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Cristianesimo - BastaBugie.it
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24 SEP 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7931
LE RELIGIONI NON SONO TUTTE UGUALI, NEMMENO SE LO DICESSE IL PAPAÂ di Roberto de Mattei
Tra i più gravi errori oggi diffusi, anche negli ambienti cattolici, c'è quello secondo cui tutte le religioni si equivalgono perché adorano tutte un unico Dio. Quest'errore è gravissimo perché nega, alla radice, l'intrinseca verità della Chiesa cattolica. Purtroppo le dichiarazioni di papa Francesco al Catholic Junior College di Singapore, lo scorso 13 settembre 2024, sono su questa linea e, con tutto il rispetto che si deve al Papa, sono oggettivamente scandalose.
Il resoconto ufficiale del Vaticano riporta testualmente queste frasi di Francesco: "Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono - faccio un paragone - come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. "Ma il mio Dio è più importante del tuo!". È vero questo? C'è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood?" Capito?
La nostra risposta è immediata: no, Santo Padre, non abbiamo capito e non possiamo capire. La nostra religione e anche la storia della Compagnia di Gesù alla quale Lei appartiene, ci insegna tutt'altro.
La diocesi di Singapore, dove Lei ha fatto queste dichiarazioni, ha un illustre fondatore gesuita, san Francesco Saverio, che arrivò in Malacca, l'antico nome della zona, nel 1545. Nel 1558 il territorio venne elevato a diocesi, suffraganea di Goa, in India.
IL GESUITA SAN FRANCESCO SAVERIO
Francesco Saverio nato da nobili genitori nel 1506 in Navarra, studiò all'università di Parigi, dove ebbe come compagno di camera Ignazio di Loyola, che trasformò il giovane da studente modello a campione del Vangelo. Il 24 giugno 1537 fu ordinato sacerdote e nella primavera del 1539 fu tra i primi fondatori della Compagnia di Gesù. L'anno dopo, quando il re Giovanni III del Portogallo, chiese missionari per le colonie portoghesi, fu inviato in India dal Papa con il titolo di "Nunzio apostolico".
Giunto a Goa nel 1542, dopo un lungo e travagliato viaggio, passò per due anni di villaggio in villaggio, a piedi o su disagevoli imbarcazioni. esposto a mille pericoli, battezzando, fondando chiese e scuole, convertendo migliaia di abitanti, salutato ovunque quale santo e taumaturgo. Nel 1549 lasciò Goa per il Giappone, dove piantò i semi della fede cattolica. Il 17 aprile 1552, s'imbarcò per realizzare il suo ultimo progetto: portare il Vangelo in Cina. Nel corso dell'avventuroso viaggio approdò sull'isola di Sanciano, rifugio di pirati e contrabbandieri, dove si ammalò di polmonite, e privo com'era di ogni cura morì in una capanna il 3 dicembre dello stesso anno, dopo avere più volte ripetuto: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me! O Vergine, Madre di Dio, ricordati di me!".
Il suo corpo, due anni dopo, fu trasportato integro, prima a Malacca e poi a Goa, dove si venera nella chiesa del Buon Gesù. La Chiesa del Gesù a Roma ne conserva un braccio, amputato per essere venerato accanto alla tomba di sant'Ignazio. Fu beatificato nel 1619 da Paolo V e canonizzato nel 1622 da Gregorio XV. La Chiesa ne ha fissato la festa liturgica il 3 dicembre e lo ha proclamato patrono delle Missioni.
San Francesco Saverio tradusse in cristianesimo vissuto le parole rivolte da Gesù agli Apostoli: "Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo: chi invece non crederà , sarà condannato" (Mt. 16, 16). Le parole di Nostro Signore sono chiare: non c'è, ordinariamente salvezza, al di fuori del nome di Cristo. Si calcola che il Santo missionario abbia conferito il battesimo a circa 40.000 pagani, aprendo loro le porte del Paradiso.
LA LETTERA E L'ATTO DI FEDE
In una celebre lettera del 15 gennaio 1544, san Francesco Saverio scrive da Goa: "Da quando arrivai qua non mi sono fermato un istante; percorro con assiduità i villaggi, amministro il battesimo ai bambini che non l'hanno ancora ricevuto. Così ho salvato un numero grandissimo di bambini, i quali, come si dice, non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. I fanciulli poi non mi lasciano né dire l'ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho loro insegnato qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il Regno dei cieli (...) moltissimi in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d'Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: ahimé quale gran numero d'anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato nell'inferno! Oh! Se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti! In verità moltissimi di costoro, turbati a questo pensiero, dandosi alla meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al loro cuore, e messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal profondo del loro cuore: Signore eccomi; che cosa vuoi che io faccia? Mandami dove vuoi, magari anche in India".
San Francesco Saverio ci ha anche lasciato un "Atto di fede" che merita di essere recitato in ginocchio e profondamente meditato in questi tempi di confusione:
"Credo, con tutto il mio cuore, tutto ciò che la Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, mi ordina di credere di Voi, o mio Dio! Dio unico in tre persone.
Credo tutto ciò che la Chiesa crede ed insegna del Figlio eterno del Padre, Dio come Lui, e che, per me, si è fatto uomo, ha sofferto, è morto, è risuscitato e regna nel cielo con il Padre e lo Spirito Santo.
Credo infine tutto ciò che la Chiesa santa, la nostra madre, mi ordina di credere. Ho la volontà ferma di perdere tutto, di soffrire tutto, di dare il mio sangue e la mia vita, piuttosto che di rinunciare a un solo punto della mia fede, nella quale voglio vivere e morire.
Quando verrà la mia ultima ora, la mia bocca fredda non potrà forse rinnovare l'espressione della mia fede; ma confesso, fin d'ora, per il momento della mia morte, che vi riconosco, o Gesù Salvatore! come Figlio di Dio. Credo in Voi, vi dedico il mio cuore, la mia anima, la mia vita, tutto me stesso. Amen".
13 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7882
LA SCOMUNICA, UNA PENA MEDICINALE CHE AFFONDA LE RADICI NEL VANGELO
La scomunica consiste nell'esclusione dell'autore di un delitto canonico dalla comunione con la Chiesa (per stimolare il ravvedimento del colpevole)
di Giuseppe Comotti
Negli anni successivi al Concilio Vaticano II, in molti ambienti ecclesiali era stato messo in discussione il sistema penale canonico, vale a dire la previsione da parte della Chiesa di "pene" da infliggere ai fedeli colpevoli di comportamenti particolarmente gravi, non qualificabili solamente come peccati sul piano morale, bensì come delitti sul piano giuridico, per via della loro rilevanza per l'intera comunità cristiana, analogamente a quanto avviene nell'ambito del diritto penale degli Stati. Tale sistema era infatti avvertito come espressione di un modello ecclesiale sorpassato, troppo simile a quello statuale e soprattutto antitetico al messaggio evangelico.
In quegli anni era in corso la revisione del Codice di diritto canonico: nel testo alla fine promulgato da san Giovanni Paolo II nel 1983, frutto della consultazione con l'episcopato mondiale, l'intero Libro VI era dedicato alla disciplina penale della Chiesa, che vide così confermata la compatibilità ed anzi l'intima connessione con la natura e la storia della comunità cristiana; nel nuovo Codice, peraltro, il ricorso all'inflizione di pene canoniche veniva presentato come extrema ratio, rimessa in sostanza alla valutazione dei singoli vescovi diocesani o dei superiori maggiori degli istituti di vita consacrata, quando avessero potuto constatare l'inutilità di altri strumenti suggeriti dalla sollecitudine pastorale per raggiungere quelli che nella Chiesa sono i fini propri della pena: la riparazione dello scandalo suscitato tra i fedeli dal comportamento delittuoso di un membro della comunità , il ristabilimento della giustizia violata, il ravvedimento del colpevole (cfr. can. 1341).
In realtà , nonostante la conferma teorica nel Codice del 1983, l'esercizio della funzione punitiva da parte dell'autorità ecclesiastica si fece sempre più raro nella pratica, almeno fino a quando, all'inizio degli anni 2000, la drammatica emersione del terribile fenomeno degli abusi del clero sui minori e l'incalzante attenzione ad esso riservata dall'opinione pubblica hanno suscitato un rinnovato interesse per il diritto penale canonico, facendo percepire quanto dannosi fossero stati per la Chiesa l'erronea e fuorviante contrapposizione tra giustizia e carità e il sostanziale abbandono del ricorso alle pene canoniche da parte dei pastori.
