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Benvenuti a Chiamando Eva, una conversazione quindicinale su donne, femminismo e la vita.
8 MAR 2022 · Se il conflitto contro la Russia ci insegna che molte donne donne ucraine sono venute in Italia per svolgere lavori domestici, l'ultimo rapporto Domina dimostra quanto il loro lavoro rimanga precario, senza garanzie e spesso invisibile.
Chiamando Eva torna dopo una settimana di pausa per riflettere sul lavoro domestico in Italia, partendo dal bluff di Lucia Annunziata e Antonio Di Bella. “Centinaia di migliaia di cameriere e badanti…” e “amanti”: si sono riferiti così i due giornalisti alla comunità ucraina in Italia. Annunziata e Di Bella si sono scusati, ma forse era il caso proprio di non dire una cosa del genere in principio.
In Italia una grande fetta di popolazione femminile si dedica al lavoro domestico — ma viene spesso trascurata nel dibattito pubblico o, ancor peggio, trattata con razzismo.
Una buona notizia per il settore è di inizio anno: dal primo gennaio 2022 ci sono nuovi minimi retributivi per il lavoro domestico. Il sindacato Assindatcolf ha fatto però notare che cambierà ben poco. Sono infatti pochi i lavoratori regolarizzati: la maggior parte si muove in nero. Il report di Domina uscito settimana scorsa mostra infatti che, nonostante la domanda di lavoro domestico sia in aumento, gli irregolari (circa un milione) continuano a superare i regolari (921 mila). La metà dei lavoratori sono extracomunitari — spesso senza permesso di soggiorno — che si trovano in difficoltà a richiedere la cittadinanza perché senza lavoro contrattualizzato. Le principali nazionalità sono Romania, Ucraina e Filippine. Ma non per questo possiamo definire gli ucraini una popolazione di “badanti.” Al posto di fermarsi agli stereotipi, bisognerebbe invece analizzare le intersezioni tra disuguaglianze di genere e razziste che caratterizzano il settore.
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in copertina, foto via Twitter / @PolandMOI
21 FEB 2022 · Commenti sui vestiti e sessismo interiorizzato: il dibattito su educazione e libertà in corso in questi giorni dimostra ancora una volta come alcuni docenti non abbiano gli strumenti per capire i loro studenti.
Lo scorso 16 febbraio ha iniziato a circolare online la notizia di una protesta a opera degli studenti di un liceo romano, il Liceo Righi, contro un episodio sessista avvenuto in una classe dell’istituto. Sembra che una professoressa abbia visto delle ragazze registrare un video per TikTok durante un’ora buca e si sia rivolta a una di loro, colpevole di avere la pancia scoperta, chiedendole “se fosse per caso sulla Salaria.”
Questo episodio ha causato due diversi moti contrapposti: da un lato, la protesta degli studenti e delle studentesse, che hanno deciso di picchettare in gonna e pancia in bella vista per ribadire che il sessismo non può avere spazio nelle scuole. Dall’altra la giustificazione di alcuni insegnanti — e di alcuni opinionisti — che hanno messo sul tavolo il tanto amato dibattito su quale sia e quale non sia il dress code più consono alla scuola.
Non solo. La professoressa da cui tutto è partito ha voluto spiegare le sue azioni, dicendo che la sua reazione sarebbe stata scatenata non tanto dall’abbigliamento della ragazza, quanto dal fatto che stesse registrando un video all’interno della classe, in orario scolastico, e che un video di quel tipo, con quella pancia in vista, una volta online avrebbe potuto causarle non pochi problemi.
La preside del liceo romano, in un’intervista al Corriere, ha dichiarato che la professoressa non voleva offendere la ragazza, ma voleva tutelarla. La preside dice, testualmente, che viviamo in un cliché e che l’espressione utilizzata dalla professoressa è semplicemente un modo di dire, quasi svuotato del suo significato.
Se anche fosse così, forse converrebbe arrivare al punto, e dirsi che il sessismo interiorizzato è e resta un problema della nostra società, e che se gli adolescenti hanno smesso di accettarlo passivamente è una grande conquista per tutti – anche – per la scuola.
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14 FEB 2022 · Chiamando Eva torna per la prima puntata dell’anno, dopo un’edizione di Sanremo che ha cercato davvero di dare spazio a nuove voci e nuove identità — riuscendoci solo parzialmente.
