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Uno sguardo da vicino alla religione che ha cambiato la storia del mondo
13 NOV 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7977
IL VANGELO NON AMMETTE NEUTRALITA' O COMPROMESSId i Roberto Marchesini
Per diversi anni ho riflettuto su un atteggiamento ecclesiastico che possiamo definire con due slogan: «Cercare ciò che unisce e non ciò che divide» e «costruire ponti e non muri». Traduco: si può dialogare con la modernità; il Mondo non è pregiudizialmente ostile ai cattolici; gran parte della cultura contemporanea è neutrale, rispetto al Vangelo. C'è quindi la possibilità, se non di evangelizzare il secolo, per lo meno di dialogarci.
Con il passare del tempo mi sono convinto che questo atteggiamento sia eccessivamente ottimista e, forse, un po' ingenuo. E mi sono accorto che la soluzione del problema era già data in una lapidaria affermazione evangelica: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12, 30; Lc 11, 23).
Parlando con alcuni amici, scettici riguardo alla mia risoluzione, mi è stato fatto notare che nel Vangelo di Marco la frase era diversa: «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9, 40). C'è, dunque, chi non è contro di noi, la neutralità nei confronti del Vangelo è possibile. Non solo: San Paolo afferma che possiamo trovare qualcosa di buono dappertutto: «Vagliate tutto e tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 21). Purtroppo queste citazioni non permettono di sostenere la costruzione di ponti. Partiamo dalla prima. Essa è semplicemente una riproposizione della frase di Matteo e di Luca: non ammette una neutralità. Anche per Marco è necessario schierarsi: con Cristo o contro di Lui. Chi non è con Cristo non è neutro: è contro di lui; chi non è contro Cristo non è neutro, è con lui. Cristo divide, chiede di prendere posizione, non ammette neutralità.
La stessa cosa vale per san Paolo, il quale invita a vagliare tutto e a tenere ciò che è buono, integralmente buono; non ciò che ha una parte buona. Ricordiamo, infatti, che l'errore ha sempre una parte di verità; e che l'eresia non consiste nel rigetto totale della Verità, ma solo di una sua parte.
Ammettere una possibile neutralità nei confronti del Vangelo, inoltre, significa sminuirne l'importanza. L'incarnazione di Cristo ha diviso la storia in prima (a. C.) e un dopo (d. C.); allo stesso modo, ha diviso in due l'umanità e la cultura. È stato un avvenimento così importante che necessariamente richiede che si prenda posizione nei suoi confronti.
Sono confortato, nella mia posizione, da due importanti santi della Chiesa che hanno messo in evidenza il significato meta-storico dell'affermazione evangelica. In quella breve frase, infatti, è condensato un intero trattato di teologia della storia e la chiave di lettura per capire il rapporto tra Vangelo e modernità. Partiamo da san Giovanni Bosco, che ha scritto: «L'unica vera lotta nella storia è quella pro o contro la Chiesa di Cristo». È questa lotta che permette di capire tutta la storia dell'umanità, perlomeno degli ultimi cinquecento anni; ed è la storia del conflitto tra la Chiesa di Cristo e il Mondo.
Anche Giovanni Paolo II, nell'Evangelium Vitae, ha dato una lettura meta-storica del conflitto tra la luce di Cristo e le tenebre. Nei brani che seguono, il papa polacco sottolinea le implicazioni per la difesa della vita di questo scontro; ma non manca uno sguardo più profondo: «Questo orizzonte di luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ci troviamo non solo "di fronte", ma necessariamente "in mezzo" a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l'ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita (§ 28). [...] Nelle prime ore del pomeriggio del venerdì santo, "il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra... Il velo del tempio si squarciò nel mezzo" (Lc 23, 44.45). È il simbolo di un grande sconvolgimento cosmico e di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la vita e la morte. Noi pure, oggi, ci troviamo nel mezzo di una lotta drammatica tra la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ma da questa oscurità lo splendore della Croce non viene sommerso; essa, anzi, si staglia ancora più nitida e luminosa e si rivela come il centro, il senso e il fine di tutta la storia e di ogni vita umana (§ 50). [...] Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre (§ 104)». Giovanni Paolo II scrive di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la luce e le tenebre; e della «l'ineludibile responsabilità» di schierarsi dalla parte del bene e della luce. Chi non prende posizione, semplicemente, permette che il male accada e si diffonda; quindi, nuovamente, chi non è per Cristo è inevitabilmente contro di Lui.
C'è poco da illudersi, siamo in guerra. È una guerra totale, senza quartiere, nella quale non ci sono neutrali o indifferenti. Abbandoniamo le ingenuità e le favole disneyane, accettiamo la realtà.
22 OCT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7958
IL PAPA CREERA' 21 NUOVI CARDINALI... MA COS'E UN CARDINALE? di Roberto de Mattei
L'8 dicembre la Chiesa Cattolica avrà 21 nuovi cardinali. Il Sacro Collegio conterà quindi 256 membri, di cui 141 con diritto di voto nel prossimo conclave. L'annuncio della creazione dei nuovi cardinali è stato dato il 6 ottobre da Papa Francesco, che il giorno dell'Immacolata imporrà loro la berretta color porpora, segno della disponibilità a versare il sangue, pronunciando la solenne formula: "A lode di Dio onnipotente e a decoro della Sede Apostolica ricevete la berretta rossa come segno della dignità del Cardinalato, a significare che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all'effusione del sangue, per l'incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio e per la libertà e la diffusione della Santa Romana Chiesa."
Questa solenne formula non è solo un modo di dire: indica la responsabilità dei cardinali, che sono i più diretti collaboratori e consiglieri del Papa e formano una sorta di Senato della Chiesa. Per comprendere questa altissima missione dei cardinali è illuminante un episodio che traggo dal bel libro di don Charles T. Murr, L'anima segreta del Vaticano. Il profondo legame tra Pio XII e suor Pascalina, pubblicato nel 2024 dalle Edizioni Fede e Cultura di Verona (pp. 84-88).
IL PRIMO CARDINALE CINESE
La storia dunque è questa. Nel 1946 il Papa Pio XII elevò alla dignità di cardinale l'arcivescovo di Pechino Thomas Tien Ken-Sin (1880-1967), dando alla Chiesa cattolica il primo porporato cinese.
Nel 1949 la Cina cadde sotto il controllo del rivoluzionario marxista-leninista Mao Zedong, uno dei più feroci dittatori comunisti, che tenne il potere fino alla sua morte, nel 1976. In coerenza con i princìpi del marx-leninismo, Mao intendeva eliminare ogni presenza religiosa dalla nuova Repubblica popolare cinese. Tra tutte le religioni non gradite in Cina, il cattolicesimo romano era particolarmente odiato da Mao, che non solo detestava la dottrina della Chiesa, ma aveva timore della sua organizzazione a livello nazionale e internazionale. Tutti i vescovi e i preti cinesi furono invitati a rinnegare la loro fede per contribuire all'edificazione dello Stato socialista. Morte, prigionia, rieducazione nei campi di lavoro attendevano coloro che avessero voluto rimanere fedeli alla Chiesa di Roma.
Quando il cardinale arcivescovo di Pechino Tien Ken-Sin apprese che il presidente Mao aveva intenzione di accusarlo di tradimento e di farlo arrestare, riuscì a fuggire nottetempo e a raggiungere la città di Roma.
Una mattina il cardinale si presentò al portone di bronzo della Città del Vaticano, con le insegne cardinalizie, vestito di rosso dalla testa ai piedi. Si aspettava forse una calorosa accoglienza da parte del Papa, ma non fu così.