LA PENA DELLA SCOMUNICA
Fu così che san Giovanni Paolo II, nel 2001, riservò alla competenza esclusiva della Congregazione (ora Dicastero) per la Dottrina della Fede la trattazione di alcuni gravi delitti (tra cui l'abuso sessuale dei chierici sui minori); Benedetto XVI avviò poi nel 2007 una revisione della disciplina penale canonica, che è stata portata a termine da Francesco con la promulgazione del nuovo Libro VI del Codice, avvenuta il 23 maggio 2021 mediante la costituzione apostolica Pascite gregem Dei.
Nel nuovo testo normativo continua ad essere prevista per alcuni gravi delitti la scomunica, la pena canonica più grave e peculiare del diritto della Chiesa, che affonda le proprie radici nell'epoca apostolica. La scomunica consiste, come dice il termine stesso, nell'esclusione dell'autore di un delitto canonico dalla comunione ecclesiastica, cioè dalla partecipazione attiva alla vita della Chiesa: lo scomunicato non può celebrare né ricevere i sacramenti, né può celebrare i sacramentali o compiere altre cerimonie del culto liturgico; gli è inoltre proibito esercitare uffici, incarichi ministeri o altre funzioni ecclesiastiche (can. 1331 §1).
La pena della scomunica riguarda ovviamente solo i cattolici e non si applica quindi ai fedeli di altre confessioni cristiane; come per ogni delitto canonico, l'applicazione della scomunica presuppone che il colpevole abbia compiuto 16 anni e che il comportamento delittuoso sia a lui gravemente imputabile per dolo, che cioè egli lo abbia commesso con piena consapevolezza e libera volontà . Attualmente non è prevista la scomunica per delitti colposi, commessi cioè per negligenza o superficialità .
Una peculiarità del sistema penale canonico è che non sempre l'applicazione della scomunica richiede una previa pronuncia di condanna da parte della competente autorità (si parla in tal caso di scomunica ferendae sententiae), ma nelle ipotesi espressamente previste dalla legge ecclesiastica vi si può incorrere automaticamente (latae sententiae), per il semplice fatto di avere commesso il delitto. In tal caso, la pronuncia di condanna da parte dell'autorità competente è solo eventuale e semplicemente dichiarativa del fatto che un fedele è già incorso nella scomunica; agli effetti pratici, peraltro, in assenza di una pronuncia espressa dell'autorità ecclesiastica, chi è incorso nella scomunica latae sententiae è chiamato in coscienza ad "autoapplicarsi" la pena, specie nel caso in cui il delitto sia occulto, cioè non conosciuto dalla comunità .
Questo aspetto della scomunica ne evidenzia la peculiare natura di pena medicinale, volta cioè principalmente non tanto a punire, bensì a "curare" il colpevole, facendogli percepire - nel suo stesso interesse - l'estrema gravità del proprio comportamento ed indurlo in tal modo a desistere dallo stesso ed a convertirsi.
In ragione di tale finalità , la pena della scomunica non è per sua natura perpetua né è mai stabilita per un periodo predeterminato, ma a tempo indefinito, venendo meno una volta raggiunto lo scopo, cioè il pentimento ed il fattivo ravvedimento del colpevole.
SCOMUNICA E PENE ESPIATORIE
In questo la scomunica si distingue dalle cosiddette pene "espiatorie", nelle quali è più evidente la finalità di riparare lo scandalo provocato e ristabilire la giustizia violata, indipendentemente dal fatto che il colpevole si sia nel frattempo sinceramente pentito. Ad esempio, per il delitto di atti sessuali compiuti da un membro del clero con persone minori non è prevista la scomunica, ma - nei casi più gravi - la dimissione dallo stato clericale: è una pena espiatoria, che comporta la privazione in perpetuo dei diritti e doveri discendenti dall'ordine sacro; se anche il colpevole manifestasse un sincero pentimento, la sua esclusione definitiva dall'esercizio del ministero sacerdotale può infatti rivelarsi l'unico strumento adatto a riparare lo scandalo suscitato nella comunità cristiana e ristabilire la giustizia, soprattutto nei confronti delle vittime.
Il Codice di diritto canonico, pur lasciando spazio alla previsione di altri casi di scomunica da parte dei vescovi diocesani con proprie leggi, espressamente stabilisce la scomunica latae sententiae per i più gravi delitti contro la fede e l'unità della Chiesa (can. 1364 §1), che sono - sin dall'antichità - l'apostasia (cioè il ripudio totale della fede cristiana), l'eresia (l'ostinata negazione di una verità di fede), lo scisma (il deliberato rifiuto di riconoscere l'autorità del Romano Pontefice). Tra i delitti contro le autorità ecclesiastiche, l'unico per il quale si incorre nella scomunica latae sententiae è quello commesso da chi usa violenza fisica nei confronti della persona del Papa (can. 1370 §1).
Diversi sono invece i casi riguardanti i delitti contro i sacramenti: la profanazione delle specie eucaristiche (can. 1382 §1); l'assoluzione da parte del confessore di chi è stato suo complice in un peccato contro il sesto comandamento (can. 1384); la violazione diretta da parte del confessore del sigillo sacramentale (can. 1386 §1): la consacrazione di un vescovo senza mandato pontificio (can. 1387) nonché l'attentato conferimento dell'ordine sacro ad una donna (can. 1379 §3).
Tutti questi delitti sono riservati alla Sede Apostolica, per cui la remissione della scomunica spetta unicamente ad essa (normalmente al Dicastero per la Dottrina della Fede o alla Penitenzieria Apostolica, salvo che intervenga direttamente il Pontefice).
SCOMUNICA LATAE SENTENTIAE
Tra i delitti contro la vita, il Codice prevede la scomunica latae sententiae per chi procura volontariamente l'aborto (can. 1397 §2); nel 2016 papa Francesco, a conclusione del Giubileo della Misericordia, ha concesso a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno commesso questo delitto, in precedenza attribuita solo al vescovo diocesano.
Mentre in articulo mortis ogni sacerdote può rimettere qualsiasi tipo di censura, compresa la scomunica, normalmente (salvo i casi riservati alla Santa Sede) la remissione spetta all'ordinario che ha promosso il giudizio penale o all'ordinario del luogo in cui si trova lo scomunicato, qualora la scomunica sia stata pronunciata con sentenza; se si tratta invece di scomunica latae sententiae non ancora dichiarata, essa può essere rimessa dall'ordinario ai propri sudditi (cioè dal vescovo diocesano oppure dal vicario generale ai fedeli della propria diocesi) o dall'ordinario del luogo in cui si trova lo scomunicato. Qualsiasi vescovo in sede di confessione sacramentale può rimettere una scomunica non ancora dichiarata, purché non riservata alla Santa Sede.
Ovviamente, la scomunica raggiunge il suo scopo se ad essa consegue il ravvedimento del colpevole, che è dunque la condizione imprescindibile affinché tale pena possa essere rimessa ed ogni pentimento, se è sincero, non può escludere la disponibilità effettiva a fare il possibile per riparare lo scandalo provocato ed a risarcire i danni causati.
In tali finalità intrinsecamente connesse trova ragione ultima l'intero sistema penale canonico, che, come incisivamente ha sottolineato papa Francesco nella già citata costituzione apostolica Pascite
6 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7869
IN GERMANIA 500.000 PERSONE IN UN ANNO HANNO LASCIATO LA CHIESAÂ di Federica di Vito
Quasi mezzo milione di persone hanno lasciato la chiesa in Germania nell'ultimo anno. Non è certo questa la notizia, visto che è una tendenza in corso ormai da anni. Il dato di fatto da cui partire è che proprio laddove si è maggiormente annacquato il messaggio di Gesù Cristo perdendosi dietro a un annuncio indefinito e sempre più vicino al mainstream i fedeli scappano. E nessuno di quei "lontani" a cui sembrano indirizzarsi tutti gli sforzi di evangelizzazione si avvicina.
Lo scrittore tedesco Veit Etzold, CEO coach e consulente di strategia e storytelling per aziende con esperienza nel settore bancario, assicurativo, della consulenza strategica e della formazione dei dirigenti, professore presso l'Università di Aalen scrive: «Una volta Gesù Cristo disse a Pietro: "Pietro, qual è la tua professione?". E Pietro rispose: "Sono un pescatore". Gesù allora disse: "D'ora in poi sarai un pescatore di uomini. Su di te costruirò la mia Chiesa". Essere pescatori di uomini significa ispirare il maggior numero di persone possibile. Un chiaro compito di vendita per il direttore commerciale Pietro. Oggi, invece, "vendere" per le chiese significa "allontanare" il maggior numero possibile di persone. Non lo si fa se si perde meno di mezzo milione di "clienti" all'anno. Qualsiasi direttore delle vendite responsabile di cifre così disastrose sarebbe stato licenziato tre volte nel mondo degli affari».
