Il generale Li Kuang osservava l’ampia vallata dall’alto della collina dove sorgeva la ricca dimora della sua famiglia. Le sue proprietà si stendevano al di là dell’orizzonte, oltre i grandi boschi, oltre il corso serpeggiante del fiume, oltre la pianura che si scorgeva in lontananza. L’imperatore Wu, dopo l’ultima vittoria contro l’esercito nemico, gli aveva concesso il feudo più grande di tutto l’impero e la carica di Gran Guardiano della Corona. La sua fama di arciere superava quella dei più grandi guerrieri del passato e si era sparsa fin negli angoli più remoti del Giappone. Il giorno seguente sarebbe partito per la capitale; i servi e gli stallieri stavano caricando i cavalli con un gran numero di magnifici doni per l’imperatore e Li Kuang sorrideva al tramonto ringraziando gli dèi per gli onori e la gloria che le sue imprese coraggiose avevano assicurato al paese e alla sua famiglia. Un improvviso vociare e lo scalpitio di un cavallo interruppero la serenità della sera. Un uomo trafelato si inginocchiò posando ai suoi piedi una sciarpa insanguinata: «Signore, una terribile disgrazia… la grande tigre, Shramana…» Li Kuang riconobbe il velo color del sole che sua madre portava sul capo. Fece un gesto e l’uomo proseguì: «La signora del castello era sul fiume, con le sacerdotesse, per le offerte agli dèi, quando è apparsa la grande tigre: con un balzo è piombata su di lei, divorandola, con un altro balzo è di nuovo sparita nel bosco». Li Kuang sentì il cuore trafitto da mille pugnali, ma gli occhi rimasero di ghiaccio: «Presto, le mie armi, il cavallo e dodici cavalieri!» In pochi istanti il gruppo di arcieri si slanciò giù per la collina, verso il bosco, mentre il sole calante tingeva di rosso il fiume e la pianura. «Shramana, mostro assassino, non sfuggirai alla mia vendetta» pensava Li Kuang; sentiva che stava andando incontro alla battaglia più difficile della sua vita, doveva affrontare faccia a faccia il demone del male che aveva distrutto la sua famiglia, mentre nella sua mente si affacciavano i volti delle donne e degli uomini che negli ultimi mesi erano stati uccisi dalla grande tigre. Sentì che tutto il coraggio che lo aveva reso vittorioso contro gli eserciti nemici questa volta non sarebbe bastato; cercò dentro di sé una forza più profonda e la trovò. Non si era mai sentito così determinato, cavalcava verso il folto del bosco come se conoscesse il punto esatto in cui i suoi occhi e quelli di Shramana si sarebbero incontrati. E all’improvviso, nel mezzo di una radura, la vide, accucciata immobile nella penombra. Con gesti silenziosi e veloci Li Kuang tese l’arco e scagliò una freccia, sentì un sibilo e la vide penetrare nel cuore della tigre. Un grido di vittoria uscì dalle labbra dei suoi uomini, ma quando tutti si avvicinarono al corpo inerte, si accorsero con grande meraviglia che la freccia era penetrata interamente in una grande pietra che avevano scambiato per la tigre. Li Kuang, incredulo, si allontanò dalla roccia e scagliò un’altra freccia, un’altra e un’altra ancora, ma le punte rimbalzarono e le aste si ruppero. «Tanta era la tua fede, Signore! – mormorò un cavaliere – Lo stesso accadde all’Imperatore di Han, il quale credette senza alcun dubbio alle parole del suo servitore, tanto che il fiume gelò ed egli potè portare in salvo il suo esercito». Li Kuang si sedette ai piedi della pietra e le lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi. Si narra che la caccia riprese: la tigre fu raggiunta e uccisa e Li Kuang divenne noto come il Generale Tigre di Pietra.
Questa storia è raccontata nel Konjaku monogatari shu.
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