Ai tempi dei Romani, febbraio era considerato l’ultimo mese dell’anno — il nome del mese sembrerebbe derivare da “februare,” che in latino significa “purificare:” era infatti dedicato a riti purificatori in vista dell’anno nuovo. Ed è un po’ questa la funzione che sembra aver assunto Sanremo.
Il festival per una settimana concentra su di sé l’attenzione di tutto il paese in una vera e propria catarsi collettiva. Quest’anno, ancora più che nelle scorse edizioni, ci ha restituito una fotografia delle due velocità in cui si muove l’Italia.
Apprezzatissimi i discorsi commossi e giusti di Lorena Cesarini e Drusilla Foer, che con parole semplici hanno dimostrato quanto sia semplice ferire con il razzismo ed etichettare una persona in quanto “diversa.” Come ha detto Foer, “Le parole sono come le amanti quando non si amano più: vanno cambiate subito.” Durante Sanremo abbiamo sentito parlare di unicità, senza distinzione di genere, colore della pelle, orientamento sessuale. Solo pochi anni fa sarebbe stato impossibile pensare a momenti del genere in onda sulla rete nazionale. Ma è bastato aspettare qualche pubblicità per vedere Checco Zalone che faceva “umorismo” transfobico, o Fiorello che scherzava sulla lunghezza del membro del conduttore.
L’ultima parola però l’hanno avuta i cantanti, che hanno dimostrato in modo netto — con le musiche e i testi delle loro canzoni — in che direzione stiano davvero andando le nuove generazioni. Ed ecco Mahmood e Blanco, con un pezzo che smuove l’anima, e che —come ha raccontato Jonathan Bazzi in un editoriale su Domani — spiazzano tutti con la loro perfomance, dove “Riccardo/Blanco ha agguantato Alessandro/Mahmood con un impeto di rabbia e tenerezza violando la legge non scritta che proibisce ai maschi “normali” di giocare all’amore tra uguali.” Un momento che l’autore di Febbre ha definito “liberatorio.”
E lo è effettivamente stato. Così come è stato liberatorio vedere una cantante navigata come la Rettore a braccetto con una giovane Ditonellapiaga cantare serenamente di orgasmo. O Cosmo ospite dei La rappresentante di lista che canta “Stop greenwashing” nel festival sponsorizzato da ENI. Contraddittorio, sì: ma è proprio questa l’anima della televisione italiana, che spesso racconta un paese che cambia più velocemente di quanto riesca lei stessa a capire e raccontare. Il festival continuerà la strada intrapresa all’insegno del rinnovamento degli ultimi anni, riuscendo a dare voce al nuovo e all’inclusione? Solo se la risposta sarà sì, il risultato sarà davvero purificatorio.
23 DEC 2021 · Dal deadnaming nell’ultima puntata di Morgana al caso dei Corpi Astinenti, nella maggior parte dei casi l’opzione migliore sarebbe chiedere scusa e ammettere di aver detto qualcosa di sbagliato
Nelle scorse puntate, abbiamo già più volte parlato di privilegio: il privilegio del maschio bianco etero cis, per esempio. Il privilegio di chi è nato — o nata — nella parte del mondo considerata, tra mille virgolette, “fortunata.” Il privilegio di chi può fare la strada a piedi in piena notte senza paura.
Spesso la parte più difficile per chi vive nel privilegio è ammetterlo. Si fa fatica ad ammettere che su alcuni argomenti non possiamo mettere bocca — semplicemente perché non sappiamo davvero cosa significa vivere le vite degli altri. E non possiamo saperlo, perché siamo privilegiati, perché quella situazione, quello stato, non l’abbiamo mai vissuto.
Negli scorsi giorni si è parlato di privilegio in merito a due avvenimenti poco piacevoli che riguardavano la ormai celebre bolla dell’attivismo web. Da un lato, la puntata del podcast Morgana su Lana e Lilly Wachowski, dove le due registe venivano chiamate con i rispettivi deadname, e dall’altro la pubblicazione del saggio I Corpi Astinenti di Emanuelle Richard pubblicato per Edizioni Tlon e da molti accusato di afobia.