La sua visione, seppur riferita soprattutto alla situazione della Chiesa in Germania, può tranquillamente essere allargata all'intera situazione della Chiesa in Occidente. «La gente non se ne va perché la Chiesa non è abbastanza contemporanea», spiega Etzold, «al contrario: la Chiesa sta cercando di ingraziarsi il mainstream verde-sinistro fino al punto di ottenere un auto-abbandono. I congressi della Chiesa si stanno trasformando in eventi politici e la Chiesa sta cercando di essere attraente per le persone che non hanno altro che disprezzo per la religione e non vanno mai in chiesa. In questo modo, la Chiesa si rivolge a un gruppo target che non esiste nemmeno, allontanando allo stesso tempo i suoi fedeli abituali».
Tanto più in un momento storico in cui l'uomo non sa che volto dare a Dio, è importante che sia la Chiesa ad annunciare che quel volto è lo stesso di Gesù Cristo morto e risorto per noi. Seppur va riconosciuta la buona fede, la tendenza di molti vescovi sembra essere quella di creare una rappresentazione indefinita e rispondente ad aspettative umane di misericordia a basso costo e garantita a priori. Vano sarà l'annuncio di salvezza di Gesù Cristo se teniamo solo i «molti chiamati» e tagliamo fuori la parte sui «pochi eletti». Che la Chiesa possa riscoprire «l'essenza del suo marchio», per usare le parole del professor Etzold, caratterizzato dalla provvidenziale missione di annunciare la verità evangelica con zelo e amore. Solo così fioriranno credenti che potranno essere a loro volta santi e martiri.
2 JUL 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7843
IL CATECHISMO INIZIA A CASA CON I GENITORIÂ di Don Stefano Bimbi
Quando ero bambino mia nonna non mi chiedeva se fossi stato al catechismo, ma alla dottrina. All'epoca pensavo che fosse semplicemente una parola desueta e che mia nonna parlasse così perché era di un'altra generazione. Nel tempo ho dovuto però scoprire che dietro alla parola dottrina c'era un mondo: il mondo delle verità della fede cattolica. Forse oggi si preferisce la parola catechismo al posto di dottrina perché non si ha il coraggio di dire che vogliamo indottrinare. Anzi questa parola è scomparsa perché considerata negativamente come se indicasse la volontà di inculcare con la forza concetti astratti e calati dall'alto. Si dovrebbe invece, dicono i moderni catechisti, fare una esperienza di fede, comunicare la gioia del cristianesimo, camminare insieme a una comunità . Tutte cose molto belle, ma c'è da chiedersi se questi discorsi buonisti, omettendo di insegnare la dottrina, possano reggere agli urti della vita. Se torniamo a cento anni fa, quando nelle parrocchie si insegnava il catechismo di San Pio X con le sue domande semplici e le relative illuminanti risposte, in molte parrocchie si facevano delle gare tra i ragazzi per imparare a memoria le cose più importanti: i dieci comandamenti, i novissimi (morte, giudizio, paradiso, inferno), i precetti generali della Chiesa, le opere di misericordia corporale e spirituale, le virtù cardinali e teologali, i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, i vizi capitali, i peccati contro lo Spirito Santo. Ovviamente queste cose non venivano solo imparate a memoria, ma spiegate con esempi pratici tratti dall'imperdibile commento di padre Carlo Dragone (tuttora in commercio).
LA SITUAZIONE ODIERNA
Quale è oggi invece la situazione? Al catechismo si parla di tutto eccetto che di dottrina cristiana. Cartelloni e disegni, canti e balli, discussioni su argomenti di attualità o tratti dal telegiornale... tutto pur di non apparire scolastici, salvo poi scoprire che il Mondo non perde tempo e insegna ai bambini la sua dottrina, non solo con le scuole dello Stato, ma anche con la televisione e internet.
Purtroppo il genitore medio si affida alla parrocchia più vicina salvo poi scoprire che la dottrina cristiana non è stata insegnata, ma che addirittura i catechisti espongono argomenti che sono il contrario di quanto insegna la Chiesa o addirittura vivono situazioni in contrasto con tale insegnamento. Eppure il catechista non può parlare a nome proprio, ma deve insegnare a nome della Chiesa e infatti non può autonominarsi catechista, né dire diversamente da quanto insegna la Chiesa. La scelta dei catechisti e la loro formazione è un compito del parroco in quanto responsabile della corretta trasmissione della fede nella sua parrocchia. Ma a volte il problema è già il parroco che non insegna correttamente la dottrina cristiana.
COME COMPORTARSI CON I PROPRI FIGLI?
Come fare allora? Innanzitutto chiariamo che non c'è alcun obbligo di frequentare la parrocchia del proprio territorio. Ognuno è libero di scegliere dove compiere il proprio cammino spirituale (come abbiamo ricordato nel numero di marzo su La Bussola Mensile). Pertanto se uno è fortunato ad avere quello che cerca nella parrocchia a dieci minuti di distanza va benissimo, così come sarebbe accettabile se fossero ne necessari trenta o più. È uno sforzo che sempre più spesso dobbiamo essere disposti a fare se desideriamo garantire a noi stessi e ai nostri figli un'educazione cristiana e umana appropriata. Ovviamente ci si può chiedere se i ragazzi avranno problemi di socializzazione, ma lo scopo del catechismo è l’apprendimento della dottrina cristiana, mentre per socializzare si possono invitare gli amici dei figli a casa. Ma se nemmeno facendo un po' di chilometri si riesce a trovare una parrocchia adatta? Non si può certo andare tutte le settimane in un'altra regione, ma prima di far frequentare inutilmente un ambiente ostile alla dottrina cristiana si può fare la scelta di insegnarla direttamente ai propri figli. Non è una cosa strana, ma la realizzazione di un dovere molto importante. Ogni genitore deve ricordarsi delle promesse fatte il giorno del matrimonio, quando il sacerdote chiede: «Siete disposti ad accogliere con amore, i figli, che Dio vorrà donarvi e educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?» Ebbene, i genitori si sono impegnati a educarli non secondo la Costituzione italiana e l'agenda 2030, ma secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa. Di Cristo. E della sua Chiesa. Se si lascia frequentare ai figli una parrocchia che insegna secondo il Mondo, come si può avere la coscienza tranquilla?
I SACRAMENTI
E i sacramenti come si fa ad averli? Per la cresima basta trovare un parroco che comprenda il problema. Ne conosceremo almeno uno in tutta Italia! Poi occorre essere disposti a fare diversi chilometri per ricevere il sacramento che farà dei figli dei soldati di Cristo. Per quanto riguarda la prima comunione e la prima confessione è ancora più semplice. Si può cercare appunto una parrocchia disposta a celebrare con dignità questo sacramento, come per la cresima. Oppure si può anche far fare al figlio la prima comunione in maniera non solenne in una qualunque chiesa durante una normale Messa. Ovviamente in tal caso va preparato bene dal genitore soprattutto con il suo stesso esempio nel vivere la fede. Tornando poi nella parrocchia dove si frequenta normalmente la Messa il figlio può fare tranquillamente la comunione e la confessione. Nessun sacerdote può negare i sacramenti a chi non ha fatto la prima comunione o la prima confessione nella sua parrocchia.
Come si vede è finita la fede automatica o a chilometro zero. Chi si è impegnato il giorno del matrimonio ad educare i figli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa e poi non ha fatto la fatica di realizzare quanto promesso cosa risponderà al cospetto di Dio nel giorno del giudizio?
25 JUN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7832
L'IMPORTANZA DELL'INGINOCCHIARSI NELLA PREGHIERAÂ di Andrea Zambrano
Il primo segnale fu la sostituzione dei vecchi banchi con nuove panche sprovviste di inginocchiatoio. Bisognava capirlo fin da subito che l'arredamento liturgico era una spia che qualcosa stava cambiando. E fu così che tante chiese, dopo la riforma liturgica, si adeguarono al nuovo corso: per pregare basta stare in piedi, via con queste anticaglie preconciliari! E fu così che, lentamente, lo stare in ginocchio come atto di adorazione di fronte a Dio è stato sostituito dal più comodo e pratico stare in piedi. "Da risorti", si tende a dire, perché questo è l'atteggiamento che si deve tenere a Messa: semmai è una comoda scusa.
Oggi sempre meno fedeli pregano stando in ginocchio durante i momenti salienti della Preghiera eucaristica e sempre meno, quasi nessuno, si inginocchia per ricevere la Santa Comunione. Fedeli tutti affetti da gonalgia? E che dire dei sacerdoti che non si inginocchiano durante la consacrazione? Anche per loro un improvviso dolore alle gambe, da curare stando in piedi? O forse non è piuttosto che nel tempo si è persa la funzione principale dell'inginocchiarsi di fronte a Dio: quella dell'adorazione, che gli antichi chiamavano "proskynesis" e che stava a simboleggiare l'atto di sottomissione di fronte a Dio e poi al sovrano. La parola deriva dal greco "proskyneo" che significa sì sottomettersi, ma anche adorare. Dunque, inginocchiarsi significa adorare. Non farlo suscita il terribile sospetto che non ci sia più la consapevolezza di questa adorazione dovuta a Dio.