È a questo punto che interviene la testimonianza di Suor Pascalina, che era una fedelissima collaboratrice di papa Pacelli e al giovane don Murr, che la frequentava negli anni Settanta, raccontò: "Il Santo Padre mi chiamò nel suo ufficio quella mattina e mi disse che alla porta c'era un visitatore di eccezione. Poiché monsignor Tardini aveva in precedenza informato Sua Santità che il cardinale Tien era fuggito dalla Cina per salvarsi la vita, l'arrivo del cardinale alla soglia del Santo Padre non era stata una completa sorpresa. "Ad ogni modo - continua suor Pascalina - il Santo Padre non ne era affatto contento" e diede alla suora precise istruzioni per trasmettere un messaggio all'illustre porporato cinese . "Riferito da una donna - aggiunse il Papa - sarà più chiaro e la nostra rabbia sarà meno evidente".
PERCHÉ I CARDINALI VESTONO DI ROSSO
Suor Pascalina, alquanto nervosa, si presentò al cardinale Tien, che attendeva notizie in segreteria di Stato e, vincendo la sua ritrosia, gli disse: "Vostra Eminenza, il Santo Padre non può riceverla oggi, né in nessun giorno nel prossimo futuro".
"Ma io devo parlare a Sua Santità personalmente", protestò il cardinale. "Temo che non sarà possibile", rispose la suora. "Qualunque cosa desidera dire al Santo Padre, può dirla a monsignor Tardini appena rientrerà. Il Santo Padre mi ha chiesto però di porle una questione che lo lascia perplesso. Il Santo Padre desidera sapere a che cosa ha pensato quando ha accettato la berretta rossa. Vorrebbe anche chiederle perché pensa che i cardinali di Santa Romana Chiesa vestano di rosso. Se pensava che significasse qualcosa di diverso dalla disponibilità a versare il proprio sangue per Cristo e la sua Chiesa, allora qual'era per lei il significato di quel colore?".
Il cardinale non rispose e chiuse gli occhi rimanendo in silenzio. Suor Pascalina, prima di allontanarsi dalla stanza, diede un ultimo consiglio al cardinale. Gli disse che il Santo Padre era estremamente rattristato che avesse abbandonato il suo gregge nel momento in cui il suo popolo aveva più bisogno di lui. Avrebbe dovuto restare al posto che gli era stato assegnato. Se questo avesse significato la prigione o la morte, allora sarebbe dovuto ritornare in Cina, correndo tali rischi, invece di starsene seduto nella Città del Vaticano vestito di rosso. "Se decide di non tornare in Cina - aggiunse - credo che dovrebbe rassegnare le dimissioni al Santo Padre e lasciare la tonaca a qualcuno che sappia perché è rossa".
Il cardinale non si dimise e si ritirò a Chicago. Si può immaginare quanto severo fu il giudizio di Pio XII nei suoi confronti. Ma che avrebbe detto Pio XII sapendo che oggi il Vaticano collabora apertamente con gli eredi dei persecutori comunisti di allora? Eredi che non rinnegano, ma anzi rivendicano con orgoglio, il lascito di Mao Zedong e l'ideologia comunista del loro paese.
Intanto consiglio vivamente di leggere il libro di don Charles Murr, un sacerdote americano che, tra il 1971 e il 1979, ha passato la sua vita a Roma. Don Murr ha già pubblicato nel 2023, sempre per le edizioni Fede e Cultura, un importante libro dedicato a Massoneria vaticana. Logge, denaro e poteri occulti nell'inchiesta Gagnon.
Il nuovo libro è ricco di molti altri episodi e aneddoti che ci aiutano a leggere la storia della Chiesa dall'interno. Il pregio delle due opere di don Murr è che sono scritte con stile brillante, serietà storica e soprattutto vero amore alla Chiesa.
9 OCT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7947
LA SINDONE TRA RAGGI X E INTELLIGENZA ARTIFICIALE di Emanuela Marinelli
All'improvviso, in modo del tutto inaspettato, subito dopo Ferragosto è esplosa in Gran Bretagna una notizia sulla Sindone, subito ripresa dai mass media di altri Paesi, persino da Al Jazeera: il venerato lino è stato datato al I secolo d.C. con un nuovo metodo di analisi che utilizza i raggi X.
Tutto è partito da un articolo apparso su Mail Online Science del Daily Mail Online il 19 agosto a firma di Stacy Liberatore, che annunciava una ricerca resa nota... due anni fa. La giornalista non ha spiegato come mai solo ora è venuta a conoscenza di questo testo pubblicato nel 2022 su Heritage. Ma non importa: meglio tardi che mai!
Gli autori della ricerca, il fisico Liberato De Caro insieme ad altri, avevano già pubblicato su Heritage nel 2019 un precedente articolo riguardante questo nuovo metodo WAXS (Wide Angle X-ray Scattering) che utilizza i raggi X a grande angolo per valutare la degradazione strutturale che un antico tessuto di lino subisce nel tempo, in modo da attribuirgli un'età. Il metodo non è distruttivo e si può applicare anche a un piccolo campione di filo di mezzo millimetro.
La notizia contenuta nell'articolo di Heritage del 2022, rilanciata dal Daily Mail Online, è la datazione di un filo di Sindone con il metodo WAXS: il confronto con fili di epoche diverse ha permesso di collocare l'origine della Sindone all'epoca di Cristo, perché le misure ottenute sono paragonabili a quelle di un campione di lino, risalente al 55-74 d.C., che proviene dal sito archeolgico di Masada, in Israele.
Nei mass media che hanno ripreso la notizia c'è stato anche il parere del fisico Paolo Di Lazzaro, che ha avanzato qualche perplessità su questo nuovo metodo di indagine, come sempre accade nel dibattito scientifico. Ma il successo del primo articolo, che ha fatto balzare la Sindone fra i primi dieci argomenti più cercati su Google in inglese, ha incoraggiato il Daily Mail Online a pubblicarne altri nei giorni successivi: così il 20 agosto Stacy Liberatore ha parlato di David Rolfe, il regista ateo che si è convertito studiando la Sindone per un documentario che stava realizzando, il Silent Witness, mentre, sempre il 20 agosto, William Hunter ha trattato vari temi sindonologici interessanti, tra i quali la ricerca fatta dall'archeologo William Meacham su alcuni fili della Sindone presso lo Stable Isotopes Laboratory di Hong Kong. Secondo questo esame degli isotopi, il lino usato per confezionare la Sindone è cresciuto nel Medio Oriente. Fra gli argomenti presi in esame, Hunter però ripropone anche l'esperimento dell'antropologo forense Matteo Borrini e del chimico Luigi Garlaschelli, che volevano dimostrare come falsi i rivoli di sangue presenti sulla Sindone. Esperimento ampiamente smentito.
SMENTITA DEFINITIVAMENTE LA BUFALA DEL RADIOCARBONIO
Di nuovo Stacy Liberatore il 22 agosto ha scritto un articolo sulla Sindone, questa volta per parlare delle nuove ricerche dell'ingegnere Giulio Fanti, che fra l'altro afferma di aver riscontrato in alcune particelle di sangue la presenza di creatinina, prova dei traumi subiti dall'Uomo della Sindone.
Visto l'interesse via via crescente, Stacy Liberatore il 23 agosto ha fatto uscire un ulteriore articolo nel quale sono stata intervistata con il ricercatore francese Tristan Casabianca in merito alla ricerca che abbiamo pubblicato su Archaeometry insieme agli statistici Benedetto Torrisi e Giuseppe Pernagallo. Si tratta dell'analisi dei dati grezzi ottenuti dai laboratori che datarono la Sindone al Medioevo nel 1988. Questa analisi statistica ha permesso di smentire definitivamente la validità del test del 1988, perché fu condotto su un campione non rappresentativo dell'intero lenzuolo (clicca qui!). https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5643&testo_ricerca=Tucson
Il 28 agosto il Daily Mail Online ritorna ancora sull'argomento con un articolo di Ellyn Lapointe, che presenta altre ricerche di Liberato De Caro e di nuovo torna a parlare dell'analisi statistica presentata su Archaeometry.
Anche il 30 agosto appare sul Daily Mail Online un nuovo articolo, questa volta di Rob Waugh, per presentare un libro di tre anni fa che ricostruisce l'ipotetica storia della Sindone nei primi secoli.