Non vogliamo ora entrare nel merito, e questa non vuole essere una puntata di dissing o di critica ad altre realtà, però ci ha colpito come, in entrambi i casi gli autori o gli editori si siano limitati a spiegare le proprie ragioni, a giustificarsi, ancor prima di chiedere scusa alle parti offese, nello specifico alle persone transessuali e asessuali.
Non crediamo che le autrici di Morgana siano transfobiche, né che la casa editrice di Edizioni Tlon abbia qualcosa nello specifico contro le persone asessuali. Tuttavia, anche in un ambito che potremmo in un certo senso definire di “attivismo” si fa ancora troppa fatica a dirsi che per parlare di argomenti che sono estranei alla nostra sfera di privilegio bisogna quanto meno chiedere una consulenza a chi quella realtà la vive davvero.
E soprattutto, quando qualcuno sostiene di sentirsi discriminato, non ha alcun senso giustificarsi, perché non c’è motivazione che tenga. Bisogna chiedere scusa, ascoltare e imparare.
Fa parte tutto dello stesso principio: non esistiamo solo noi e la nostra voce non conta di più di quella degli altri. E credere di poter parlare di tutto e tutti senza chiedere a* dirett* interessat* cosa ne pensano a riguardo è semplicemente il frutto di una società bianca, patriarcale, eteronormata e anche colonialista.
Giustificare un comportamento discriminatorio è sempre sbagliato. Se lo facciamo continuiamo a perpetuare l’idea che alcune discriminazioni valgano più di altre, e non esiste errore peggiore.
Show notes
La ring light della Madonna
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13 DEC 2021 · A metà degli anni 2000 il modello da seguire era rigido e dannoso, basato sul dogma della magrezza: oggi va un po' meglio, ma continuiamo a non aver bisogno di un canone a cui paragonare i nostri corpi
Dopo 14 anni di onorato servizio chiude il reality show della famiglia Kardashian. Ma com’è cambiato il canone della bellezza femminile in un decennio e mezzo? Anche grazie a Kim Kardashian ci è stato imposto un modello di forme artefatte e dalla perfezione irraggiungibile, sdoganando definitivamente la chirurgia estetica anche presso il grande pubblico — ma che almeno ha avuto il merito di spazzare via l’ossessione per la magrezza con cui siamo cresciute negli anni duemila.
Oggi il canone viaggia sui social network, come TikTok, e la pressione per aderire a determinati modelli è ancora molto forte — l’esempio da seguire non è più la modella sul cartellone con la foto ritoccata, ma chi produce contenuti online, magari ritoccando in modo discreto le proprie immagini. Rispetto a quindici anni fa i nuovi social network e la cultura del body positive ha contribuito almeno a creare una maggiore consapevolezza dei rischi di un canone oppressivo, contribuendo a dare una voce anche a chi non si riconosce negli standard imposti o non è di origine europea. Ma abbiamo davvero bisogno di un canone di bellezza a cui paragonare i nostri corpi? (Ovviamente no.)
(A proposito: avete visto il video in cui Piton canta i My Chemical Romance per Natale? Bene, è il momento della vostra dose di nostalgia quotidiana.)
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29 NOV 2021 · A pochi giorni dal 25 novembre, le molestie in diretta a Greta Beccaglia hanno riportato al centro del dibattito il tema della violenza di genere e della sua impunità. Ma l'indignazione non basta, se non si decostruisce la cultura machista dominante.
Giovedì scorso era la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, e come ogni anno internet si è riempito di contenuti e polemiche più o meno strillate. C’è un’immagine in particolare che è rimbalzata nella nostra bolla, con una grafica che legge “protect your daughter,” “proteggi tua figlia.” La scritta è cancellata da una riga rossa, accompagnata da una correzione: “educate your son,” “educa tuo figlio.”
Non è un messaggio sbagliato: il patriarcato è ancora molto introiettato nella vita delle donne, ma lo è altrettanto nella vita degli uomini. Tuttavia, non si può non pensare che la scritta parli a una donna — per due motivi precisi: in primis perché sono le donne che proteggono le donne, e poi perché la società continua a volerci imporre che dei figli dovrebbe occuparsi la madre, non il padre. Si crea così un meccanismo per cui si de–responsabilizzano ulteriormente gli uomini: se un figlio cresce sessista e misogino, non è colpa del padre, ma della madre che lo ha educato male. Per superare tutto questo, però, servirebbe che tutti gli uomini fossero più disposti a parlare di mascolinità tossica, e di come alla fine, tutti questi problemi derivino dall’influenza del machismo sulla nostra società.
