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La storia che ci hanno insegnato a scuola è sbagliata; proviamo a guardare alla realtà dei fatti senza pregiudizi e senza paraocchi
Storia - BastaBugie.it
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10 SEP 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7908
LA FRANCIA E' CONSACRATA A MARIA ASSUNTA di Francesco Patruno
Nei giorni scorsi, durante le Olimpiadi svoltesi a Parigi, abbiamo assistito a una derisione del Cristianesimo nella cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici, tenutasi il 26 luglio. Gli organizzatori hanno voluto scimmiottare l'Ultima Cena. [...]
Il carattere esoterico e neo-gnostico della cerimonia era evidente, perché, non a caso, la sua figura centrale era quella del dio pagano Dioniso, che per Friedrich Nietzsche e per gli esoteristi, incarnerebbe l'antitesi del Cristo e rappresenterebbe il simbolo della rottura con la morale cristiana, vista come avvilimento ed annientamento. [...]
Guardando a questi spettacoli, così in contrasto con ciò che la Francia un tempo ha rappresentato per la Chiesa e per la fede cattolica, che ha visto germogliare in terra francese schiere di santi, tanto da essere considerata “figlia primogenita della Chiesa”, mi sono chiesto se essi riflettano davvero il popolo francese e le radici di quel paese. A un'analisi superficiale, potrebbe sembrare che quella Nazione non potrà mai tornare ai suoi fasti cristiani. Eppure, c'è speranza. Non dobbiamo dimenticare Colei che tutte le generazioni chiamano beata, a cui la Francia fu affidata secoli fa; un affidamento legato proprio alla solennità dell'Assunzione. Un affidamento che potrebbe costituire, secondo i tempi imperscrutabili della Vergine, che sono i tempi di Dio, il perno su cui la terra di Francia tornerà a essere pienamente cristiana.
Cosa c'entra, dunque, quella Nazione con l'Assunta? È presto detto. Si tratta di una storia davvero affascinante, risalente al XVII sec., cioè alle vicissitudini private (e non solo) del re Luigi XIII e della regina Anna d'Austria. Sì, proprio quell'epoca e quei regno durante il quale è ambientata anche la vicenda de I tre moschettieri di Alexandre Dumas. Per farla breve, la coppia, molto pia e devota (sebbene il re non avesse mancato di intrattenere relazioni con cortigiane), non era stata benedetta dalla nascita di un figlio che potesse garantire la successione al trono. Per la verità, dal matrimonio, la regina concepì ben tre figli, che si risolsero in altrettanti aborti, di cui uno accidentale per una caduta dalle scale.
La coppia regale, quindi, non poteva godere della gioia di un erede al trono.
Fu su consiglio del monaco agostiniano scalzo Fra Fiacre di Sainte-Marguerite, personalità mistica dell'epoca, che aveva ricevuto nell'autunno 1637 alcune apparizioni della Vergine nelle quali la Madonna annunciava la prossima nascita di un erede al trono ed invitava - suo tramite - a tale scopo la regina Anna a compiere dei cicli di novene (il ciclo di novene si concluse il 5 dicembre di quell'anno, esattamente nove mesi dopo nacque il tanto desiderato bambino), e dell'ex cortigiana e confidente del re, Louise de La Fayette, divenuta nel frattempo monaca visitandina col nome di Suor Angelica, la quale aveva favorito la riconciliazione e la riunione del re con la regina, se si giunse - una volta avuta la certezza del concepimento del figlio da parte della sovrana - alla proposizione di un voto alla Madre di Dio.
IL VOTO ALLA VERGINE
Per la verità, sin dall'indomani del concepimento del figlio (avvenuto - si badi - dopo oltre un ventennio di matrimonio sostanzialmente sterile), e cioè dall'11 dicembre 1637, il re annunciava la sua intenzione di esprimere un voto alla Vergine. Il testo, più volte corretto e rifinito anche dal primo ministro del re, il celebre cardinal de Richelieu, fu sottoposto al Parlamento di Parigi. Il 10 febbraio 1638, finalmente, il re, nel suo castello di Saint-Germain-en-Laye, firmava, con proprie lettere patenti, il testo del voto in cui dichiarava solennemente che, «prendendo la santissima e gloriosissima Vergine come speciale protettrice del nostro regno, a Lei consacriamo particolarmente la nostra persona, il nostro Stato, la nostra corona e i nostri sudditi, supplicandola di ispirarci una santa condotta e difendere questo regno con tanta cura contro gli sforzi di tutti i suoi nemici [...]. E affinché i posteri non possano non seguire i nostri desideri su questo argomento, come monumento e segno immortale dell'attuale consacrazione che compiamo, faremo riedificare il grande altare della cattedrale di Parigi con un'immagine della Vergine che tenga tra le sue braccia quelle del suo prezioso Figlio deposto dalla Croce, e dove Noi saremo rappresentati ai piedi del Figlio e della Madre nell'atto di offrire loro la nostra corona e il nostro scettro.