Le altre testate rincorrono le notizie man mano pubblicate dal Daily Mail. Il sito francese del CIELT (Centre International d'Études su le Linceul de Turin) nella sua rassegna stampa di agosto elenca 170 articoli - di cui fornisce il link - che in quel mese hanno parlato della Sindone in vari giornali del mondo. Ma ancora una volta è il Daily Mail ad essere trainante il 2 settembre con un nuovo pezzo a firma di Rob Waugh, che mette in campo altre reliquie relative alla Passione di Cristo: il Sudario di Oviedo, la Tunica di Argenteuil, la Veronica del Vaticano.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Questo susseguirsi di notizie, anche datate, fa riflettere sull'interesse che la Sindone suscita nella gente e sul conseguente coinvolgimento dei mass media che ne parlano anche per avere visualizzazioni sui propri siti internet. Gli articoli sono seguiti sotto da centinaia di commenti contrastanti, nel turbine dei like o not like, pollici su o pollici giù.
Tra le varie curiosità suscitate dalla Sindone, c'è pure quella sull'aspetto di Gesù, soprattutto sul suo volto. Ecco allora che il Daily Mail Online ha interrogato l'intelligenza artificiale Merlin chiedendo: “Puoi generare un'immagine realistica di Gesù Cristo basata sul volto che si trova sulla Sindone di Torino”? Il 22 agosto Jonathan Chadwick ha pubblicato il risultato (nell'immagine, a sinistra).
Il giorno prima, 21 agosto, anche il Daily Express si era rivolto all'intelligenza artificiale, ma usando un diverso programma: Midjourney. Il risultato (nell'immagine, a destra) è stato pubblicato da Michael Moran come “il vero volto di Gesù”. Ma se questo è il vero volto di Gesù, come mai è diverso dall'altro? Eppure sono entrambi generati dall'intelligenza artificiale! La risposta è semplice: sono due programmi diversi, che evidentemente usano informazioni diverse.
In definitiva l'intelligenza artificiale non fa altro che elaborare i dati che sono stati inseriti.
Una terza elaborazione del volto di Cristo ottenuta con l'intelligenza artificiale partendo dalla Sindone è quella che si trova nell'articolo di Stacy Liberatore del 23 agosto sul Daily Mail Online. È un lavoro del disegnatore grafico Otangelo Grasso.
Dunque, risultati diversi che possono piacere di più o di meno a seconda del proprio gusto estetico, ma nessuno paragonabile davvero all'inimitabile originale: il volto sindonico!
9 OCT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7944
L'ORATORIO COME DIO COMANDA (IN 4 PUNTI) di don Armando Bosani
A partire dalla mia esperienza da ragazzo, ho imparato a vivere un'equazione: oratorio uguale a domenica, una domenica con tanti ragazzi alla Santa Messa del mattino, il catechismo, il gioco, la preghiera; e la presenza di adulti debitamente coinvolti in questo ambiente umano ed ecclesiale. È proprio questa la parola vincente per la trasmissione della fede, e che rende l'oratorio una strategia ancora vincente: ambiente.
Ma si deve trattare di vero oratorio, perché purtroppo, con il passare degli anni, esso è divenuto una mera esperienza ludica, a volte sportiva, senza alcuna connessione con la vita sacramentale, spesso disattesa, né con il catechismo, incastrato da qualche parte nei giorni feriali. E per lo più facoltativo.
Non mi sono mai rassegnato a questa metamorfosi dell'oratorio: volevo a tutti i costi rivitalizzare l'oratorio domenicale che vedevo chiaramente come la condizione indispensabile perché i ragazzi facessero un'esperienza positiva della vita cristiana e continuassero quindi a frequentare anche dopo la cresima, divenuta ovunque il sacramento dell'addio.
L'educazione cristiana non può fare a meno di un'esperienza significativa e coinvolgente, ben più ampia della semplice ora di catechismo, e ben più cristiana di una partita di calcio.
Ho così riscoperto e riproposto con energia quel circolo virtuoso catechesi-liturgia-animazione, in cui il legame organico fra le tre componenti mi pare costituisca il nucleo, l'essenza della tradizione oratoriana ambrosiana. Se si pensa infatti la catechesi fuori dalla vita dell'oratorio, la Santa Messa staccata dalla catechesi, l'oratorio staccato da entrambe, non si realizza quell'ambiente in cui il ragazzo viene educato "per immersione".
LA MIA ESPERIENZA
I risultati di questa impostazione, che cerco di realizzare ormai da oltre quarant'anni? Positivi, sia per la frequenza alla Messa e la possibilità di educare ad una partecipazione corretta alla liturgia, sia per l'effettivo inserimento nella vita della parrocchia, sia per la percentuale di presenze nel dopo cresima, sia per l'alto coinvolgimento dei genitori che, dopo un primo momento di perplessità, scoprivano la bellezza di rimanere nel proprio paese, di partecipare a qualche momento comunitario con i figli, di stare insieme, senza essere imbottigliati in chilometri di coda per inseguire il mito del week-end.
Nella mia esperienza è stato ed è fondamentale stabilire alcuni punti fermi che si ispirano a questa tradizione e che - è bene dirlo - mantengono l'identità dell'oratorio, tenendolo lontano dall'essere uno strumento della "pastorale del muretto", ossia uno strumento di recupero: l'oratorio ha ben altra funzione, che, se correttamente attuata, saprà svolgere anche - indirettamente - questa funzione. Come scriveva ormai trent'anni fa l'indimenticabile don Gioacchino Barzaghi, salesiano, «l'oratorio, per sua natura, è prima di tutto preventivo, e poi di recupero. Se fosse quasi esclusivamente di recupero avrebbe in sé una pericolosa contraddizione in termini, cui lo stesso don Bosco ad un certo punto della sua azione si trovò costretto a porre dei correttivi. Questo per far tacere per un momento la troppa retorica spesa al riguardo. Sono tutte affermazioni che mi sentirei di provare puntualmente, se ne avessi lo spazio».
PUNTI FERMI
Dunque, veniamo a questi punti fermi.
1. La conservazione del valore sacro della domenica come giorno del Signore, e non giorno della privacy familiare o del week-end. Si tratta del terzo comandamento e non credo si possano facilmente trascurare i diritti di Dio in nome dei diritti dell'uomo. Non ribadirlo con forza mi sembra un cedimento alla mentalità materialistica del nostro tempo e una pessima testimonianza di fronte alla radicalità con cui altre religioni vivono il loro giorno sacro.
2. La convinzione che una catechesi che non realizzi un inserimento del ragazzo (e quindi della famiglia) nella vita della parrocchia è solo un'infarinatura superficiale, che non può aspirare alla realizzazione di una vera formazione cristiana. E come la farina, viene portata via da un semplice vento leggero.
3. Non si possono sostituire la catechesi e l'istruzione religiosa con altre attività di animazione. Non possiamo permetterci di creare confusioni con attività parascolastiche e di annacquare l'immagine dell'oratorio. Che deve essere diverso dalle altre attività: come si può esigere con rigore la presenza dei ragazzi per attività che possono benissimo essere vissute (forse meglio) anche in altri ambienti e istituzioni?
4. La vita cristiana è caratterizzata anche dalla gioia, dalla fraternità e dalla condivisione, che il ragazzo deve poter sperimentare concretamente. E dove, se non in un ambiente in cui può trovare concretamente la comunità cristiana (adulti, giovani, coetanei) e non solo un gruppetto o la classe di catechismo? E quando, se non la domenica, il giorno del Signore?
L'oratorio, in un tempo di profonda e diffusa crisi educativa, non ha semplicemente ancora qualcosa da dire: ha una soluzione. L'oratorio oggi non lascia: raddoppia. Perché è chiaro che di fronte all'offensiva anti-educativa, la Chiesa deve avere sul piano educativo una offerta altra, una proposta qualitativamente distintiva, forte e integrale. Se l'oratorio si limitasse ad essere un posto per evitare che i ragazzi frequentino cattive compagnie, e, per questa ragione, facesse proposte banali, oppure - che non è affatto meglio - aspirasse a diventare il luogo di divertimento "della concorrenza", avrà il suo triste destino segnato. Ma è possibile, realistico e necessario puntare più in alto, con un po' più di fiducia in una "formula" che non proviene da improvvisati gruppi di esperti, ma poggia sull'esperienza secolare della Chiesa ambrosiana.