In Strappare lungo i bordi il giovane Zero andando a scuola vede un murales che dice “amare le donne è da froci.” Posto che non dovrebbe nemmeno servire specificare che essere omosessuali non è un insulto, in quella scritta c’è davvero tutto il discorso che stiamo facendo oggi: amare le donne, rispettarle, non ucciderle e non considerarle oggetti è una preoccupazione di chi, alla fine, non si sente così tanto virile, in un contrasto tra maschi di serie A e maschi di serie B, che se non ci impegniamo a distruggere continuerà a nutrire una logica di violenza.
Greta Beccaglia, la giornalista sportiva molestata in diretta durante la trasmissione di una tv locale toscana, ha ricevuto numerose attestazioni di solidarietà dal mondo della politica e del giornalismo, dopo che il video della molestia è diventato virale sui social. “Sono sempre più delusa da quello che mi è successo, ma ho ancora più voglia di fare la giornalista,” racconta in un’intervista. Il collega in studio che l’ha invitata a “non prendersela” si è scusato, dicendo di averlo detto per “non mandarla nel panico.” Lei stessa l’ha difeso: “In studio si è scusato molte volte e mi ha invitata a raccontare l’accaduto e a denunciare.”
Chiamando Eva torna lunedì 13 dicembre.
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In copertina, grab via YouTube
22 NOV 2021 · Il mondo è stato travolto da “All Too Well” e “Easy On Me” — ma perché nella musica pop le donne si trovano sempre a cantare di relazioni spezzate?
La nuova edizione di RED di Taylor Swift, insieme alla versione estesa di “All Too Well,” ha travolto il mondo. Per chi è neofita della cantante del Tennessee e non è mai stato un suo accanito fan, “All Too Well” è una canzone che parla della relazione fra una ragazza che sta per compiere 21 anni e un uomo già trentenne. All’inizio è un tripudio di romanticismo, è autunno, lui la invita dai suoi, ballano nel bel mezzo della notte illuminati solo dalla luce del frigorifero, è tutto bello. Poi però le cose cominciano a non andare più tanto bene e la storia finisce dopo soli tre mesi. Lei ci sta male per mesi, forse anni, ma lui conserva la sciarpa che lei ha dimenticato a casa della sorella. È opinione diffusa che lui sia Jake Gyllenhaal. Nonostante siano passati 11 anni, la canzone ha travolto i social — a partire dalla pagina Instagram di Gyllenhaal. È naturale essere empatici con la storia di Swift, e compartecipare a tutta questa sofferenza emotiva cantata ascoltando il pezzo. Tuttavia, non si può non notare come si tratti di una precisa strategia del personaggio di Taylor: ha costruito una carriera mettendo in musica i suoi insuccessi relazionali — cosa per cui è stata oltremodo criticata. Però, a prescindere dal fatto meramente economico, è vero che il modello che porta avanti è quello di una donna che adesso riguarda alle sue sofferenze con lo sguardo fiero chi è uscito vittorioso dai suoi traumi.
Traumi che però partono sempre dagli uomini.
Un’altra che di delusioni amorose se ne intende è Adele. La cantante inglese dopo un silenzio di sei anni è finalmente uscita con il nuovo album “30” anticipato dal singolo “Easy On Me.” Dopo i pianoforti arpeggiati di “Someone like You” e le urla al vento di “Hello,” la cantautrice britannica è tornata a darci un pugno allo stomaco parlando del suo divorzio. Nel videoclip girato da Xavier Dolan dice, fra le tante cose: “Non puoi negare che ci ho provato davvero / Ho cambiato chi ero per metterti al primo posto / Ma ora rinuncio.”