Ammoniamo il signor arcivescovo di Parigi, e gli ordiniamo nondimeno che ogni anno, nella festa e nel giorno dell'Assunzione, faccia commemorare la nostra presente dichiarazione nella messa solenne, che sarà detta nella sua chiesa cattedrale, e che dopo i vespri di detto giorno, nella detta chiesa si farà una processione, alla quale parteciperanno tutte le compagnie sovrane e gli organi cittadini, con cerimonie simili a quelle che si osservano nelle processioni generali più solenni, che vogliamo si facciano anche in tutte le chiese; sia parrocchiali che quelle dei monasteri di detta città e sobborgo, e in tutte le città, paesi e villaggi della detta diocesi di Parigi.
Esortiamo parimenti gli arcivescovi e i vescovi del nostro regno, e nondimeno ingiungiamo loro di celebrare la stessa solennità nelle loro chiese episcopali, e delle loro diocesi, intendendo che a detta cerimonia siano presenti le corti del Parlamento e altre compagnie sovrane, e i principali ufficiali delle città, e avvertendo tutti i popoli ad avere una particolare devozione verso il Vergine, d'implorare in questo giorno la sua protezione, affinché, sotto una così potente Patrona, il nostro regno sia protetto da tutte le imprese dei nostri nemici, che goda lungamente di buona pace, che Dio vi sia servito e venerato così santamente affinché noi e i nostri sudditi arriviamo felici al fine ultimo per il quale tutti siamo stati creati, poiché tale è il nostro desiderio».
Con questo voto, Luigi XIII istituì le processioni del 15 agosto durante le quali i sudditi avrebbero dovuto pregare Dio e la Vergine per i felici successi del re. Ogni chiesa del regno era tenuta, nella misura in cui la chiesa stessa non era già sotto il patronato della Vergine, a dedicare un altare o cappella principale alla Regina del Cielo. Luigi XIII promise infine di costruire un nuovo altare maggiore nella cattedrale di Notre Dame di Parigi, nonché di offrire alla cattedrale un nuovo gruppo scultoreo.
LA NASCITA DELL'EREDE AL TRONO (DIEUDONNÉ, CIOÈ “DATO DA DIO”)
Intanto, il 5 settembre 1638, nasceva il tanto desiderato figlio, Luigi XIV, il famoso Re Sole, soprannominato Dieudonné, cioè “dato da Dio”, proprio perché dono immeritato del Signore, ottenuto per intercessione della Vergine Maria, in un matrimonio sostanzialmente sterile, che si trascinava da oltre un ventennio.
Da quell'anno 1638, ogni 15 agosto fu dedicato al ricordo di quel voto e della consacrazione della Francia e del suo popolo alla Madonna.
Luigi XIII non fece in tempo ad adempiere al voto: vale a dire a costruire il nuovo altare maggiore a Notre Dame. Questo compito spettò al figlio, Luigi XIV, sessant'anni dopo. Dal 1708 al 1725, l'architetto Robert de Cotte rimodellò completamente il coro della cattedrale parigina, mascherando i costoloni con archi semicircolari più moderni. Ai lati dell'altare maggiore furono collocate sei statue di angeli in bronzo recanti gli strumenti della Passione di Cristo e quelle dei due re inginocchiati, Luigi XIII in atto di offrire scettro e corona di Guillaume Coustou e quella di Luigi XIV scolpita da Antoine Coysevox. Dietro l'altare maggiore, sotto l'arcata centrale dell'abside, fu collocato il gruppo scultoreo della Pietà, in marmo di Carrara, opera di Nicolas Coustou, che lo realizzò tra il 1714 e il 1715. Queste due statue dei re e quella della Pietà vennero rimosse nel 1793 e ricollocate nella cattedrale solo nel 1815, quelle dei sovrani su nuovi piedistalli completati nel 1816 con lo stemma del re di Francia.