24 SEP 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7931
LE RELIGIONI NON SONO TUTTE UGUALI, NEMMENO SE LO DICESSE IL PAPA di Roberto de Mattei
Tra i più gravi errori oggi diffusi, anche negli ambienti cattolici, c'è quello secondo cui tutte le religioni si equivalgono perché adorano tutte un unico Dio. Quest'errore è gravissimo perché nega, alla radice, l'intrinseca verità della Chiesa cattolica. Purtroppo le dichiarazioni di papa Francesco al Catholic Junior College di Singapore, lo scorso 13 settembre 2024, sono su questa linea e, con tutto il rispetto che si deve al Papa, sono oggettivamente scandalose.
Il resoconto ufficiale del Vaticano riporta testualmente queste frasi di Francesco: "Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono - faccio un paragone - come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. "Ma il mio Dio è più importante del tuo!". È vero questo? C'è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood?" Capito?
La nostra risposta è immediata: no, Santo Padre, non abbiamo capito e non possiamo capire. La nostra religione e anche la storia della Compagnia di Gesù alla quale Lei appartiene, ci insegna tutt'altro.
La diocesi di Singapore, dove Lei ha fatto queste dichiarazioni, ha un illustre fondatore gesuita, san Francesco Saverio, che arrivò in Malacca, l'antico nome della zona, nel 1545. Nel 1558 il territorio venne elevato a diocesi, suffraganea di Goa, in India.
IL GESUITA SAN FRANCESCO SAVERIO
Francesco Saverio nato da nobili genitori nel 1506 in Navarra, studiò all'università di Parigi, dove ebbe come compagno di camera Ignazio di Loyola, che trasformò il giovane da studente modello a campione del Vangelo. Il 24 giugno 1537 fu ordinato sacerdote e nella primavera del 1539 fu tra i primi fondatori della Compagnia di Gesù. L'anno dopo, quando il re Giovanni III del Portogallo, chiese missionari per le colonie portoghesi, fu inviato in India dal Papa con il titolo di "Nunzio apostolico".
Giunto a Goa nel 1542, dopo un lungo e travagliato viaggio, passò per due anni di villaggio in villaggio, a piedi o su disagevoli imbarcazioni. esposto a mille pericoli, battezzando, fondando chiese e scuole, convertendo migliaia di abitanti, salutato ovunque quale santo e taumaturgo. Nel 1549 lasciò Goa per il Giappone, dove piantò i semi della fede cattolica. Il 17 aprile 1552, s'imbarcò per realizzare il suo ultimo progetto: portare il Vangelo in Cina. Nel corso dell'avventuroso viaggio approdò sull'isola di Sanciano, rifugio di pirati e contrabbandieri, dove si ammalò di polmonite, e privo com'era di ogni cura morì in una capanna il 3 dicembre dello stesso anno, dopo avere più volte ripetuto: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me! O Vergine, Madre di Dio, ricordati di me!".
Il suo corpo, due anni dopo, fu trasportato integro, prima a Malacca e poi a Goa, dove si venera nella chiesa del Buon Gesù. La Chiesa del Gesù a Roma ne conserva un braccio, amputato per essere venerato accanto alla tomba di sant'Ignazio. Fu beatificato nel 1619 da Paolo V e canonizzato nel 1622 da Gregorio XV. La Chiesa ne ha fissato la festa liturgica il 3 dicembre e lo ha proclamato patrono delle Missioni.
San Francesco Saverio tradusse in cristianesimo vissuto le parole rivolte da Gesù agli Apostoli: "Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo: chi invece non crederà, sarà condannato" (Mt. 16, 16). Le parole di Nostro Signore sono chiare: non c'è, ordinariamente salvezza, al di fuori del nome di Cristo. Si calcola che il Santo missionario abbia conferito il battesimo a circa 40.000 pagani, aprendo loro le porte del Paradiso.
LA LETTERA E L'ATTO DI FEDE
In una celebre lettera del 15 gennaio 1544, san Francesco Saverio scrive da Goa: "Da quando arrivai qua non mi sono fermato un istante; percorro con assiduità i villaggi, amministro il battesimo ai bambini che non l'hanno ancora ricevuto. Così ho salvato un numero grandissimo di bambini, i quali, come si dice, non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. I fanciulli poi non mi lasciano né dire l'ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho loro insegnato qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il Regno dei cieli (...) moltissimi in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d'Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: ahimé quale gran numero d'anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato nell'inferno! Oh! Se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti! In verità moltissimi di costoro, turbati a questo pensiero, dandosi alla meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al loro cuore, e messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal profondo del loro cuore: Signore eccomi; che cosa vuoi che io faccia? Mandami dove vuoi, magari anche in India".
San Francesco Saverio ci ha anche lasciato un "Atto di fede" che merita di essere recitato in ginocchio e profondamente meditato in questi tempi di confusione:
"Credo, con tutto il mio cuore, tutto ciò che la Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, mi ordina di credere di Voi, o mio Dio! Dio unico in tre persone.
Credo tutto ciò che la Chiesa crede ed insegna del Figlio eterno del Padre, Dio come Lui, e che, per me, si è fatto uomo, ha sofferto, è morto, è risuscitato e regna nel cielo con il Padre e lo Spirito Santo.
Credo infine tutto ciò che la Chiesa santa, la nostra madre, mi ordina di credere. Ho la volontà ferma di perdere tutto, di soffrire tutto, di dare il mio sangue e la mia vita, piuttosto che di rinunciare a un solo punto della mia fede, nella quale voglio vivere e morire.
Quando verrà la mia ultima ora, la mia bocca fredda non potrà forse rinnovare l'espressione della mia fede; ma confesso, fin d'ora, per il momento della mia morte, che vi riconosco, o Gesù Salvatore! come Figlio di Dio. Credo in Voi, vi dedico il mio cuore, la mia anima, la mia vita, tutto me stesso. Amen".
13 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7882
LA SCOMUNICA, UNA PENA MEDICINALE CHE AFFONDA LE RADICI NEL VANGELO
La scomunica consiste nell'esclusione dell'autore di un delitto canonico dalla comunione con la Chiesa (per stimolare il ravvedimento del colpevole)
di Giuseppe Comotti
Negli anni successivi al Concilio Vaticano II, in molti ambienti ecclesiali era stato messo in discussione il sistema penale canonico, vale a dire la previsione da parte della Chiesa di "pene" da infliggere ai fedeli colpevoli di comportamenti particolarmente gravi, non qualificabili solamente come peccati sul piano morale, bensì come delitti sul piano giuridico, per via della loro rilevanza per l'intera comunità cristiana, analogamente a quanto avviene nell'ambito del diritto penale degli Stati. Tale sistema era infatti avvertito come espressione di un modello ecclesiale sorpassato, troppo simile a quello statuale e soprattutto antitetico al messaggio evangelico.
In quegli anni era in corso la revisione del Codice di diritto canonico: nel testo alla fine promulgato da san Giovanni Paolo II nel 1983, frutto della consultazione con l'episcopato mondiale, l'intero Libro VI era dedicato alla disciplina penale della Chiesa, che vide così confermata la compatibilità ed anzi l'intima connessione con la natura e la storia della comunità cristiana; nel nuovo Codice, peraltro, il ricorso all'inflizione di pene canoniche veniva presentato come extrema ratio, rimessa in sostanza alla valutazione dei singoli vescovi diocesani o dei superiori maggiori degli istituti di vita consacrata, quando avessero potuto constatare l'inutilità di altri strumenti suggeriti dalla sollecitudine pastorale per raggiungere quelli che nella Chiesa sono i fini propri della pena: la riparazione dello scandalo suscitato tra i fedeli dal comportamento delittuoso di un membro della comunità, il ristabilimento della giustizia violata, il ravvedimento del colpevole (cfr. can. 1341).