Ma quand’è che la smetteremo di avere cantanti donna (sarebbe il caso di menzionare che sono anche etero e bianche) che cantano di quanto sono state deluse dagli uomini? Forse gli uomini non smetteranno mai di deludere le donne, ed è vero che i testi della musica pop da sempre sono legati al romanticismo e a raccontare storie relatable. ma forse un giorno saremo anche in grado di ascoltare qualcosa che non sia solo la malinconia per una relazione che poteva funzionare e invece…
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In copertina, elaborazione the Submarine. Foto: Taylor Swift, CC BY-SA 2.0 Eva Rinaldi; Adele, CC BY 2.0 Kristopher Harris, Jake Gyllenhaal, CC BY 3.0 Georges Biard
15 NOV 2021 · Quello del falso ginecologo pugliese è solo l’ultimo esempio di un episodio che mobilita attivist* e opinionist* sui social ma che poi esce dalla discussione alla stessa velocità con cui ci è entrato. Ma come si esce dal circolo vizioso dell'attivismo performativo?
Nei primi giorni di novembre è girato su Instagram un post che denunciava le molestie da parte di un presunto medico subite da 25 ragazze pugliesi. Le donne hanno riferito di aver ricevuto una chiamata da un numero privato e di essersi trovate a parlare con un sedicente ginecologo. Il tale dottor Licante, o Lirante, prima forniva loro dati e i informazioni relative a recenti analisi ginecologiche effettivamente sostenute, poi diagnosticava una qualche infezione e le inondava di domande inerenti alla loro vita sessuale, chiedendo, in alcuni casi, di fare anche una videochiamata.
Il post è diventato virale, riuscendo a raccogliere le testimonianze di altre donne che avevano subito la stessa molestia — arrivando a quota 125. L’interessamento alla vicenda ha però avuto vita molto breve. Come tutti i contenuti di attivismo social, dopo il picco di condivisioni il post è andato a scemare per essere poi sepolto da mille altri. Anche in questo caso, la brama di parlarne a priori ed esprimere sempre la propria opinione il prima possibile rischia di oscurare il vero senso di quello che facciamo e soprattutto del perché sia giusto farlo.
Da un lato i social ci spingono a essere sempre protagonist* — anche quando non siamo propriamente attivist* — ma, dall’altro lato, la loro conformazione strutturale ci porta al tentativo frettoloso di essere sempre in prima linea. I soprusi così creano scalpore per pochi istanti nella propria cerchia ristretta, che risponde in coro alla chiamata alle armi, per essere poi sostituiti e cadere nel baratro. Se i post di attivismo riescono a sensibilizzare su certe tematiche delicate e fondamentali, difficilmente però varcano la soglia della propria bolla online — e nel caso hanno vita molto breve. Questa dinamica improntata sulla velocità e su “chi-arriva-per-prim*” toglie un po’ di significato al proprio impegno politico e rischia di rimanere in superficie, senza andare veramente ad approfondire. Non è meglio a questo punto aspettare un attimo e chiedersi se il nostro contenuto rappresenta veramente un apporto positivo - non spinto dalla fear of missing out?
Intanto su TikTok l* adolescent* si prodigiano nel reality shifting, tecnica che dovrebbe permettere loro di cambiare realtà dopo essersi addormentat*. Tra le varie esperienze, ritorna di frequente il flirt con Draco Malfoy nel mondo magico di Harry Potter.
Show notes
Buon viaggio su Shiftok
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8 NOV 2021 · Chiamando Eva torna con una nuova stagione dieci giorni dopo una sconfitta storica per i diritti civili in Italia. Ma perché chi è al potere si dice perseguitato da una “dittatura,” quando si chiedono solo maggiori tutele?
Il 27 ottobre 2021 in Senato è stato affossato il ddl Zan. Con 154 voti favorevoli, 131 contrari e 2 astenuti, la richiesta di “non passaggio all’esame degli articoli,” la tanto discussa “tagliola,” ha spento in pochi minuti il sogno che aveva riempito le piazze di tutta Italia a sostegno dei diritti civili. Il resto della storia la sapete: sui social sono circolati i video – desolanti – dei banchi della destra esplosi in applausi e cori da stadio, in un exploit di goduria e follia collettiva.