Pigrizia? Perdita di conoscenza? O non è forse piuttosto un atto di totale rifiuto del sacro dell'Eucarestia come presenza reale di Dio?
Eppure, tanto la Scrittura quanto la vita dei santi raccomandano di stare in ginocchio quando si prega.
L'ESEMPIO DI GESÙ
A cominciare proprio da Gesù, sommo exemplum non solo con le sue parole, ma anche con i suoi gesti, che nell'Orto degli Ulivi, ossia nel momento della sua vita terrena in cui la preghiera al Padre si concretizzava nell'offerta del suo corpo e del suo sangue, pregava in ginocchio. «Ed egli (Gesù) si staccò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava» (Lc 22,41). Il testo greco non lascia spazio ad ambiguità . «Thèis tà gònata», letteralmente «si poneva sulle ginocchia».
Nell'antica Grecia, soprattutto in Omero, i verbi di posizione associati agli dei e alle ginocchia esprimono il significato figurato di stare sulle ginocchia degli dei, ossia nel volere degli dei. Ne consegue che la preghiera in ginocchio non esprime soltanto il senso di adorazione, ma anche quello di mettersi sulle ginocchia di Dio, proprio come un bambino, che sulle ginocchia del babbo, è protetto e consolato.
Non che Gesù abbia inventato alcunché. La Scrittura è piena zeppa di personaggi che pregano in questo modo. Elia e Daniele servono Dio pregando in ginocchio: «...Gettatosi a terra, si mise la faccia tra le ginocchia» (1 Re 18,42) e «...Daniele (...) tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchi, pregava e rendeva grazie al suo Dio» (Dan 6,10). Uomini del tempo che furono, si dirà , che ancora avevano ben impresso nella memoria il comando che Dio stesso diede tramite Isaia: «Ogni ginocchio si piegherà davanti a me», da cui poi San Paolo dirà «affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra» (Fil 2,10). Infatti, quella di stare in ginocchio era una pratica che i primi cristiani adottarono subito senza grossi problemi, e con cotanti "maestri" non era difficile. A cominciare da Stefano che nel momento del martirio si mise in ginocchio (At 7,60). E come lui anche Pietro (At 9,40) e Paolo (At 20,36).
DA PAPA BENEDETTO XVI AL CARDINAL SARAH
Insomma, siamo arrivati a oggi rifiutando lo stare alla presenza di Dio? Eppure, di consigli ne abbiamo avuti. Da Benedetto XVI, ad esempio, che riprese a comunicare personalmente e pubblicamente i fedeli in ginocchio durante le Messe papali a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, quando ricordò "quasi scandalosamente" che «inginocchiarsi davanti all'Eucaristia è professione di libertà : chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento». Basterebbe questo. Ma se non bastasse potrebbe venire in soccorso anche il magistero.
L'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, al numero 65, ricorda che una manifestazione di riverenza verso l'Eucaristia è «l'inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica», mentre l'istruzione Redemptionis Sacramentum ricorda - e ribadisce, visti i tempi - che «i fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi» salvo poi che «quando però si comunicano in piedi, si raccomanda che facciano la debita riverenza». E, quasi precorrendo i tempi e certi plateali rifiuti che oggi umiliano molti fedeli «non è lecito negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione che egli vuole ricevere l'Eucaristia in ginocchio».
Del resto, pochi cardinali come Robert Sarah hanno insistito più volte nella loro predicazione pubblica proprio su questi aspetti. E lo hanno fatto ponendo come esempio grandi santi contemporanei, proprio per mostrare l'attualità necessaria di questa postura. «L'intera vita di Karol Wojtyła - dice Sarah nella prefazione al libro di don Federico Bortoli La distribuzione della Comunione sulla mano. Profili storici, giuridici e pastorali (Cantagalli, Siena 2018) - è stata segnata da un profondo rispetto per la Santa Eucaristia. Malgrado fosse estenuato e senza forze si è sempre imposto di inginocchiarsi davanti al Santissimo».
E che dire di Santa Madre Teresa di Calcutta? «Si asteneva dal toccare il Corpo transustanziato del Cristo; piuttosto ella lo adorava e lo contemplava, rimaneva per lungo tempo in ginocchio, prostrata davanti a Gesù Eucaristia». E ancora: «Riceveva la Comunione nella sua bocca, come un piccolo bambino che si lasciava umilmente nutrire dal suo Dio».
12 JUN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7826
LO SPIRITO ROMANO DELLA CHIESA CATTOLICAÂ di Roberto de Mattei
Lo spirito romano è quello che si respira solo a Roma, la città sacra per eccellenza, centro del Cristianesimo, patria eterna di ogni cattolico, che può ripetere «civis romanus sum» (Cicerone, In Verrem, II, V, 162), rivendicando una cittadinanza spirituale che ha come confini geografici quelli non di una città , ma di un Impero: non l'Impero dei Cesari, ma quello della Chiesa cattolica, apostolica e romana.
Un tempo i vescovi delle diocesi più lontane mandavano i loro seminaristi e sacerdoti a Roma, non solo per studiare nelle migliori facoltà teologiche, ma per acquisire questa romanitas spirituale. Per questo Pio XI, rivolgendosi ai professori e agli studenti della Gregoriana, così si esprimeva: «La vostra presenza Ci dice che la vostra suprema aspirazione, come quella dei vostri Pastori che qui vi inviarono, è la vostra formazione romana. Che questa romanità che siete venuti a cercare in quella Roma eterna della quale il grande Poeta - non solo italiano, ma di tutto il mondo, perché poeta della filosofia e teologia cristiana (Dante, n.d.r.) - proclamava Cristo Romano, si faccia signora del vostro cuore, così come Cristo ne è Signore. Che questa romanità vi possieda, voi e l'opera vostra, così che tornando nei vostri paesi ne possiate essere maestri ed apostoli» (Discorso del 21 novembre 1922).
Lo "spirito romano" non si studia sui libri, ma si respira in quell'atmosfera impalpabile che il grande polemista cattolico Louis Veuillot (1813-1883) chiamava «le parfum de Rome»: un profumo naturale e soprannaturale che emana da ogni pietra e memoria raccolta nel lembo di terra in cui la Provvidenza ha posto la Cattedra di Pietro. Roma è allo stesso tempo uno spazio sacro e una sacra memoria, una "patria dell'anima" come la definiva un contemporaneo di Veuillot, lo scrittore ucraino Nikolaj Gogol, che visse a Roma, a via Sistina, tra il 1837 e il 1846.
LA CITTÀ CHE OSPITA LE TOMBE DEI SANTI DI DUE MILLENNI
Roma è la città che ospita le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, è la necropoli sotterranea che nelle sue viscere contiene migliaia di cristiani. Roma è il Colosseo, dove i martiri affrontarono le belve feroci; è San Giovanni in Laterano, ecclesiarum mater et caput, dove si venera il solo osso di sant'Ignazio risparmiato dai leoni. Roma è il Campidoglio, dove Augusto fece innalzare un altare al vero Dio che stava per nascere da una Vergine e dove fu elevata la basilica dell'Aracoeli, in cui riposa il corpo di sant'Elena, l'imperatrice che ritrovò le reliquie della Passione oggi custodite nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Roma sono le vie, le piazze, le case e i palazzi, dove vissero e morirono santa Caterina da Siena e santa Francesca Romana, sant'Ignazio e san Filippo Neri, san Paolo della Croce e san Leonardo da Porto Maurizio, san Gaspare del Bufalo e san Vincenzo Pallotti, san Pio V e san Pio X. A Roma puoi visitare le stanze di santa Brigida di Svezia a piazza Farnese, di san Giuseppe Benedetto Labre a via dei Serpenti, di san Stanislao Kotska a S. Andrea al Quirinale. Qui puoi venerare la culla di Gesù bambino a santa Maria Maggiore, il braccio di san Francesco Saverio nella Chiesa del Gesù, il piede di santa Maria Maddalena nella chiesa di san Giovanni dei Fiorentini.