In realtà, nonostante la conferma teorica nel Codice del 1983, l'esercizio della funzione punitiva da parte dell'autorità ecclesiastica si fece sempre più raro nella pratica, almeno fino a quando, all'inizio degli anni 2000, la drammatica emersione del terribile fenomeno degli abusi del clero sui minori e l'incalzante attenzione ad esso riservata dall'opinione pubblica hanno suscitato un rinnovato interesse per il diritto penale canonico, facendo percepire quanto dannosi fossero stati per la Chiesa l'erronea e fuorviante contrapposizione tra giustizia e carità e il sostanziale abbandono del ricorso alle pene canoniche da parte dei pastori.
LA PENA DELLA SCOMUNICA
Fu così che san Giovanni Paolo II, nel 2001, riservò alla competenza esclusiva della Congregazione (ora Dicastero) per la Dottrina della Fede la trattazione di alcuni gravi delitti (tra cui l'abuso sessuale dei chierici sui minori); Benedetto XVI avviò poi nel 2007 una revisione della disciplina penale canonica, che è stata portata a termine da Francesco con la promulgazione del nuovo Libro VI del Codice, avvenuta il 23 maggio 2021 mediante la costituzione apostolica Pascite gregem Dei.
Nel nuovo testo normativo continua ad essere prevista per alcuni gravi delitti la scomunica, la pena canonica più grave e peculiare del diritto della Chiesa, che affonda le proprie radici nell'epoca apostolica. La scomunica consiste, come dice il termine stesso, nell'esclusione dell'autore di un delitto canonico dalla comunione ecclesiastica, cioè dalla partecipazione attiva alla vita della Chiesa: lo scomunicato non può celebrare né ricevere i sacramenti, né può celebrare i sacramentali o compiere altre cerimonie del culto liturgico; gli è inoltre proibito esercitare uffici, incarichi ministeri o altre funzioni ecclesiastiche (can. 1331 §1).
La pena della scomunica riguarda ovviamente solo i cattolici e non si applica quindi ai fedeli di altre confessioni cristiane; come per ogni delitto canonico, l'applicazione della scomunica presuppone che il colpevole abbia compiuto 16 anni e che il comportamento delittuoso sia a lui gravemente imputabile per dolo, che cioè egli lo abbia commesso con piena consapevolezza e libera volontà. Attualmente non è prevista la scomunica per delitti colposi, commessi cioè per negligenza o superficialità.
Una peculiarità del sistema penale canonico è che non sempre l'applicazione della scomunica richiede una previa pronuncia di condanna da parte della competente autorità (si parla in tal caso di scomunica ferendae sententiae), ma nelle ipotesi espressamente previste dalla legge ecclesiastica vi si può incorrere automaticamente (latae sententiae), per il semplice fatto di avere commesso il delitto. In tal caso, la pronuncia di condanna da parte dell'autorità competente è solo eventuale e semplicemente dichiarativa del fatto che un fedele è già incorso nella scomunica; agli effetti pratici, peraltro, in assenza di una pronuncia espressa dell'autorità ecclesiastica, chi è incorso nella scomunica latae sententiae è chiamato in coscienza ad "autoapplicarsi" la pena, specie nel caso in cui il delitto sia occulto, cioè non conosciuto dalla comunità.
Questo aspetto della scomunica ne evidenzia la peculiare natura di pena medicinale, volta cioè principalmente non tanto a punire, bensì a "curare" il colpevole, facendogli percepire - nel suo stesso interesse - l'estrema gravità del proprio comportamento ed indurlo in tal modo a desistere dallo stesso ed a convertirsi.
In ragione di tale finalità, la pena della scomunica non è per sua natura perpetua né è mai stabilita per un periodo predeterminato, ma a tempo indefinito, venendo meno una volta raggiunto lo scopo, cioè il pentimento ed il fattivo ravvedimento del colpevole.
SCOMUNICA E PENE ESPIATORIE
In questo la scomunica si distingue dalle cosiddette pene "espiatorie", nelle quali è più evidente la finalità di riparare lo scandalo provocato e ristabilire la giustizia violata, indipendentemente dal fatto che il colpevole si sia nel frattempo sinceramente pentito. Ad esempio, per il delitto di atti sessuali compiuti da un membro del clero con persone minori non è prevista la scomunica, ma - nei casi più gravi - la dimissione dallo stato clericale: è una pena espiatoria, che comporta la privazione in perpetuo dei diritti e doveri discendenti dall'ordine sacro; se anche il colpevole manifestasse un sincero pentimento, la sua esclusione definitiva dall'esercizio del ministero sacerdotale può infatti rivelarsi l'unico strumento adatto a riparare lo scandalo suscitato nella comunità cristiana e ristabilire la giustizia, soprattutto nei confronti delle vittime.
Il Codice di diritto canonico, pur lasciando spazio alla previsione di altri casi di scomunica da parte dei vescovi diocesani con proprie leggi, espressamente stabilisce la scomunica latae sententiae per i più gravi delitti contro la fede e l'unità della Chiesa (can. 1364 §1), che sono - sin dall'antichità - l'apostasia (cioè il ripudio totale della fede cristiana), l'eresia (l'ostinata negazione di una verità di fede), lo scisma (il deliberato rifiuto di riconoscere l'autorità del Romano Pontefice). Tra i delitti contro le autorità ecclesiastiche, l'unico per il quale si incorre nella scomunica latae sententiae è quello commesso da chi usa violenza fisica nei confronti della persona del Papa (can. 1370 §1).
Diversi sono invece i casi riguardanti i delitti contro i sacramenti: la profanazione delle specie eucaristiche (can. 1382 §1); l'assoluzione da parte del confessore di chi è stato suo complice in un peccato contro il sesto comandamento (can. 1384); la violazione diretta da parte del confessore del sigillo sacramentale (can. 1386 §1): la consacrazione di un vescovo senza mandato pontificio (can. 1387) nonché l'attentato conferimento dell'ordine sacro ad una donna (can. 1379 §3).
Tutti questi delitti sono riservati alla Sede Apostolica, per cui la remissione della scomunica spetta unicamente ad essa (normalmente al Dicastero per la Dottrina della Fede o alla Penitenzieria Apostolica, salvo che intervenga direttamente il Pontefice).
SCOMUNICA LATAE SENTENTIAE
Tra i delitti contro la vita, il Codice prevede la scomunica latae sententiae per chi procura volontariamente l'aborto (can. 1397 §2); nel 2016 papa Francesco, a conclusione del Giubileo della Misericordia, ha concesso a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno commesso questo delitto, in precedenza attribuita solo al vescovo diocesano.
Mentre in articulo mortis ogni sacerdote può rimettere qualsiasi tipo di censura, compresa la scomunica, normalmente (salvo i casi riservati alla Santa Sede) la remissione spetta all'ordinario che ha promosso il giudizio penale o all'ordinario del luogo in cui si trova lo scomunicato, qualora la scomunica sia stata pronunciata con sentenza; se si tratta invece di scomunica latae sententiae non ancora dichiarata, essa può essere rimessa dall'ordinario ai propri sudditi (cioè dal vescovo diocesano oppure dal vicario generale ai fedeli della propria diocesi) o dall'ordinario del luogo in cui si trova lo scomunicato. Qualsiasi vescovo in sede di confessione sacramentale può rimettere una scomunica non ancora dichiarata, purché non riservata alla Santa Sede.
Ovviamente, la scomunica raggiunge il suo scopo se ad essa consegue il ravvedimento del colpevole, che è dunque la condizione imprescindibile affinché tale pena possa essere rimessa ed ogni pentimento, se è sincero, non può escludere la disponibilità effettiva a fare il possibile per riparare lo scandalo provocato ed a risarcire i danni causati.