Tutto il gruppo scultoreo, pegno del voto del pio re di Francia, sono scampati miracolosamente al terribile incendio della cattedrale del 15 aprile 2019.
La consacrazione della Francia e del re furono confermate da Luigi XIV il 25 marzo 1650 e vennero rinnovate in occasione del centenario del voto, nel 1738, dal re Luigi XV.
Le campane e le processioni si svolsero ogni anno il 15 agosto sino alla Rivoluzione francese e per l'esattezza sino al 1791 compreso: il 14 agosto 1792, infatti, l'Assemblea legislativa rivoluzionaria abolì la consacrazione della Francia ed il voto; l'anno seguente, il 10 novembre 1793, profanata la cattedrale, essa fu trasformata nel tempio della dea Ragione.
Con la caduta di Napoleone e la Restaurazione, il re Luigi XVIII ristabilì la celebrazione del voto nel 1814. Sotto la c.d. Monarchia di Luglio, nell'agosto 1831, il re Luigi Filippo I, figlio della Rivoluzione, abolì definitivamente il voto ed ogni celebrazione, nonostante la ferma e vana protesta di intellettuali cattolici come Lamennais, Lacordaire e Montalembert.
Per la verità, già dalla modifica costituzionale del 1830 allorché la religione cattolica cessò di essere religione di Stato, il voto aveva perso forza di legge ed era caduto nel dimenticatoio, lasciando sostanzialmente all'iniziativa locale, popolare o diocesana, la celebrazione della ricorrenza.
SANTA GIOVANNA D'ARCO PATRONA DI FRANCIA (DOPO L'ASSUNTA)
A
3 SEP 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7909
LA RIDICOLA FESTA DI SAN NAPOLEONE AL POSTO DELL'ASSUNTA di Francesco Patruno
È da pochi giorni trascorsa la solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria. Anzi, siamo nell'ottava della ricorrenza. Ovviamente, come sempre ogni anno, nell'indifferenza religiosa di coloro che, in questo periodo di ferie estive, sono più intenti a pensare a come trascorrere il Ferragosto, magari in riva al mare, dopo una notte insonne intorno ad un fuoco, tra canti e gozzoviglie varie.
Pensando a questo, mi è venuta in mente come la data del 15 agosto abbia segnato la storia della Chiesa e della fede. Basti pensare a Napoleone Bonaparte, che, nato, appunto, un 15 agosto (1769), lungi dal sentirsi onorato per questa singolare e felice coincidenza, tentasse persino di abolire la festa mariana dell'Assunta, per non sentirsi ripetere, proprio nel giorno del suo genetliaco, al Vangelo, il passo lucano della visita di Maria a S. Elisabetta, con il canto del Magnificat nel quale la Vergine fanciulla di Nazaret, echeggiando le parole di Anna, la madre di Samuele, magnifica ed esulta in Dio perché disperde «i superbi nei pensieri del loro cuore», rovescia «i potenti dai troni» ed innalza gli umili.
Divenuto imperatore nel 1804, con proprio decreto del 19 febbraio 1806, al fine di consolidare - a fini propagandistici la sua immagine - e sostenuto anche dalle logge massoniche, decise di abolire la festività dell'Assunta nel suo Impero, sostituendola con una festa nazionale dedicata a un improbabile San Napoleone, una figura inventata per l'occasione. Questo presunto santo, il cui vero nome era Neopolo (deformato, appunto, in Napoleone), venne presentato come un anziano martire della fede ed ufficiale romano, morto in prigione il 2 maggio 304 a causa delle torture subite sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano. Tale figura era associata a un gruppo di martiri (Santi Saturnino, Celestino e Germano). La statua di questo santo si trova ancora oggi su una guglia del Duomo di Milano, collocata lì nel 1811 e opera dello scultore Giuseppe Fabris.
Così, il 15 agosto, Napoleone avrebbe potuto vedere celebrato il suo compleanno e il suo onomastico con gli onori di una festa nazionale, a misura del suo ego smisurato. Tuttavia, questa ricorrenza durò meno di un decennio. Come ci ricorda la prima lettera di Pietro, «Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1 Pt 5,5). Con l'esilio di Napoleone a Sant'Elena, in effetti, la festa nazionale a lui dedicata fu abolita il 16 luglio 1814 da Luigi XVIII. Nel 1852, l'imperatore Napoleone III tentò di ripristinare la festa, ma solo come anniversario della nascita di suo zio, senza il riferimento a San Napoleone. Pure questo tentativo, però, ebbe breve durata. [...]