Roma ha subito flagelli di ogni ordine nella sua lunga storia: fu messa a sacco dai Goti nel 410, dai Vandali nel 455, dagli Ostrogoti nel 546, dai Saraceni nell'846, dai Lanzichenecchi nel 1527. La invasero i giacobini nel 1799 e i piemontesi nel 1870, fu occupata dai nazisti nel 1943. Roma porta nel suo corpo le cicatrici di queste profonde ferite, e di altre ancora, come la Peste Antonina (180), la Peste Nera (1348), l'epidemia di colera del 1837 e l'influenza spagnola del 1917. Secondo lo storico americano Kyle Harper (Il destino di Roma, Einaudi, Torino 2019), il crollo dell'Impero romano non fu causato solo dalle invasioni barbariche ma anche dalle epidemie e dagli sconvolgimenti climatici che caratterizzarono il periodo che va dal secondo al sesto secolo dopo Cristo. Queste guerre ed epidemie, anche nei secoli successivi, furono sempre interpretate come castighi divini. Così Ludwig von Pastor scrive che universalmente, presso gli eretici e presso i cattolici, «si vide nel terribile Sacco di Roma un giusto castigo del Cielo sulla capitale della cristianità sprofondata nei vizi» (Storia dei Papi, Desclée, Roma 1942, vol. IV, 2, p. 582). Ma Roma sempre si rialzò, purificata e più forte, come nella medaglia che nel 1557 fece coniare Paolo IV, dedicata a Roma resurgens, dopo una terribile carestia. Di Roma si può dire quello che si dice della Chiesa: impugnari potest, expugnari non potest: sempre combattuta, mai abbattuta.
COSA FARE OGGI
Per questo, nei giorni inquieti che viviamo, e che ancor più ci aspettano, dobbiamo sollevare lo sguardo verso la Roma nobilis, la cui luce non tramonta: la nobile Roma, che un antico canto di pellegrini saluta come signora del mondo, rosseggiante per il sangue dei martiri, biancheggiante per i candidi gigli delle Vergini: «O Roma nobilis, orbi et domina, Cunctarum urbium excellentissima, Roseo martyrum sanguine rubea, Albi et virginum liliis candida».
La Roma cristiana raccoglie ed eleva sul piano soprannaturale le qualità naturali della Roma antica. Lo spirito del romano è quello dell'uomo giusto e forte, che affronta con calma e imperturbabilità le situazioni più avverse. Il romano è l'uomo che non si lascia scuotere dal furore che lo circonda, è l'uomo che rimane impavido, anche se l'universo cade in frantumi sopra di lui: «si fractu inlabatur orbis, impavidum feriant ruinae» (Orazio, Carme III, 3). Il cattolico che eredita questa tradizione, afferma Pio XII, non si limita a rimanere in piedi nelle rovine, ma si sforza di ricostruire l'edificio abbattuto, impiega tutte le sue forze nel seminare il campo devastato (Allocuzione alla Nobiltà romana del 18 gennaio 1947).
Lo spirito romano è uno spirito fermo, combattivo, ma prudente. La prudenza è il retto discernimento intorno al bene e al male e non riguarda il fine ultimo dell'uomo, che è oggetto della sapienza, bensì i mezzi per conseguirlo. La prudenza è dunque la sapienza pratica della vita e tra le virtù cardinali è quella che occupa il posto centrale e direttivo. Perciò san Tommaso la considera il coronamento di tutte le virtù morali (Summa Theologiae, II-II, q. 166, 2 ad 1).
La prudenza è la prima virtù richiesta ai governanti è tra tutti i governanti nessuno ha una responsabilità più alta di chi guida la Chiesa. Un Papa imprudente, incapace di governare la navicella di Pietro, sarebbe la più grave delle sciagure, perché Roma non può essere senza un Papa che la governi e un Papa non può essere privo dello spirito romano che lo aiuti a governare la Chiesa. Se ciò accade, la tragedia spirituale è maggiore di qualsiasi sciagura naturale.
Roma ha conosciuto disastri di ogni genere, ma li ha affrontati come fece san Gregorio Magno, nel 590, di fronte alla violenta epidemia di peste, che si era abbattuta sulla città . Per placare la collera divina, il Papa, appena eletto, ordinò una processione penitenziale del clero e del popolo romano. Quando il corteo giunse al ponte che unisce la città al Mausoleo di Adriano, Gregorio vide sulla sommità del Castello san Michele, che, in segno del cessato castigo, riponeva nel fodero la spada insanguinata, mentre un coro di angeli cantava: "Regina Coeli, laetare, Alleluja - Quia quem meruisti portare, Alleluja - Resurrexit sicut dixit, Alleluja!". San Gregorio rispose ad alta voce: « Ora pro nobis Deum, Alleluja!».
Nacque così l'armonia che ancora risuona da un capo all'altro dell'orbe cattolico. Possa questo canto celeste infondere nei cuori cattolici un'immensa fiducia in Maria, protettrice della Chiesa, ma anche di quello spirito romano, forte ed equilibrato, di cui più che mai abbiamo bisogno in questi giorni terribili.
28 MAY 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7805
TUTTI HANNO BISOGNO DI UN PADRE SPIRITUALEÂ di Don Stefano Bimbi
Per progredire nella vita cristiana è necessario un padre spirituale che possa guidarci nel cammino. Se dobbiamo andare per i sentieri di una montagna a noi ignota, sarà buona norma avere una guida esperta in modo da non perderci. Analogamente nella vita spirituale abbiamo bisogno di chi abbia percorso prima di noi i sentieri dello spirito. Non possiamo fare da soli perché siamo coinvolti emotivamente nelle nostre vicende. Non siamo obiettivi quando giudichiamo noi stessi poiché l'amor proprio ci annebbia la vista e siamo propensi a scegliere ciò che è più comodo o che ci piace di più. Insomma abbiamo bisogno di un punto di vista oggettivo al di fuori di noi.
Chi è dunque il padre spirituale? È un sacerdote a cui apriamo il nostro cuore affinché diventi il nostro maestro, il medico che ci cura, il riferimento per tutto ciò che riguarda Dio nella nostra vita. Egli ci mostrerà i vizi che ci impediscono di progredire, le mete che sono alla nostra portata e i mezzi per raggiungere tali traguardi. Potrà incoraggiarci quando siamo sfiduciati, sgridarci quando siamo tiepidi, consolarci quando siamo afflitti. È davvero una grazia speciale poter contare su di lui, ma non soltanto come uomo, bensì come strumento che ci porta a Cristo.
Nel Signore degli Anelli, quando si riuniscono i principali rappresentanti dei popoli per prendere l'importante decisione su cosa fare dell'anello del potere, Frodo afferma con coraggio che sarà lui a prenderlo, per compiere l'impresa di distruggerlo, però aggiunge umilmente: «ma non conosco la strada». Anche noi dobbiamo sinceramente riconoscere che non conosciamo la strada per progredire nella vita spirituale. Questo è confermato dal fatto che tutti i santi hanno avuto bisogno del padre spirituale. San Paolo ha avuto Anania a guidarlo nei primi passi della fede. Avrebbe potuto dire: «Non ho bisogno di una guida spirituale dal momento che Gesù Cristo in persona mi ha parlato sulla via di Damasco», eppure non l'ha detto. Santa Caterina da Siena ha avuto come padre spirituale il beato Raimondo da Capua. Avrebbe potuto dire: «Gesù mi parla direttamente, sono la sua sposa e non ho bisogno di intermediari», eppure non l'ha detto.
CHI SCEGLIERE COME PADRE SPIRITUALE
Chiarito quindi che abbiamo bisogno di un padre spirituale si pone adesso la domanda su chi scegliere. Innanzitutto è preferibile che sia un sacerdote. Nella storia ci sono state delle eccezioni come, ad esempio, San Francesco d'Assisi. In rari casi sono state perfino delle donne come Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d'Avila. Si tratta comunque di rarissime eccezioni. La regola è un sacerdote perché, in quanto tale, ha la grazia di stato, in virtù della sua ordinazione. Purtroppo oggi con il femminismo imperante e la parità di genere esaltata come un bene, capita di sentir dire: «Ho una madre spirituale». Ma visto che poiché scarseggiano le sante come Caterina e Teresa, bisogna ricordare che Santa Faustina Kowalska ha scritto che non trovava l'aiuto che poi avrebbe ricevuto dal suo padre spirituale, finché lo cercava nella superiora del convento. Costanza Miriano, autrice del libro Sposati e sii sottomessa, ha scritto: «mi conosco abbastanza da sapere che non mi devo sempre totalmente fidare di me stessa, delle mie emozioni, delle mie intuizioni, ed è per questo che ho una guida spirituale. Che non è solo una persona intelligente, è anche un sacerdote».