Nelle pagine di Repubblica del 31 ottobre Luca Ricolfi, sociologo, scriveva un articolo molto critico in merito alla questione del politicamente corretto nella lingua e del tanto odiato asterisco o schwa. Nell’articolo si legge che “i discendenti dell’uomo bianco (anche se non hanno alcuna colpa) devono pagare per le colpe, vere o presunte, dei loro progenitori colonialisti, oppressori, schiavisti, in ogni caso privilegiati.” Chiara Valerio ha risposto qualche giorno dopo: dire “maschio bianco eterosessuale” per riferirsi a una determinata categoria di persone – guarda caso quelle stesse persone che non si sono mai poste il problema di nominarsi e che Kubra Gumusay chiama per questo “innominati” – non vuole essere degradante. Semplicemente è una categorizzazione fatta per insiemi. Tutti rientriamo in una qualche definizione, per quanto ci possa sembrare limitante.
Le due notizie rientrano in un più esteso sentimento di opposizione a qualsiasi istanza di trasformazione culturale verso una maggiore rappresentazione. Se il linguaggio inclusivo e la presunta “dittatura del politicamente corretto” fanno paura, bisogna chiedersi a chi.
La lingua in realtà è già di per sé in continuo cambiamento, in quanto specchio della cultura e del quotidiano. Il momento “linguisticamente molto frizzante” che stiamo vivendo, come aveva evidenziato la linguista Vera Gheno in una nostra intervista, è infatti mera espressione del grande sommovimento sociale attuale. Il cambiamento spaventa chi pensa che i propri privilegi siano a rischio – e così finisce per schernire i vari esperimenti. In realtà le due cose non sono autoescludenti. Un linguaggio che rappresenti coloro che oggi mancano degli strumenti per farlo non è un affronto a chi invece questo diritto già ce l’ha, ma un tentativo di apertura. Le trasformazioni non vogliono sradicare, ma aprire una porta, una possibilità.
Per fortuna, una buona notizia dal teatrino del Senato italiano c’è: con l’approvazione del Decreto Infrastrutture, sarà vietata qualsiasi forma di pubblicità a sfondo sessista, razzista o abilista per le strade.
In copertina, foto di Marco Casino
Show notes
Carə tuttə, il linguaggio inclusivo esiste. Perché non usarlo? Intervista a Vera Gheno
Il dibattito. Parlar “giusto” non è questione di etichetta - la Repubblica
Nel mondo senza schwa mio nonno era un geometro
Il ddl Zan non limita la libertà di nessuno: chi lo sostiene è in malafede
Risultati sondaggio: legge Zan, l’omotransfobia deve essere reato
Sondaggio BiDiMedia, Ddl Zan: la maggioranza degli italiani è a favore
Con l’affossamento del ddl Zan ha vinto il fondamentalismo cattolico
La marea umana per il ddl Zan
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28 APR 2021 · La storie che si celano dietro le lapidi nascondono più di una sorpresa. In questa puntata Giulia Depentor, autrice del podcast Camposanto, ci racconta quelle che hanno avuto come protagoniste alcune donne straordinarie
In questa nuova puntata di Chiamando Eva un’ospite speciale racconta il mondo delle sepolture femminili. Giulia Depentor, blogger e autrice del fortunato podcast Camposanto, è appassionata di cimiteri e negli ultimi anni ha dedicato tempo e attenzione alle storie di coloro che li abitano.
Non sempre è facile ricostruire il passato che si cela dietro una lapide, o persino trovare il luogo di sepoltura, anche quando appartiene a un personaggio famoso. Come il caso di Fernanda Pivano, sepolta al Cimitero Monumentale di Staglieno a Genova e volutamente “nascosta”: per trovare la sua tomba, conviene convincere il custode, ma non è un’impresa facile.
In altri casi invece, esistono cimiteri molto poco spettacolari e avvolti in una natura bucolica, o inquietante, come il cimitero Skogskyrkogården a Stoccolma dove è sepolta Greta Garbo, o il Friedhof Grunewald-Forst, il cosiddetto “cimitero dei suicidi” dove curiosamente volle farsi seppellire, insieme alla madre Margarete, Christa Päffgen, più comunemente nota come la Nico dei Velvet Underground.
Frequentare cimiteri porta anche a scoprire storie di donne meno famose ma non per questo con vite meno interessanti. È il caso di Rosa May, prostituta della cittadina di Bodie, un villaggio fantasma della California, mantenuto nello stato dell’epoca con l’architettura in stile far west, o della patriota tirolese Katharina Lanz, passata alla storia come colei che cacciò i nemici col forcone.
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