27 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7897
HUSSERL E LE OPPOSTE VITE DEI SUOI DISCEPOLI PIU' FAMOSI: HEIDEGGER ED EDITH STEIN di Roberto de Mattei
Agli inizi del Ventesimo secolo, una nuova scuola filosofica si presentava alla ribalta in Europa, nel tentativo di portare il pensiero moderno alla sua "maturità critica". Fondatore della nuova scuola era Edmund Husserl (1859-1938), professore a Gottinga e a Friburgo in Breslavia, che cercava nella coscienza umana l'oggettività della conoscenza e dei valori.
Nella cerchia dei collaboratori di Husserl si distinguevano due giovani studiosi, Edith Stein e Martin Heidegger, i cui opposti itinerari intellettuali ed esistenziali sembrano riassumere emblematicamente le diverse possibilità che ha di fronte a sè la filosofia e la civiltà moderna. Martin Heidegger, nato cattolico, percorse fino in fondo l'itinerario teorico dell'immanentismo moderno, approdando ad un nichilismo tanto ambiguo quanto radicale; successe a Husserl nella cattedra, aderì al nazionalsocialismo e dopo la guerra concluse la sua esistenza, acclamato filosofo; oggi è un controverso profeta della Sinistra postmoderna.
Edith Stein, la discepola prediletta di Husserl, nata ebrea, dopo una sofferta ricerca personale, si convertì al cattolicesimo; voltò le spalle ad una brillante carriera universitaria e trovò la pienezza della Verità e della Vita alla quale anelava nella filosofia dell'Essere di san Tommaso d'Aquino e nella profondità interiore del Carmelo. Suggellò con il martirio la sua adesione totale a Cristo. La sua figura merita di essere ricordata.
Edith Stein, nacque a Breslavia, in Germania nel 1891, undicesima figlia di una coppia di ferventi ebrei. Nel 1910, dopo aver concluso brillantemente gli studi liceali, si iscrisse all'Università di Breslavia. Nel 1913 si trasferì all'Università di Gottinga, dove incontrò il filosofo Husserl, di cui divenne assistente, assieme a Martin Heidegger, di due anni maggiore di lei.
QUESTA È LA VERITÀ
La Autobiografia di santa Teresa d'Avila, letta in una notte d'estate del 1921, cambiò la sua vita. Edith era sola nella casa di campagna di alcuni amici, che si erano assentati brevemente. Ella stessa racconta: "Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo "Vita di santa Teresa narrata da lei stessa". Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la verità".
Contro la volontà dei suoi genitori, Edith ricevette il battesimo e la prima comunione nel giorno di Capodanno del 1922. Voltò le spalle a un futuro di successo e il 14 ottobre 1933, mentre il nazismo andava al potere in Germania, entrò nel monastero delle Carmelitane di Colonia, con il nome di suor Teresa Benedetta della Croce. Il padre Cornelio Fabro, scrisse di Lei: "La vita carmelitana le infondeva una pace di spirito, una pienezza di vita, una gioia del cuore inesprimibile che s'irradiava su quanti poterono in rare occasioni avvicinarla: colpiva, nell'aspetto chiaro e giovanile, una dignità di semplicità, una caritatevole affabilità, una fraterna comprensione che dava quel gaudio e quel pungolo insieme da cui siam colpiti ogni volta che in questa grama esistenza ci tocca qualche autentico raggio del Bene infinito» (Edith Stein, dalla filosofia al supplizio, in "Ecclesia", IX, 7 ,1949, pp. 344-346).
Il 21 aprile dello stesso 1933 Martin Heidegger, su proposta di un gruppo di docenti nazionalsocialisti era stato eletto rettore alla Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo. Il 21 aprile 1938, suor Teresa Benedetta della Croce emise la professione perpetua nell'ordine del Carmelo. Qualche giorno dopo, il 26 aprile, morì a Friburgo il suo maestro, Edmund Husserl, pronunciando parole di abbandono in Dio. Martin Heidegger, dopo una torbida relazione sentimentale con la sua allieva Hannah Arendt, morirà a Friburgo, a ottantasei anni, nel 1976.
