno è influenza, un giorno bisogno chiudere tutto, il giorno dopo le scuole vanno riaperte, un altro giorno va estesa la zona rossa, un altro ancora il servizio sanitario è pronto, il giorno appresso la sanità è al collasso, un giorno è colpa dei topi o di chi li mangia, un giorno è pandemia.
Siamo tutti esseri umani, in fin dei conti è una delle verità che questo virus ogni giorno ci ricorda. Siamo tutti esseri umani, con le medesimi fragilità, e possiamo tutti sbagliare, soprattutto nel valutare, nel dare un’opinione.
E siamo così umani che infatti le parole scritte 200 anni fa calzano ancora perfettamente, mi riferisco agli ultimi paragrafi del capitolo 31 dei Promessi Sposi che raccontano come anche medici, giudici, governatori dell’epoca adattarono il loro pensiero sulla peste, a quella malattia che nessuno inizialmente voleva chiamare con il suo nome.
In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro.
Non è, credo, necessario d’esser molto versato nella storia dell’idee e delle parole, per vedere che molte hanno fatto un simil corso. Per grazia del cielo, che non sono molte quelle d’una tal sorte, e d’una tale importanza, e che conquistino la loro evidenza a un tal prezzo, e alle quali si possano attaccare accessòri d’un tal genere. Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare.
Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire.
straordinariamente attuali le parole del Manzoni,
l’uomo agisce con semplicità, con rapidità, scegliendo spesso la strada più facile e meno faticosa.
Eppure, in questi giorni è chiamato a fare un grandissimo sforzo, forse il più imponente sforzo che si possa chiedere a un essere umano: cambiare le sue abitudini. Non c’è richiesta più pesante che si possa fare a un uomo se non quella di cambiare, cambiare l’ora della sveglia, cambiare punto di vista, cambiare ristorante, cambiare strada, cambiare lavoro, cambiare compagnia, cambiare quando i figli crescono, il cambiamento è spesso uno sforzo enorme. Uno sforzo che porta con sè anche grandi vantaggi se è accompagnato da un’attesa.
Cambiamento e attesa possono essere considerati due componenti di uno stesso elemento. E se c’è attesa, anche lo sforzo vien più facile.
E attesa, l’abbiamo già raccontata in un’altra puntata, è una parola che ci racconta come non è una questione di tempo, il tempo necessario per aspettare qualcosa, la sua durata. L’attesa è una questione di sguardi, attesa richiama il verbo latino attendere, prestare attenzione, osservare, dedicarsi a.
Ed ecco la chiave di lettura di questo periodo complesso: se siamo chiamati a cambiare le nostre abitudini, senza sentire un’attesa, saranno giorni infiniti, pesanti e difficili da sopportare. Se invece, affianco al cambiamento, sentiamo forte un’attesa, uno sguardo verso qualcosa che ci interessa, un’attenzione a qualcosa, una dedizione, ecco che il tempo sarà solo il mezzo per raggiungere quello che noi desideriamo
E prendendo in prestito le parole di Nicolò Fabi
come fare un viaggio al centro della terra
o a ritrovare sulla luna un senno nuovo
come cambia il peso delle cose
il valore del denaro
della forza delle braccia
del sonno e del risveglio
del pianto del sorriso
dell'aria che respiri
Buona attesa a tutti… andrà tutto bene!
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