Occorre dunque chiedere nella preghiera il dono di un buon padre spirituale e bisogna aver chiaro che nella vita spirituale è il contrario di quello che succede quando si nasce. Infatti siccome la madre è sempre certa, o almeno lo era prima della fecondazione artificiale e dell'utero in affitto, il padre deve riconoscere il figlio registrandolo all'anagrafe e confermando la sua paternità il giorno del battesimo. Invece nella vita spirituale non è il padre che riconosce il figlio, ma il contrario. È il figlio che riconosce il padre. Lo stima, si sente capito, lo vede come un esempio di fede. Bisogna quindi diffidare di un sacerdote che dicesse che ci vuole guidare spiritualmente. È il fedele che deve chiedere al sacerdote di fargli da padre spirituale. E nessuno può essere costretto ad avere un padre spirituale che non ha scelto. Nemmeno un seminarista può essere costretto a prendere come padre spirituale il sacerdote che confessa i seminaristi, ma può mantenere quello che aveva prima di entrare in seminario. Un consiglio pratico per trovare il padre spirituale: dopo averlo chiesto nella preghiera, ci si confessa da più sacerdoti per poi scegliere quello che ci ispira più fiducia, che deve essere un uomo di preghiera e senza ombra di dubbio fedele alla Chiesa. Se invece ha opinioni contrarie all'insegnamento di sempre della Chiesa, se parla male della Chiesa come istituzione, se non riconosce il Papa come Papa o infine se nega l'importanza dei sacramenti o della preghiera, allora è certo che non può essere un buon padre spirituale, e nemmeno un buon sacerdote. Pertanto non si deve pensare che tutti i sacerdoti possano fare da padre spirituale e che è solo questione di trovare quello adatto alle proprie inclinazioni. Gesù avvertiva del rischio di avere delle guide cieche. «E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Mt 15,14). San Francesco di Sales scriveva che Santa Teresa d'Avila diceva di scegliere il padre spirituale tra mille sacerdoti, ma «io ti dico, uno tra diecimila, perché se ne trovano meno di quanto si dica capaci di tale compito» (Filotea, parte prima, cap. IV). Con questo faceva capire quanto è difficile trovare un sacerdote adatto al compito di padre spirituale. E noi che pensiamo di vivere solo oggi tempi difficili!
UN RISCHIO GRAVE
Sbagliando la scelta del padre spirituale si rischia molto. Santa Faustina Kowalska notava infatti nel suo Diario che «un confessore può essere di grande aiuto per un'anima, ma può anche procurarle molto danno». Ed è proprio così. Può capitare ad esempio che un sacerdote incoraggi alla vita religiosa ragazzi e ragazze, ma solo spinto dal desiderio di avere una vocazione tra le proprie pecorelle. Così è facile rovinare la loro vita. Oppure a una persona sposata che sia convinta di aver fatto ampiamente il suo dovere di genitore mettendo al mondo tre figli, il padre spirituale che rafforzasse tale convinzione farebbe un grave danno. Infatti il giorno del matrimonio gli sposi si impegnano solennemente con un sì alla domanda "Siete disposti ad accettare i figli che Dio vorrà donarvi?". Confermando l'erronea convinzione che siano gli sposi a decidere il numero dei figli e non piuttosto Dio, la direzione spirituale si trasformerebbe in una negazione dei doveri di stato dei coniugi e il dovere di stato del sacerdote di condurre le anime alla maggior perfezione spirituale possibile.
Ci si potrebbe chiedere se sia possibile avere più di un padre spirituale, ma bisogna rispondere negativamente. In tal caso si potrebbero avere più pareri discordanti ed allora anziché rasserenare e dare sicurezza, la direzione spirituale si rivelerebbe fonte di ansie e dubbi. Ovviamente può darsi che per questioni specifiche particolarmente difficili si possa ricorrere a pareri di altri sacerdoti competenti per quella materia e lo stesso padre spirituale potrebbe suggerire in tali casi eccezionali di sentire un altro consiglio. Ma a parte queste eccezioni la regola è che il padre spirituale sia uno e uno solo.
Non bisogna mai dimenticare che il padre spirituale aiuta il fedele a prendere le decisioni con consigli ed esortazioni, ma non si sostituisce a lui. Le decisioni le prende il fedele, non il padre spirituale, che non è un guru. Sebbene sia sostenuto dalla preghiera del padre spirituale, la fatica del cammino spirituale rimane a carico del diretto. È come nello sport, quando la fatica delle esercitazioni rimane a carico dello sportivo e non dell'allenatore. Se non ci sono progressi, prima di pensare di cambiare padre spirituale, ci si deve domandare se davvero ci stiamo impegnando al massimo. Inoltre cambiare padre spirituale quando dice cose diverse da quelle che ci si aspetta è segno che non si sta facendo direzione spirituale, ma che si cerca un sacerdote che dica quello che vogliamo noi al pari della strega di Biancaneve che, dallo specchio, voleva solo sentirsi dire che era la più bella del reame.
INCONTRO IN PRESENZA E REGOLARITÀ NEGLI INCONTRI
Sebbene esistano delle eccezioni, è chiaro che la direzione spirituale necessita di un incontro in presenza in quanto né i messaggi via mail o whatsapp, né i collegamenti via streaming, possono mai sostituire l'incontro di persona che permette di capire le sfumature che, a volte, sono determinanti.
Perché la direzione spirituale sia efficace occorre una certa regolarità negli incontri. Infatti la costanza viene sempre premiata. Lo studente e lo sportivo sanno che è la regolarità la ricetta per il successo, scolastico o sportivo che sia. Anche nelle difficoltà - per esempio: poco tempo libero per i tanti impegni, un esame scolastico vicino, un eccesso di carico lavorativo, un periodo di stanchezza fisica o mentale - è importante mantenere il ritmo dell'incontro con il padre spirituale. All'inizio del cammino sarà necessario una volta al mese, mentre in seguito sarà possibile diradare gli incontri.
Il padre spirituale non è un "prete per chiacchierar..." come cantava Celentano nella canzone Azzurro. Se si chiede un consiglio al padre spirituale su una determinata questione, poi si è obbligati in coscienza a tenere conto de
24 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7772
SEI MIRACOLI SORPRENDENTI DEL SANTO ROSARIOÂ di Manuela Antonacci
Nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, san Giovanni Paolo II ha espresso in modo eloquente il suo pensiero riguardo la bella e santa devozione del Rosario. «Il Rosario, pur distinguendosi per il suo carattere mariano, è una preghiera cristocentrica», aggiungendo anche che «attraverso il Rosario il credente ottiene grazie abbondanti, come se le ricevesse dalle mani stesse della Madre del Redentore». Ovviamente si tratta di Grazie che hanno come fine quello di avvicinarci a Dio: benedizioni personali che cambiano la nostra vita e quella degli altri.
La straordinaria potenza del Rosario ha ottenuto anche molti grandi miracoli che hanno cambiato le sorti del mondo. Alcuni sono documentati. Christine Galeone, dal portale Beliefnet, presenta alcuni sei sorprendenti miracoli associati al Rosario. Il primo è quello che riguarda san Domenico e gli Albigesi. Siamo in Francia, tra il 1100 e il 1200, periodo in cui imperversava la setta eretica degli albigesi che convinsero molti cattolici a suicidarsi per poter essere liberati dai loro corpi, considerati fonte di male. Fu così che intorno al 1214, la Beata Vergine donò il rosario a San Domenico per sconfiggere quelle terribili menzogne. E così avvenne. San Domenico, inoltre, da quel momento, si prodigò nella diffusione della devozione mariana.
Ne Il segreto del Rosario, san Luigi Maria Grignion de Montfort racconta proprio la devozione mariana di san Domenico: «Come ricompensa ricevette da lei [la Madonna N.d.R.] innumerevoli grazie. Esercitando il suo grande potere di Regina del Cielo, coronò le sue fatiche con molti miracoli e prodigi. Dio Onnipotente gli ha sempre concesso ciò che chiedeva tramite la Madonna. L'onore più grande di tutti è stato quello di averlo aiutato a schiacciare l'eresia albigese e di averlo reso il fondatore di un grande ordine religioso».
IL MIRACOLO DEL SOLE A FATIMA
Ma facciamo un salto in avanti nella storia e veniamo al miracolo del sole a Fatima, nel 1917, quando la Madonna apparve ai tre pastorelli: Giacinta, Francesco e Lucia, nella Cova da IrÃa, a Fátima. Nell'arco di alcuni mesi, tra il 13 maggio e il 13 ottobre del 1917, la Beata Vergine apparve ai bambini sei volte. Non solo chiese loro di pregare il Rosario ogni giorno per portare la pace nel mondo e porre fine alla Prima Guerra Mondiale, ma si presentò come "Nostra Signora del Rosario" tenendo tra le mani un Rosario radioso.