RAPPRESAGLIA CONTRO L'EPISCOPATO OLANDESE
La notte del 30 dicembre 1938, per sfuggire alle persecuzioni razziali, Edith abbandonò il Convento delle Carmelitane di Colonia per rifugiarsi nel Carmelo di Echt, in Olanda. Così scriveva: "Ho un pensiero persistente: quaggiù non ci sono dimore permanenti. Non desidero nulla, se non che si compia in me e attraverso di me la volontà di Dio: quanto tempo mi lascerà qui e che cosa succederà in seguito? Tutto questo dipende da Lui e perciò non devo preoccuparmi affatto. È però importante pregare molto, per restare fedeli in ogni circostanza". "Fin da adesso - scrive nel suo testamento - accetto la morte che Dio mi ha destinato, con gioia e con una totale sottomissione alla sua santissima volontà. Prego il Signore di voler accettare la mia vita e la mia morte per la sua gloria e glorificazione [...], per il popolo ebreo affinché il Signore sia accolto dai suoi e venga il suo regno [...] Per la salvezza della Germania e per la pace nel mondo; infine, per i miei parenti, vivi e morti, e per tutti coloro che Dio mi ha affidato: perché nessuno si perda".
Dopo lo scoppio della Seconda Guerra mondiale, nel maggio 1940, l'Olanda venne occupata dai tedeschi. Il 2 agosto 1942, il commissario del Reich fece arrestare tutti i religiosi e le religiose non ariane presenti nei conventi, in tutto circa 300, come atto di rappresaglia contro l'episcopato olandese che si era opposto pubblicamente alle persecuzioni contro gli ebrei. Suor Teresa Benedetta, assieme alla sorella Rosa, fu internata nel campo di concentramento di Auschwitz, dove morì, in una camera a gas, il 10 agosto 1942.
Suor Teresa Benedetta della Croce, monaca carmelitana, vergine e martire, fu proclamata beata nel 1987 da Giovanni Paolo II, canonizzata nel 1998 ed elevata alla dignità di co-patrona d'Europa insieme a santa Caterina da Siena e a santa Brigida di Svezia.
La grandezza di Edith Stein, più ancora che nel suo martirio, fu nella scelta eroica con cui, decise di voltare le spalle allo spirito del mondo, per immergersi nella profondità spirituale del Carmelo. La grazia del martirio fu la ricompensa di questo ardente amore per la Verità che costituì il filo conduttore della sua vita.
25 JUN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7833
SANGIULIANO, DIETRO LO SVARIONE C'E' LA SOLITA VULGATA di Stefano Chiappalone
Più che un semplice anacronismo è un boomerang. Domenica a Taormina durante l'evento "Taobuk 2024 - Identità italiana, identità culturale" il ministro Gennaro Sangiuliano a un certo punto ha citato: «... la Santa Inquisizione, perché l'Inquisizione nella Spagna dell'epoca era un contropotere molto forte. Colombo va davanti alla Santa Inquisizione e spiega il suo progetto. Colombo, sapete, non ipotizzava di scoprire un nuovo continente, ma Colombo voleva raggiungere le Indie circumnavigando la terra sulla base delle teorie di Galileo Galilei. Allora i padri, chiamiamoli "padri"...». Il tutto per dire che «Nell'attività normativa legislativa quando ci mettiamo a ragionare a come riformare, troviamo sempre i soloni che ci dicono: "Ma questa cosa non è mai stata fatta". Ma se nella storia dell'umanità non ci fosse stato qualcuno che a un certo punto ha rotto gli schemi, noi non avremmo fatto tante conquiste». Insomma, il riformatore odierno come un novello Colombo o Galileo.
Applausi scroscianti sul posto e ironia sferzante sul web, facendo notare un "dettaglio" che dovrebbe essere ovvio come il proverbiale uovo di Colombo (restando in tema): le date non tornano, dal momento che Galileo Galilei nacque nel 1564, quando Cristoforo Colombo era morto da ben 58 anni e pertanto difficilmente avrebbe potuto avvalersi delle «teorie» dello scienziato pisano. Un'occhiata a wikipedia avrebbe risparmiato una gaffe tanto più eclatante in bocca al ministro della Cultura. Come se un sottosegretario agli Esteri confondesse i libanesi con i libici (ah no, è già accaduto). O se qualcuno collocasse Times Square a Londra invece che a New York... ma Sangiuliano ha fatto anche questo.