In tali finalità intrinsecamente connesse trova ragione ultima l'intero sistema penale canonico, che, come incisivamente ha sottolineato papa Francesco nella già citata costituzione apostolica Pascite
6 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7869
IN GERMANIA 500.000 PERSONE IN UN ANNO HANNO LASCIATO LA CHIESA di Federica di Vito
Quasi mezzo milione di persone hanno lasciato la chiesa in Germania nell'ultimo anno. Non è certo questa la notizia, visto che è una tendenza in corso ormai da anni. Il dato di fatto da cui partire è che proprio laddove si è maggiormente annacquato il messaggio di Gesù Cristo perdendosi dietro a un annuncio indefinito e sempre più vicino al mainstream i fedeli scappano. E nessuno di quei "lontani" a cui sembrano indirizzarsi tutti gli sforzi di evangelizzazione si avvicina.
Lo scrittore tedesco Veit Etzold, CEO coach e consulente di strategia e storytelling per aziende con esperienza nel settore bancario, assicurativo, della consulenza strategica e della formazione dei dirigenti, professore presso l'Università di Aalen scrive: «Una volta Gesù Cristo disse a Pietro: "Pietro, qual è la tua professione?". E Pietro rispose: "Sono un pescatore". Gesù allora disse: "D'ora in poi sarai un pescatore di uomini. Su di te costruirò la mia Chiesa". Essere pescatori di uomini significa ispirare il maggior numero di persone possibile. Un chiaro compito di vendita per il direttore commerciale Pietro. Oggi, invece, "vendere" per le chiese significa "allontanare" il maggior numero possibile di persone. Non lo si fa se si perde meno di mezzo milione di "clienti" all'anno. Qualsiasi direttore delle vendite responsabile di cifre così disastrose sarebbe stato licenziato tre volte nel mondo degli affari».
La sua visione, seppur riferita soprattutto alla situazione della Chiesa in Germania, può tranquillamente essere allargata all'intera situazione della Chiesa in Occidente. «La gente non se ne va perché la Chiesa non è abbastanza contemporanea», spiega Etzold, «al contrario: la Chiesa sta cercando di ingraziarsi il mainstream verde-sinistro fino al punto di ottenere un auto-abbandono. I congressi della Chiesa si stanno trasformando in eventi politici e la Chiesa sta cercando di essere attraente per le persone che non hanno altro che disprezzo per la religione e non vanno mai in chiesa. In questo modo, la Chiesa si rivolge a un gruppo target che non esiste nemmeno, allontanando allo stesso tempo i suoi fedeli abituali».
Tanto più in un momento storico in cui l'uomo non sa che volto dare a Dio, è importante che sia la Chiesa ad annunciare che quel volto è lo stesso di Gesù Cristo morto e risorto per noi. Seppur va riconosciuta la buona fede, la tendenza di molti vescovi sembra essere quella di creare una rappresentazione indefinita e rispondente ad aspettative umane di misericordia a basso costo e garantita a priori. Vano sarà l'annuncio di salvezza di Gesù Cristo se teniamo solo i «molti chiamati» e tagliamo fuori la parte sui «pochi eletti». Che la Chiesa possa riscoprire «l'essenza del suo marchio», per usare le parole del professor Etzold, caratterizzato dalla provvidenziale missione di annunciare la verità evangelica con zelo e amore. Solo così fioriranno credenti che potranno essere a loro volta santi e martiri.
2 JUL 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7843
IL CATECHISMO INIZIA A CASA CON I GENITORI di Don Stefano Bimbi
Quando ero bambino mia nonna non mi chiedeva se fossi stato al catechismo, ma alla dottrina. All'epoca pensavo che fosse semplicemente una parola desueta e che mia nonna parlasse così perché era di un'altra generazione. Nel tempo ho dovuto però scoprire che dietro alla parola dottrina c'era un mondo: il mondo delle verità della fede cattolica. Forse oggi si preferisce la parola catechismo al posto di dottrina perché non si ha il coraggio di dire che vogliamo indottrinare. Anzi questa parola è scomparsa perché considerata negativamente come se indicasse la volontà di inculcare con la forza concetti astratti e calati dall'alto. Si dovrebbe invece, dicono i moderni catechisti, fare una esperienza di fede, comunicare la gioia del cristianesimo, camminare insieme a una comunità. Tutte cose molto belle, ma c'è da chiedersi se questi discorsi buonisti, omettendo di insegnare la dottrina, possano reggere agli urti della vita. Se torniamo a cento anni fa, quando nelle parrocchie si insegnava il catechismo di San Pio X con le sue domande semplici e le relative illuminanti risposte, in molte parrocchie si facevano delle gare tra i ragazzi per imparare a memoria le cose più importanti: i dieci comandamenti, i novissimi (morte, giudizio, paradiso, inferno), i precetti generali della Chiesa, le opere di misericordia corporale e spirituale, le virtù cardinali e teologali, i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, i vizi capitali, i peccati contro lo Spirito Santo. Ovviamente queste cose non venivano solo imparate a memoria, ma spiegate con esempi pratici tratti dall'imperdibile commento di padre Carlo Dragone (tuttora in commercio).
LA SITUAZIONE ODIERNA
Quale è oggi invece la situazione? Al catechismo si parla di tutto eccetto che di dottrina cristiana. Cartelloni e disegni, canti e balli, discussioni su argomenti di attualità o tratti dal telegiornale... tutto pur di non apparire scolastici, salvo poi scoprire che il Mondo non perde tempo e insegna ai bambini la sua dottrina, non solo con le scuole dello Stato, ma anche con la televisione e internet.
Purtroppo il genitore medio si affida alla parrocchia più vicina salvo poi scoprire che la dottrina cristiana non è stata insegnata, ma che addirittura i catechisti espongono argomenti che sono il contrario di quanto insegna la Chiesa o addirittura vivono situazioni in contrasto con tale insegnamento. Eppure il catechista non può parlare a nome proprio, ma deve insegnare a nome della Chiesa e infatti non può autonominarsi catechista, né dire diversamente da quanto insegna la Chiesa. La scelta dei catechisti e la loro formazione è un compito del parroco in quanto responsabile della corretta trasmissione della fede nella sua parrocchia. Ma a volte il problema è già il parroco che non insegna correttamente la dottrina cristiana.
COME COMPORTARSI CON I PROPRI FIGLI?
Come fare allora? Innanzitutto chiariamo che non c'è alcun obbligo di frequentare la parrocchia del proprio territorio. Ognuno è libero di scegliere dove compiere il proprio cammino spirituale (come abbiamo ricordato nel numero di marzo su La Bussola Mensile). Pertanto se uno è fortunato ad avere quello che cerca nella parrocchia a dieci minuti di distanza va benissimo, così come sarebbe accettabile se fossero ne necessari trenta o più. È uno sforzo che sempre più spesso dobbiamo essere disposti a fare se desideriamo garantire a noi stessi e ai nostri figli un'educazione cristiana e umana appropriata. Ovviamente ci si può chiedere se i ragazzi avranno problemi di socializzazione, ma lo scopo del catechismo è l’apprendimento della dottrina cristiana, mentre per socializzare si possono invitare gli amici dei figli a casa. Ma se nemmeno facendo un po' di chilometri si riesce a trovare una parrocchia adatta? Non si può certo andare tutte le settimane in un'altra regione, ma prima di far frequentare inutilmente un ambiente ostile alla dottrina cristiana si può fare la scelta di insegnarla direttamente ai propri figli. Non è una cosa strana, ma la realizzazione di un dovere molto importante. Ogni genitore deve ricordarsi delle promesse fatte il giorno del matrimonio, quando il sacerdote chiede: «Siete disposti ad accogliere con amore, i figli, che Dio vorrà donarvi e educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?» Ebbene, i genitori si sono impegnati a educarli non secondo la Costituzione italiana e l'agenda 2030, ma secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa. Di Cristo. E della sua Chiesa. Se si lascia frequentare ai figli una parrocchia che insegna secondo il Mondo, come si può avere la coscienza tranquilla?