Il 13 ottobre 1917, poi compì, poi, un grande miracolo, mantenendo la promessa che aveva fatto a Lucia, perché nessuno più dubitasse delle apparizioni: circa 70.000 persone osservarono il sole che girava in cielo, compiendo una specie di danza, andando poi quasi a lanciarsi tra la folla, asciugando loro tutto il fango e gli indumenti inzuppati di pioggia, prima di riprendere il suo volo. Alcune persone furono guarite dalle malattie, molti altri si convertirono. Il messaggio della Madonna di Fatima ha avuto un ruolo molto importante anche in un altro miracolo associato al Rosario, che si colloca agli inizi degli anni ‘60, in Brasile, quando il presidente Joao Goulart si preparava a diffondere il comunismo in tutto il paese.
Sembrava un destino ormai inesorabile, proprio come era successo a Cuba. Tuttavia non tutti erano disposti ad arrendersi: il cardinale de Barros Camara invitò il popolo brasiliano a fare penitenza, secondo le indicazioni date dalla Madonna a Fatima, per poter scongiurare il pericolo ormai all'orizzonte. Fu così che il presidente del Brasile e convinto comunista Joao Goulart venne rovesciato dopo la cosiddetta "Marcia della famiglia con Dio verso la libertà ", formata da più di 600.000 donne che leggevano libri di preghiere e sgranavano rosari mentre marciavano con striscioni anticomunisti.
LA BOMBA ATOMICA
Dal rovesciamento di un potenziale regime dittatoriale, alla salvezza di un re, anche questo ha ottenuto la preghiera del rosario. Parliamo di Alfonso, re di León e della Galizia che portava costantemente un grande rosario legato alla cintura per ispirare gli altri a pregarlo e onorare la Madonna, anche se non lo pregava lui stesso. Un giorno, dopo essersi ammalato così tanto che si pensava non sarebbe vissuto a lungo, ebbe una visione in cui veniva giudicato e stava per essere gettato all'inferno, quando la Madonna intercedette per lui.
San Luigi Maria Grignion de Montfort descrisse ciò che accadde dopo. Ne Il segreto del Rosario scrive: «Lei chiese una scala e su una scala mise i suoi peccati, mentre sull'altra mise il rosario che lui aveva sempre usato, insieme a tutti i rosari che aveva detto. Si scoprì che i rosari superavano i suoi peccati». Così guardandolo con grande benevolenza, la Vergine gli disse che la sua vita era stata allungata di alcuni anni e preservata dall'inferno, per aver diffuso la devozione del rosario. Un'altra guarigione importante venne ottenuta, tramite la recita de rosario, dal sacerdote Patrick Peyton, a cui nel 1938 fu diagnosticata una tubercolosi avanzata, all'epoca incurabile
Dopo che la sorella gli suggerì di pregare la Beata Vergine, si consacrò a Maria e cominciò a pregare devotamente il Rosario. Con stupore dei suoi medici, guarì completamente e miracolosamente, e promise alla Beata Vergine che avrebbe passato la vita a promuovere il Rosario. La scamparono bella, invece, durante la grande tragedia di Hiroshima, dei sacerdoti gesuiti che vivevano in una casa parrocchiale ad un miglio e mezzo dalla città dove venne sganciata la bomba atomica.
Mentre la chiesa accanto alla canonica fu completamente distrutta e migliaia di persone morirono e altre migliaia soffrirono tremendamente per l'esposizione alle radiazioni, la casa dei gesuiti rimase in piedi e i religiosi devoti del rosario, non furono colpiti né dalla bomba e nemmeno dalle radiazioni Negli anni successivi all'esplosione furono visitati molte volte e vissero ancora per molti anni. E quando i religiosi sono stati intervistati, hanno ripetutamente spiegato il motivo per cui credevano di essere sopravvissuti: lo attribuivano al fatto di vivere fedelmente il messaggio di Fatima, dedicandosi alla recita quotidiana del santo rosario.
17 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7759
NON SI PUO' RIDURRE IL PAPA A UN RUOLO PURAMENTE ONORIFICO sdi Roberto de Mattei
Di fronte allo sfacelo della situazione ecclesiastica contemporanea non manca nel mondo tradizionalista chi arriva a mettere in dubbio le stesse istituzioni della Chiesa, a cominciare dal Papato. C'è chi sostiene, ad esempio, la necessità di rafforzare il potere dei vescovi, spogliando il Papa delle prerogative che ne farebbero un autocrate; una tesi non molto lontana da quella progressista della Chiesa sinodale, che vorrebbe ridurre il ruolo del Pontefice a un primato puramente onorifico. Altri sostengono l'abolizione dello Stato della Città del Vaticano, altri ancora vorrebbero abolire ogni forma di potere giuridico ed economico del Papato, ricordando le parole del Vangelo "non prendete borsa, né bisaccia, né denaro, né sandali, né due tuniche" (Lc 10,4). Così, il mito della Chiesa "primitiva" opposta a quella "costantiniana", un tempo cavallo di battaglia di protestanti e modernisti, si fa strada oggi tra i cattolici fedeli alla Tradizione. La frattura con la Tradizione della Chiesa, all'origine del disastro attuale, risalirebbe non al Concilio Vaticano II, ma all'Imperatore Costantino.
La confusione è grande e vorremo ricordare alcune verità tratte dal Magistero perenne della Chiesa. Dobbiamo conoscere e amare la Chiesa per come è stata voluta da Gesù Cristo e non per come noi vorremmo che fosse.
La Chiesa fondata da Gesù Cristo è una realtà che nasce e vive nella storia ed è allo stesso tempo umana e divina: umana per le membra di cui si compone, soprannaturale e divina per la sua origine, per il suo fine, per i suoi mezzi.
Come società umana, la Chiesa è un corpo visibile, composto da persone non necessariamente sante o in stato di grazia, ma unite dalla stessa fede sotto un medesimo governo. Questo governo, per volere del suo Fondatore è monarchico e gerarchico, ed è dotato di tutti i mezzi per esistere ed operare. Quali sono questi mezzi? Il primo è l'esistenza di leggi. La Chiesa è una società nel suo ambito perfetta, che non solo insegna, ma governa. Perciò ha anche il diritto di formulare delle leggi ed infliggere delle pene proporzionate alla gravità delle loro violazioni.
UN'ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE E GERARCHICA
Essendo la Chiesa governata da vescovi in unione con il Papa, è necessaria poi un'organizzazione territoriale. Per questo le sue diocesi sono configurate e distribuite secondo zone geografiche distinte.
La Chiesa può anche disporre di beni temporali, tratti dai liberi contributi sia dei fedeli che dello Stato, e di chiunque sia convinto dell'importanza della sua missione e sia desideroso di favorirla. E' questa l'origine del patrimonio della Chiesa, riconosciuto dagli imperatori Costantino e Licinio, fin dal 313 dopo Cristo.
Alla fine del V secolo, in un periodo in cui mancava un'amministrazione imperiale continuativa ed efficiente, il Papa san Gregorio Magno (590-604) volle assicurare una vigorosa amministrazione dei beni della Chiesa (patrimonium Petri), perché essa iniziava ad assumersi responsabilità pubbliche che esigevano ingenti mezzi materiali. Paolo Diacono, biografo di Gregorio, ci offre un resoconto dettagliato dei patrimoni di cui il Papa fu abile amministratore. I viaggi e il mantenimento dei missionari nei diversi paesi; le ambascerie presso l'imperatore e quelle dei legati straordinari, che dovevano spesso intraprendere lunghi viaggi per conto del Papa; le fondazioni o le visite dei monasteri; l'esercizio della giustizia sotto ogni forma; tutto questo comportava spese che venivano assunte dall'insieme dei beni della Chiesa denominato Patrimonio di San Pietro. Questo patrimonio non venne accumulato per esercitare un crescente potere politico, ma per garantire la piena libertà dell'azione evangelizzatrice della Chiesa e mantenere il Primato ecclesiastico di Roma in tutta la Cristianità .
Ancora oggi l'autonomia spirituale del Papa esige la sua indipendenza personale e territoriale da ogni potere civile. Un tempo questa indipendenza era realizzata dallo Stato Pontificio, oggi dallo Stato della Città del Vaticano.
Ma più in generale la missione della Chiesa esige una sua presenza, sostenuta economicamente, in tutti i campi: i suoi edifici sono costruiti da architetti e da maestranze in spazi pubblici: la sua liturgia è legata ad arredi, vesti, memorie storiche; la sua azione pastorale esige le condizioni create dalla tecnica e dal progresso. Oggi ad esempio rientrano in questa presenza pubblica anche le piattaforme web, usate da difensori e oppositori della Chiesa. Tutto questo presume il diritto di possedere della Chiesa.