Non c'è solo l'anacronismo: se pure Galileo fosse vissuto qualche tempo prima, di quali teorie si sarebbe potuto avvalere Colombo per il suo viaggio? Dell'eliocentrismo? A rendere possibile il viaggio di Colombo servivano due dati: che la terra fosse sferica, e lo si sapeva da parecchi secoli, malgrado qualcuno ancora sia convinto che le obiezioni a Colombo si basassero sul mito della "terra piatta" (ma la sfericità della terra era cosa nota anche nel vituperato Medioevo). E che la circonferenza terrestre fosse sufficientemente "piccola" da consentire la lunga navigazione attraverso l'Oceano. In effetti le misurazioni di Colombo attingevano alla Geografia non di Galileo bensì di Tolomeo (forse il ministro si riferiva a lui, come ipotizza Focus?)
BASTA LO SLOGAN
Sviste non da poco, ma che importa, basta aver lanciato lo slogan: l'uomo delle riforme incurante dei pregiudizi come il navigatore genovese, che la vulgata descrive – al pari di Galileo - come la quintessenza della modernità. Il che basta a godere di quella sorta di "impunità culturale" per cui su certi temi, argomenti o personaggi, si può pontificare a piacimento e ogni strafalcione è perdonato purché si esalti la (presunta) modernità di qualcuno rispetto alla (presunta) arretratezza dei tempi in cui visse. Uno schema buono per tutte le occasioni. E poi l'inquisizione ci sta sempre bene a dare un tocco noir, tanto nessuno va a controllare che non si occupava di viaggi per mare (e che le ricerche più recenti hanno restituito un'immagine non esattamente corrispondente alla leggenda nera, da non sostituire con una leggenda rosa, ma semplicemente con le luci e le ombre della verità storica). Potenza della propaganda ottocentesca che tuttora riecheggia dai sussidiari ai documentari.
Comunque sia, le obiezioni dei dotti di Salamanca non si fondavano sul terrapiattismo, bensì su calcoli più esatti di quelli di Colombo: in altri termini, la circonferenza terreste era più ampia e quindi il viaggio sarebbe stato più lungo di quanto avesse preventivato il genovese. Troppo lungo per disporre di provviste sufficienti. E chissà come sarebbe finito se nel percorso tra il porto di Palos e le "Indie" non si fossero imbattuti in quel continente imprevisto. Forse come quello dei fratelli Vivaldi, che esattamente due secoli prima si erano già proposti di andare «per mare Oceanum ad partes Indiae», ma non fecero più ritorno.
COLOMBO CATTOLICO ROMANO
E la sbandierata modernità di Colombo? Il suo Giornale di bordo si apre «nella grande città di Granada dove (...) vidi il Re Moro venire alle porte della città e baciare le regali mani delle Vostre Altezze e del Principe mio signore». Dalla Reconquista all'ansia di convertire i popoli soggetti a quel «principe che è chiamato Gran Khan»: «quante volte egli ed i suoi predecessori avevano mandato messi a Roma per cercar dottori nella nostra Santa Fede che di essa li istruissero, e mai il Santo Padre ne li ha provveduti, e così tante persone andarono perdute per esser cadute in idolatrie ed aver ricevuto dottrine di dannazione». E poiché il Santo Padre non aveva fatto nulla (anche allora si temeva il proselitismo?), los reyes catolicos «hanno risolto di inviare me, Cristoforo Colombo, alle menzionate contrade dell'India, per vedere (...) la maniera in cui possa intraprendersi la loro conversione alla nostra Santa Fede».
Un'ultima nota sulla modernità di Galileo, entrato suo malgrado - e anzitempo - in questa vicenda. Il nodo della querelle tra lui e il cardinale Bellarmino stava nella pretesa galileiana di proporre come verità un'ipotesi scientifica. Lasciamo la parola a uno storico non sospetto di filo-cattolicesimo, come Alessandro Barbero: «Attenzione a dire che Galileo era moderno... quando ha scoperto queste cose ha detto: "Questa è la verità e io intendo insegnare la verità". E il cardinale Bellarmino, pover'uomo, gli diceva: "Ma senti, noi non vogliamo farti mica delle cattiverie, basta che tu accetti di insegnare che questa è un'ipotesi e tu puoi anche dire che con quell'ipotesi lì le cose vanno bene, funzionano, però è un'ipotesi". E Galileo, duro: "No, è la verità, non è un'ipotesi!". E il mio professore di fisica concludeva, lo ricorderò per sempre: "Non era moderno Galileo, era moderno il cardinale Bellarmino!"».
Parafrasando un noto tormentone di vent'anni fa: «Dammi tre parole: Colombo, Galileo e Inquisizione». Gli ingredienti perfetti per far sfoggio di luogocomunismo. E lo svarione è perdonato, perché in fondo è in linea con la vulgata.