I SACRAMENTI
E i sacramenti come si fa ad averli? Per la cresima basta trovare un parroco che comprenda il problema. Ne conosceremo almeno uno in tutta Italia! Poi occorre essere disposti a fare diversi chilometri per ricevere il sacramento che farà dei figli dei soldati di Cristo. Per quanto riguarda la prima comunione e la prima confessione è ancora più semplice. Si può cercare appunto una parrocchia disposta a celebrare con dignità questo sacramento, come per la cresima. Oppure si può anche far fare al figlio la prima comunione in maniera non solenne in una qualunque chiesa durante una normale Messa. Ovviamente in tal caso va preparato bene dal genitore soprattutto con il suo stesso esempio nel vivere la fede. Tornando poi nella parrocchia dove si frequenta normalmente la Messa il figlio può fare tranquillamente la comunione e la confessione. Nessun sacerdote può negare i sacramenti a chi non ha fatto la prima comunione o la prima confessione nella sua parrocchia.
Come si vede è finita la fede automatica o a chilometro zero. Chi si è impegnato il giorno del matrimonio ad educare i figli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa e poi non ha fatto la fatica di realizzare quanto promesso cosa risponderà al cospetto di Dio nel giorno del giudizio?
25 JUN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7832
L'IMPORTANZA DELL'INGINOCCHIARSI NELLA PREGHIERA di Andrea Zambrano
Il primo segnale fu la sostituzione dei vecchi banchi con nuove panche sprovviste di inginocchiatoio. Bisognava capirlo fin da subito che l'arredamento liturgico era una spia che qualcosa stava cambiando. E fu così che tante chiese, dopo la riforma liturgica, si adeguarono al nuovo corso: per pregare basta stare in piedi, via con queste anticaglie preconciliari! E fu così che, lentamente, lo stare in ginocchio come atto di adorazione di fronte a Dio è stato sostituito dal più comodo e pratico stare in piedi. "Da risorti", si tende a dire, perché questo è l'atteggiamento che si deve tenere a Messa: semmai è una comoda scusa.
Oggi sempre meno fedeli pregano stando in ginocchio durante i momenti salienti della Preghiera eucaristica e sempre meno, quasi nessuno, si inginocchia per ricevere la Santa Comunione. Fedeli tutti affetti da gonalgia? E che dire dei sacerdoti che non si inginocchiano durante la consacrazione? Anche per loro un improvviso dolore alle gambe, da curare stando in piedi? O forse non è piuttosto che nel tempo si è persa la funzione principale dell'inginocchiarsi di fronte a Dio: quella dell'adorazione, che gli antichi chiamavano "proskynesis" e che stava a simboleggiare l'atto di sottomissione di fronte a Dio e poi al sovrano. La parola deriva dal greco "proskyneo" che significa sì sottomettersi, ma anche adorare. Dunque, inginocchiarsi significa adorare. Non farlo suscita il terribile sospetto che non ci sia più la consapevolezza di questa adorazione dovuta a Dio.
Pigrizia? Perdita di conoscenza? O non è forse piuttosto un atto di totale rifiuto del sacro dell'Eucarestia come presenza reale di Dio?
Eppure, tanto la Scrittura quanto la vita dei santi raccomandano di stare in ginocchio quando si prega.
L'ESEMPIO DI GESÙ
A cominciare proprio da Gesù, sommo exemplum non solo con le sue parole, ma anche con i suoi gesti, che nell'Orto degli Ulivi, ossia nel momento della sua vita terrena in cui la preghiera al Padre si concretizzava nell'offerta del suo corpo e del suo sangue, pregava in ginocchio. «Ed egli (Gesù) si staccò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava» (Lc 22,41). Il testo greco non lascia spazio ad ambiguità. «Thèis tà gònata», letteralmente «si poneva sulle ginocchia».
Nell'antica Grecia, soprattutto in Omero, i verbi di posizione associati agli dei e alle ginocchia esprimono il significato figurato di stare sulle ginocchia degli dei, ossia nel volere degli dei. Ne consegue che la preghiera in ginocchio non esprime soltanto il senso di adorazione, ma anche quello di mettersi sulle ginocchia di Dio, proprio come un bambino, che sulle ginocchia del babbo, è protetto e consolato.
Non che Gesù abbia inventato alcunché. La Scrittura è piena zeppa di personaggi che pregano in questo modo. Elia e Daniele servono Dio pregando in ginocchio: «...Gettatosi a terra, si mise la faccia tra le ginocchia» (1 Re 18,42) e «...Daniele (...) tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchi, pregava e rendeva grazie al suo Dio» (Dan 6,10). Uomini del tempo che furono, si dirà, che ancora avevano ben impresso nella memoria il comando che Dio stesso diede tramite Isaia: «Ogni ginocchio si piegherà davanti a me», da cui poi San Paolo dirà «affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra» (Fil 2,10). Infatti, quella di stare in ginocchio era una pratica che i primi cristiani adottarono subito senza grossi problemi, e con cotanti "maestri" non era difficile. A cominciare da Stefano che nel momento del martirio si mise in ginocchio (At 7,60). E come lui anche Pietro (At 9,40) e Paolo (At 20,36).
DA PAPA BENEDETTO XVI AL CARDINAL SARAH
Insomma, siamo arrivati a oggi rifiutando lo stare alla presenza di Dio? Eppure, di consigli ne abbiamo avuti. Da Benedetto XVI, ad esempio, che riprese a comunicare personalmente e pubblicamente i fedeli in ginocchio durante le Messe papali a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, quando ricordò "quasi scandalosamente" che «inginocchiarsi davanti all'Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento». Basterebbe questo. Ma se non bastasse potrebbe venire in soccorso anche il magistero.
L'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, al numero 65, ricorda che una manifestazione di riverenza verso l'Eucaristia è «l'inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica», mentre l'istruzione Redemptionis Sacramentum ricorda - e ribadisce, visti i tempi - che «i fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi» salvo poi che «quando però si comunicano in piedi, si raccomanda che facciano la debita riverenza». E, quasi precorrendo i tempi e certi plateali rifiuti che oggi umiliano molti fedeli «non è lecito negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione che egli vuole ricevere l'Eucaristia in ginocchio».
Del resto, pochi cardinali come Robert Sarah hanno insistito più volte nella loro predicazione pubblica proprio su questi aspetti. E lo hanno fatto ponendo come esempio grandi santi contemporanei, proprio per mostrare l'attualità necessaria di questa postura. «L'intera vita di Karol Wojtyła - dice Sarah nella prefazione al libro di don Federico Bortoli La distribuzione della Comunione sulla mano. Profili storici, giuridici e pastorali (Cantagalli, Siena 2018) - è stata segnata da un profondo rispetto per la Santa Eucaristia. Malgrado fosse estenuato e senza forze si è sempre imposto di inginocchiarsi davanti al Santissimo».
E che dire di Santa Madre Teresa di Calcutta? «Si asteneva dal toccare il Corpo transustanziato del Cristo; piuttosto ella lo adorava e lo contemplava, rimaneva per lungo tempo in ginocchio, prostrata davanti a Gesù Eucaristia». E ancora: «Riceveva la Comunione nella sua bocca, come un piccolo bambino che si lasciava umilmente nutrire dal suo Dio».
12 JUN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7826
LO SPIRITO ROMANO DELLA CHIESA CATTOLICA di Roberto de Mattei
Lo spirito romano è quello che si respira solo a Roma, la città sacra per eccellenza, centro del Cristianesimo, patria eterna di ogni cattolico, che può ripetere «civis romanus sum» (Cicerone, In Verrem, II, V, 162), rivendicando una cittadinanza spirituale che ha come confini geografici quelli non di una città, ma di un Impero: non l'Impero dei Cesari, ma quello della Chiesa cattolica, apostolica e romana.