LA CHIESA È UNA SOCIETÀ DI UOMINI E NON DI ANGELI
Nel discorso La vostra presenza del 4 aprile 1913 ai pellegrini della diocesi di Milano venuti a Roma per le feste del XVI centenario della Pace di Costantino, san Pio X diceva: "La Chiesa ha il diritto di possedere, perché è una società di uomini e non di angeli, ed ha bisogno dei beni materiali ad essa pervenuti dalla pietà dei fedeli, e ne conserva il legittimo possesso per l'adempimento dei suoi ministeri, per l'esercizio esteriore del culto, per la costruzione dei templi, per le opere di carità , che le sono affidate e per vivere e perpetuarsi fino alla consumazione dei secoli. E questi diritti sono così sacri che la Chiesa ha sentito sempre il dovere di sostenerli e difenderli, ben sapendo che, se cedesse per poco alle pretensioni dei suoi nemici, verrebbe meno al mandato ricevuto dal Cielo e cadrebbe nella apostasia. Perciò la storia ci segnala una serie di proteste e rivendicazioni fatte dalla Chiesa contro quanti volevano renderla schiava. La sua prima parola al Giudaismo, detta da Pietro e dagli altri Apostoli: Bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini (Act. V, 29), questa sublime parola fu ripetuta sempre dai loro successori e si ripeterà fino alla fine del mondo, fosse pure per confermarla con un battesimo di sangue".
Le pratiche del culto, l'organizzazione giuridica, la stessa propagazione della fede, predicata da uomini in carne ed ossa che vivono nel mondo, è soggetta a tutte le esigenze della condizione storica. Certamente questa dimensione visibile della Chiesa è quella umana, e quindi quella più soggetta a decadenza e corruzione. La soluzione però non sta in una Rivoluzione che sfiguri i connotati della Chiesa, ma in una sua riforma interna, che si richiami all'azione invisibile e misteriosa dello Spirito Santo, che sempre la assiste. La strada da seguire, in una parola, non è quella di Lutero o dei modernisti, ma quella dei grandi riformatori come san Pier Damiani, san Carlo Borromeo o lo stesso san Pio X.
Bisogna affermarlo con fiducia nel futuro malgrado il disfacimento attuale. La Chiesa, a differenza delle società umane, non si avvia verso il declino, ma verso una pienezza di vita capace di durare in eterno. Essa è stata fondata da Gesù Cristo, Uomo-Dio, e la sua dimensione è l'eternità .
17 APR 2024 · VIDEO: Budda in fila indiana ➜ https://www.youtube.com/watch?v=f_wwWewF6Yw
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7761
LA REINCARNAZIONE E' INCOMPATIBILE CON IL CRISTIANESIMO (E CON LA RETTA RAGIONE)Â di Giacomo Samek Lodovici
Uno dei pilastri del buddismo e dell'induismo è costituito dalla dottrina della reincarnazione o metempsicosi, una concezione antichissima (sostenuta anche da molti filosofi, per esempio da Platone), professata anche da diversi occidentali, persino cristiani o cattolici. In realtà , però, questa dottrina è incompatibile con quella cristiana, per vari motivi.
Per il reincarnazionismo:
1) l'anima (da intendersi come io consapevole e volontario) preesiste al corpo e discende successivamente in un corpo;
2) il soggetto coincide con la sua sola anima ed il corpo è solo un contenitore dell'anima (dualismo antropologico;
3) alla morte del corpo l'anima sopravvive e si reincarna varie volte in altri corpi;
4) solo dopo alcune reincarnazioni l'anima riceve definitivamente un premio o una punizione per come si è comportata, si libera finalmente dell'ultimo corpo e non ne assume più nessuno.
Per il cristianesimo:
1) l'anima non preesiste al corpo: nello stesso momento in cui avviene il concepimento di un nuovo corpo essa viene da Dio creata ed infusa in esso;
2) il soggetto è un'unione di anima e corpo;
3) alla morte del corpo l'anima sopravvive, ma non si reincarna in nessun corpo, bensì vive in uno stato di separazione dal corpo; solo alla fine del mondo l'anima si riunisce per sempre all'unico corpo (glorioso nel caso del beato) a cui era stata unita (resurrezione della carne;
4) alla morte del corpo l'anima riceve subito e definitivamente da Dio un premio (il Paradiso, preceduto o no dal Purgatorio) o una punizione (l'Inferno).
ALCUNE CRITICHE ALLA REINCARNAZIONE
Chiarite queste differenze, vediamo adesso alcune critiche filosofiche alla reincarnazione (altre si possono trovare nei testi citati in bibliografia).
Nel reincarnazionismo il soggetto coincide con la sua sola anima ed il corpo è solo un contenitore dell'anima. Tuttavia, se rifletto su me stesso, percepisco che il mio corpo e la mia anima sono profondamente compenetrati, interagiscono intimamente, percepisco che io sono una sintesi di anima e corpo. Vediamolo.
La mia anima agisce sul mio corpo, l'interiorità determina l'esteriorità . Ad esempio, pensiamo all'effetto placebo: se sono malato e un medico mi dà dell'acqua zuccherata, facendomi credere che mi sta somministrando una medicina, a volte io guarisco, o comunque miglioro, perché l'aspettativa e la fiducia di guarire, nutrite dalla mia anima, si riproducono sul mio corpo. Similmente, alcune malattie corporee sono una somatizzazione di fenomeni psichico-spirituali.
Il dualista antropologico può ribattere che anche un contenitore viene modificato dalle condizioni del contenuto: per esempio una bottiglia di vetro viene scaldata/ raffreddata se l'acqua che contiene è calda/fredda. Sennonché, l'anima non solo agisce sul corpo, ma altresì traspare attraverso il corpo: se sono interiormente triste, allegro, ecc., l'espressione corporea del mio viso lo manifesta, a meno che io non dissimuli. Anzi, perfino quando cerchiamo di dissimulare le nostre emozioni, alcune microespressioni facciali (che pochi sanno notare) trapelano lo stesso (cfr. K. Oatley, Breve storia delle emozioni, il Mulino 2007, p. 176). Ancora, spesso, almeno ad una certa età , i lineamenti del viso e lo sguardo manifestano se una persona è particolarmente buona/ malvagia. Ora, è vero che anche un contenitore fa trasparire le condizioni del contenuto, per esempio una bottiglia di vetro fa trasparire le condizioni dell'acqua che essa contiene, ma può farlo solo se essa è trasparente, mentre il corpo non è trasparente, bensì opaco, è un po' come una bottiglia di vetro nero.
Inoltre, il mio corpo agisce sulla mia anima: le sue condizioni si riverberano su di essa. Ad esempio, se il mio corpo è ferito o è accarezzato la mia anima ne risente. Più in generale, il corpo, che è sessuato, determina non solo l'aspetto fisico, ma anche la personalità , il carattere, l'emotività , il modo di reagire, il modo di ragionare, ecc., che negli uomini sono generalmente diversi da quelli delle donne.
Il dualista antropologico anche qui può ribattere che anche le condizioni di un contenitore incidono sul contenuto: se una bottiglia di vetro riceve calore dall'esterno lo trasmette all'acqua che c'è dentro di essa e la scalda. Ma se una bottiglia viene rigata/accarezzata l'acqua non ne risente, mentre se il mio corpo viene rigato-ferito/accarezzato la mia anima ne risente.
VARIANTI DEL REINCARNAZIONISMO
In alcune varianti del reincarnazionismo anima e corpo sono come prigione (corpo) e prigioniero (anima).
Ora, questa variante comporta di nuovo i problemi già segnalati, ed inoltre ne comporta un altro. Infatti, l'anima è capace, almeno in certi casi, di dirigere- governare il corpo: decido di alzare un braccio e lo alzo, decido di alzarmi e mi alzo, ecc. Ma, allora, come può il prigioniero dirigere e governare la prigione?
Nel reincarnazionismo l'anima perde la conoscenza delle esistenze precedenti quando scende nel corpo; ma, poi, è proprio il corpo che, attraverso l'esperienza, le fa acquisire le nuove conoscenze. In tal modo, il corpo è ciò che fa perdere la conoscenza e ciò che la fa acquisire, il che è problematico quanto l'esistenza di una matita che lascia dei segni sulla carta e che inoltre li cancella (una matita non può cancellarli in quanto matita, bensì solo se ad essa è attaccata una gomma).
In alcune versioni del reincarnazionismo l'anima umana si reincarna anche in corpi animali o vegetali o inorganici per espiare una colpa commessa nelle esistenze precedenti.
Se scendendo in tali esseri non umani l'anima perde consapevolezza, insorge un nuovo problema. Infatti, l'espiazione richiede afflizione, ma non ci può essere afflizione se non c'è consapevolezza: io non espio alcunché se qualcuno mi commina una punizione che non mi accorgo affatto di scontare.
Se invece scendendo nei corpi l'anima conserva la consapevolezza, il problema non c'è, ma se ne aggiunge un altro, perché è già problematico affermare che animali, vegetali e corpi inorganici hanno consapevolezza.
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