Parole in Viaggio - puntata #29
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Bentornati sulle frequenze di Parole in Viaggio È iniziato un nuovo anno, è tempo di buoni propositi, è tempo di mettere davanti a noi alcuni punti fermi, è tempo prima...
show moreÈ iniziato un nuovo anno, è tempo di buoni propositi, è tempo di mettere davanti a noi alcuni punti fermi, è tempo prima ancora di capire quali possano essere questi punti fermi.
Questa epidemia ci sta lasciando dei segni, in qualche modo sta influenzando il nostro modo di vivere. Pensiamo alla mascherina, questo semplice dispositivo che ci protegge. Ma è anche un dispositivo che si pone tra due persone che si parlano, uno scudo contro i virus, una barriera per le parole che escono e di cui non vediamo la fonte. Siamo semplicemente costretti ad ascoltare il suono immaginando la sua provenienza.
Non a caso l’ascolto diventa più difficile, difficile perché è un semplice suono. Pensiamo a tutte le videoriunioni, in cui abbiamo scelto di spegnere la webcam, anche quando si parla. L’interlocutore riceve un semplice suono, proprio come quando si porta la mascherina.
E vale quindi la pena riprendere il concetto di ascolto, del verbo ascoltare che nel suo latino richiama il sentire con l’orecchio, dedicare il proprio orecchio all’altro. E l’orecchio nella sua versione ebraica richiama un’entità divina che nutre l’anima, come se l’orecchio divenisse lo strumento per accogliere il messaggio di qualcosa di più grande.
Non a caso infatti il verbo ascoltare ha portato varie influenze nella lingua, pensiamo all’obbedienza che altro non è che il semplice ob audire, ascoltare chi sta innanzi, o al verbo inglese to scout, scoprire, esplorare che deriva dal francese escouter, perché ascoltare altro non è che un esplorare con l'orecchio. O la stessa scolta, la sentinella che tra tutte le cose è chiamata a usare l’attenzione ai rumori, a prestare ascolto.
In altre parole ascoltare significa proprio dedicare spazio e tempo all’altra persona, porsi in una condizione di ricezione, rimanere senza scappare con i pensieri.
Infatti scappare potrebbe diventare un suo possibile opposto. Proviamo intanto a ricordare la sua etimologia, il latino ex cappare, letteralmente togliersi la cappa. Ma cos’è la cappa? Un abito, una sopravveste lunga, dotata di cappuccio. È evidente che scappare, togliersi la cappa, significa liberarsi di tutto ciò che potrebbe compromettere la fuga: un abito lungo non facilita la corsa, come al tempo stesso potrebbe essere facilmente afferrato da chi ci rincorre. In più, lo stesso cappuccio limiterebbe il campo visivo, crea una barriera tra l’occhio e l’orizzonte.
Pertanto, se si sceglie la fuga, è fondamentale svestirsi di questo intralcio, di questo abito poco adatto. Lo scappare quindi non è ancora la fuga, c’è una sottile differenza, è la scelta di non affrontare il presente e prepararsi ad evadere
In altre parole, tornando all’ascolto, lo scappare diventa proprio la scelta di non dare attenzione all’altro
Per questo nuovo anno, proviamo a tenerci la cappa e dedicare il giusto tempo all’altro, all’ascolto dell’altro, alla sua storia,
e anche se a volte scappiamo, proviamo a ritornare, come dice Daniele Silvestri
"Se potessimo tornare
Al ricordo che hai di me
Alle cose come sono
O come erano prima di distruggerle"
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