19 JUN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7829
IL TERRORE, APICE DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE di Mauro Ronco
Il Terrore designa la fase acuta del processo rivoluzionario, noto come Rivoluzione francese, che ha devastato la Francia nel decennio dal 1789 al 1799. Per quanto sia possibile distinguere in esso periodi diversi - il primo, nell'agosto-settembre del 1792; il secondo, dalla caduta dei girondini, il 2 giugno 1793, alla caduta di Maximilien de Robespierre (1758-1794), il 28 luglio 1794 -, appare più rispondente alla realtà storica considerare il Terrore un blocco unitario, come esito coerente di un movimento che, per accelerazioni progressive, volle fare terra bruciata del passato religioso, culturale e civile della Francia, e praticò sistematicamente, come metodo di lotta politica, l'annientamento dell'avversario esercitando il potere in modo totalitario. Fra i più rilevanti provvedimenti, grondanti intrinseca ingiustizia, antecedenti alla fase strettamente terroristica, vanno ricordati la confisca dei beni della Chiesa cattolica, la loro trasformazione in beni nazionali e la loro vendita all'incanto, con i decreti del 17 marzo e del 14 maggio 1790; la Costituzione Civile del Clero, del 12 luglio 1790, che voleva svellere il clero cattolico dalla Chiesa universale, e la legge Le Chapelier (Isaac, 1754-1794), del 14 giugno 1791, che interdiceva qualsivoglia associazione fra cittadini esercitanti il medesimo mestiere.
IL PRIMO PERIODO: AGOSTO E SETTEMBRE 1792
Focalizzando l'attenzione sul primo periodo del Terrore - agosto-settembre del 1792 -, può osservarsi che, a partire dall'estate del 1792, la violenza abbandona le apparenze legalistiche. Il 10 agosto 1792 la marmaglia - che già aveva fatto, sotto la guida di abili mestatori, la prova generale il 20 giugno precedente - assale, sospinta dalla Comune insurrezionale, il palazzo delle Tuileries, da cui re Luigi XVI di Borbone (1754-1793) si era allontanato con la famiglia per porsi sotto la protezione dell'Assemblea Legislativa. Alle guardie svizzere, fedeli alla consegna di difendere la residenza reale, il sovrano, sollecitato dai deputati, trasmette l'improvvido ordine di cessare la resistenza. È l'inizio del Terrore: scampato il pericolo, la folla stermina gli svizzeri e gli altri difensori. La Comune impone l'elezione di un nuovo corpo assembleare e la decadenza del re: l'Assemblea, terrorizzata, sospende il re "[...] fino a che si pronunci la Convenzione nazionale ". La Comune, affermando la sua dittatura, incarcera il re, insieme con la famiglia, nella prigione del Tempio. Si scatena la caccia ai "sospetti ": i vincitori arrestano i sacerdoti che non hanno prestato giuramento alla Costituzione Civile del Clero - detti "refrattari " in contrapposizione ai "giurati " -, gli aristocratici, i parenti degli emigrati e i semplici cittadini malvisti dai sanculotti parigini. Poi, all'inizio di settembre, all'annuncio che l'armata prussiana preme alla frontiera, gli agitatori trucidano nelle prigioni gli arrestati. La carneficina, iniziata il 2 settembre, prosegue il 3, il 4 e il 5 successivi. Le prime esecuzioni sono compiute al convento dei Carmelitani, trasformato in prigione dei sacerdoti fedeli alla Chiesa. Dopo un macello iniziale, compiuto in modo indiscriminato e disordinato a colpi di fucile, di sciabola e di picca, è inscenata una parodia giudiziaria. Il commissario di una sezione della Comune si installa in un corridoio del pianterreno e si fa consegnare la lista dei prigionieri. A due a due i sacerdoti sopravvissuti gli sono presentati innanzi. Con zelo repubblicano, Violette - così si chiamava il figuro - si assicura dell'identità e della persistenza nel rifiuto del giuramento. Poi pronuncia la "sentenza", che viene eseguita immediatamente, con l'uso delle armi più diverse. Dei centocinquanta-centosessanta prigionieri - la grandissima parte sacerdoti - centoquindici sono uccisi: fra essi, il beato Jean-Marie du Lau d'Alleman (1738-1792), arcivescovo di Arles, e i fratelli de la Rochefoucauld-Bayers, il beato François-Joseph (1736-1792), vescovo