Un tempo i vescovi delle diocesi più lontane mandavano i loro seminaristi e sacerdoti a Roma, non solo per studiare nelle migliori facoltà teologiche, ma per acquisire questa romanitas spirituale. Per questo Pio XI, rivolgendosi ai professori e agli studenti della Gregoriana, così si esprimeva: «La vostra presenza Ci dice che la vostra suprema aspirazione, come quella dei vostri Pastori che qui vi inviarono, è la vostra formazione romana. Che questa romanità che siete venuti a cercare in quella Roma eterna della quale il grande Poeta - non solo italiano, ma di tutto il mondo, perché poeta della filosofia e teologia cristiana (Dante, n.d.r.) - proclamava Cristo Romano, si faccia signora del vostro cuore, così come Cristo ne è Signore. Che questa romanità vi possieda, voi e l'opera vostra, così che tornando nei vostri paesi ne possiate essere maestri ed apostoli» (Discorso del 21 novembre 1922).
Lo "spirito romano" non si studia sui libri, ma si respira in quell'atmosfera impalpabile che il grande polemista cattolico Louis Veuillot (1813-1883) chiamava «le parfum de Rome»: un profumo naturale e soprannaturale che emana da ogni pietra e memoria raccolta nel lembo di terra in cui la Provvidenza ha posto la Cattedra di Pietro. Roma è allo stesso tempo uno spazio sacro e una sacra memoria, una "patria dell'anima" come la definiva un contemporaneo di Veuillot, lo scrittore ucraino Nikolaj Gogol, che visse a Roma, a via Sistina, tra il 1837 e il 1846.
LA CITTÀ CHE OSPITA LE TOMBE DEI SANTI DI DUE MILLENNI
Roma è la città che ospita le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, è la necropoli sotterranea che nelle sue viscere contiene migliaia di cristiani. Roma è il Colosseo, dove i martiri affrontarono le belve feroci; è San Giovanni in Laterano, ecclesiarum mater et caput, dove si venera il solo osso di sant'Ignazio risparmiato dai leoni. Roma è il Campidoglio, dove Augusto fece innalzare un altare al vero Dio che stava per nascere da una Vergine e dove fu elevata la basilica dell'Aracoeli, in cui riposa il corpo di sant'Elena, l'imperatrice che ritrovò le reliquie della Passione oggi custodite nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Roma sono le vie, le piazze, le case e i palazzi, dove vissero e morirono santa Caterina da Siena e santa Francesca Romana, sant'Ignazio e san Filippo Neri, san Paolo della Croce e san Leonardo da Porto Maurizio, san Gaspare del Bufalo e san Vincenzo Pallotti, san Pio V e san Pio X. A Roma puoi visitare le stanze di santa Brigida di Svezia a piazza Farnese, di san Giuseppe Benedetto Labre a via dei Serpenti, di san Stanislao Kotska a S. Andrea al Quirinale. Qui puoi venerare la culla di Gesù bambino a santa Maria Maggiore, il braccio di san Francesco Saverio nella Chiesa del Gesù, il piede di santa Maria Maddalena nella chiesa di san Giovanni dei Fiorentini.
Roma ha subito flagelli di ogni ordine nella sua lunga storia: fu messa a sacco dai Goti nel 410, dai Vandali nel 455, dagli Ostrogoti nel 546, dai Saraceni nell'846, dai Lanzichenecchi nel 1527. La invasero i giacobini nel 1799 e i piemontesi nel 1870, fu occupata dai nazisti nel 1943. Roma porta nel suo corpo le cicatrici di queste profonde ferite, e di altre ancora, come la Peste Antonina (180), la Peste Nera (1348), l'epidemia di colera del 1837 e l'influenza spagnola del 1917. Secondo lo storico americano Kyle Harper (Il destino di Roma, Einaudi, Torino 2019), il crollo dell'Impero romano non fu causato solo dalle invasioni barbariche ma anche dalle epidemie e dagli sconvolgimenti climatici che caratterizzarono il periodo che va dal secondo al sesto secolo dopo Cristo. Queste guerre ed epidemie, anche nei secoli successivi, furono sempre interpretate come castighi divini. Così Ludwig von Pastor scrive che universalmente, presso gli eretici e presso i cattolici, «si vide nel terribile Sacco di Roma un giusto castigo del Cielo sulla capitale della cristianità sprofondata nei vizi» (Storia dei Papi, Desclée, Roma 1942, vol. IV, 2, p. 582). Ma Roma sempre si rialzò, purificata e più forte, come nella medaglia che nel 1557 fece coniare Paolo IV, dedicata a Roma resurgens, dopo una terribile carestia. Di Roma si può dire quello che si dice della Chiesa: impugnari potest, expugnari non potest: sempre combattuta, mai abbattuta.
COSA FARE OGGI
Per questo, nei giorni inquieti che viviamo, e che ancor più ci aspettano, dobbiamo sollevare lo sguardo verso la Roma nobilis, la cui luce non tramonta: la nobile Roma, che un antico canto di pellegrini saluta come signora del mondo, rosseggiante per il sangue dei martiri, biancheggiante per i candidi gigli delle Vergini: «O Roma nobilis, orbi et domina, Cunctarum urbium excellentissima, Roseo martyrum sanguine rubea, Albi et virginum liliis candida».
La Roma cristiana raccoglie ed eleva sul piano soprannaturale le qualità naturali della Roma antica. Lo spirito del romano è quello dell'uomo giusto e forte, che affronta con calma e imperturbabilità le situazioni più avverse. Il romano è l'uomo che non si lascia scuotere dal furore che lo circonda, è l'uomo che rimane impavido, anche se l'universo cade in frantumi sopra di lui: «si fractu inlabatur orbis, impavidum feriant ruinae» (Orazio, Carme III, 3). Il cattolico che eredita questa tradizione, afferma Pio XII, non si limita a rimanere in piedi nelle rovine, ma si sforza di ricostruire l'edificio abbattuto, impiega tutte le sue forze nel seminare il campo devastato (Allocuzione alla Nobiltà romana del 18 gennaio 1947).
Lo spirito romano è uno spirito fermo, combattivo, ma prudente. La prudenza è il retto discernimento intorno al bene e al male e non riguarda il fine ultimo dell'uomo, che è oggetto della sapienza, bensì i mezzi per conseguirlo. La prudenza è dunque la sapienza pratica della vita e tra le virtù cardinali è quella che occupa il posto centrale e direttivo. Perciò san Tommaso la considera il coronamento di tutte le virtù morali (Summa Theologiae, II-II, q. 166, 2 ad 1).
La prudenza è la prima virtù richiesta ai governanti è tra tutti i governanti nessuno ha una responsabilità più alta di chi guida la Chiesa. Un Papa imprudente, incapace di governare la navicella di Pietro, sarebbe la più grave delle sciagure, perché Roma non può essere senza un Papa che la governi e un Papa non può essere privo dello spirito romano che lo aiuti a governare la Chiesa. Se ciò accade, la tragedia spirituale è maggiore di qualsiasi sciagura naturale.
Roma ha conosciuto disastri di ogni genere, ma li ha affrontati come fece san Gregorio Magno, nel 590, di fronte alla violenta epidemia di peste, che si era abbattuta sulla città. Per placare la collera divina, il Papa, appena eletto, ordinò una processione penitenziale del clero e del popolo romano. Quando il corteo giunse al ponte che unisce la città al Mausoleo di Adriano, Gregorio vide sulla sommità del Castello san Michele, che, in segno del cessato castigo, riponeva nel fodero la spada insanguinata, mentre un coro di angeli cantava: "Regina Coeli, laetare, Alleluja - Quia quem meruisti portare, Alleluja - Resurrexit sicut dixit, Alleluja!". San Gregorio rispose ad alta voce: « Ora pro nobis Deum, Alleluja!».
Nacque così l'armonia che ancora risuona da un capo all'altro dell'orbe cattolico. Possa questo canto celeste infondere nei cuori cattolici un'immensa fiducia in Maria, protettrice della Chiesa, ma anche di quello spirito romano, forte ed equilibrato, di cui più che mai abbiamo bisogno in questi giorni terribili.
Uno sguardo da vicino alla religione che ha cambiato la storia del mondo
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