di Beauvais, e il beato Pierre-Louis (1744-1792), vescovo di Saintes. Maria Teresa di Savoia Carignano, principessa de Lamballe (1749-1792), è vittima dei massacri di settembre: la sua testa, issata su una picca, è condotta come trofeo per le vie della città e portata innanzi alla prigione del Tempio affinché la regina Maria Antonietta (1755-1793) possa vederla. Sono uccisi circa milletrecento prigionieri dei duemilacinquecento imprigionati. Il Comitato di Sorveglianza Rivoluzionaria della Comune si affretta a informare, già in data 3 settembre, i Comitati Dipartimentali che "[...] una parte dei cospiratori feroci detenuti nelle prigioni è stata messa a morte dal popolo " e che gli "[...] atti di giustizia sono apparsi indispensabili al popolo per trattenere con il terrore le migliaia di traditori ". Georges-Jacques Danton (1759-1794), artefice dell'insurrezione del 10 agosto e ministro della Giustizia al momento dei massacri, risponde, all'ispettore delle prigioni che gli manifesta inquietudine: "Me ne fotto dei prigionieri; divengano ciò che potranno ". E il 2 settembre proclama: "Il popolo vuol farsi giustizia da sé di tutti i cattivi soggetti che sono nelle prigioni ". Il 3 aggiunge: "Questa esecuzione era necessaria per tranquillizzare il popolo di Parigi [...]. È un sacrificio indispensabile; d'altra parte il popolo non si sbaglia [...].Vox populi, vox Dei, è questo l'adagio più vero e più repubblicano che io conosca ".
IL SECONDO PERIODO: DAL GIUGNO DEL 1793 AL LUGLIO DEL 1794
Con l'elezione dei membri della Convenzione, il 21 settembre 1792, sorge la nuova "legalità " repubblicana. Il Terrore assume forme più raffinate e vuole diventare "legale ". Lo stesso 21 settembre la Convenzione proclama all'unanimità l'abolizione della monarchia; il 25 la Repubblica è dichiarata "una e indivisibile ". Sennonché, l'odio comune contro la religione cattolica e la tradizione storica della Francia cela feroci contrasti fra le fazioni. Già il 25 ottobre Robespierre, accusato in assemblea di volersi fare tiranno, rivendica orgogliosamente la contrarietà al diritto di tutta la Rivoluzione, che egli individua come un blocco unitario. Il Terrore - religioso, politico, militare, economico - è organizzato sistematicamente per accelerare il corso della Rivoluzione. Consapevoli di essere una infima minoranza in Parigi e, ancor più, nel paese, i membri della setta giacobina terrorizzano la Francia intera. Il regime di annichilimento è diretto dal Comitato di Salute Pubblica - creato il 6 aprile 1793 -, che esercita di fatto il governo del paese. Nella fase più allucinante del Terrore - dal settembre del 1793 al luglio del 1794 - ne fanno parte dodici uomini, di cui Robespierre è l'elemento trainante e Louis Saint-Just (1767-1794) e Georges Couthon (1755-1794) i più ascoltati consiglieri. Il Comitato si avvale del Tribunale rivoluzionario - Tribunale criminale straordinario, creato il 10 marzo 1793 - e di una serie di leggi eccezionali, fra cui va ricordata quella sui sospetti, del 17 settembre 1793, che prevede l'arresto e la messa a morte di chiunque non sia allineato con il Comitato. L'infrastruttura indispensabile alla repubblica del Terrore è costituita dai Comitati di Sorveglianza Rivoluzionaria, diffusi su tutto il territorio nazionale nel numero di più di ventimila, con poteri di polizia che prevedono l'arresto dei "nemici della libertà ". I sacerdoti, ormai anche quelli "giurati", appartengono alla categoria dei sospetti e possono essere messi a morte in qualsiasi momento. È imposto il calendario repubblicano, allo scopo di abolire ogni traccia cristiana e cancellare il ritmo settimanale con la centralità della domenica. La scristianizzazione si accanisce contro le chiese, gli oggetti di culto e di arte e contro le memorie dei defunti. A Parigi il vescovo Jean-Baptiste Joseph Gobel (1727-1794), collaborazionista e rivoluzionario lui stesso, abdica pubblicamente, prono agli ordini della Comune, alle funzioni episcopali, deponendo il 7 novembre 1793 la croce pettorale e l'anello nelle mani dei convenzionali, senza che il gesto gli serva per scampare alla ghigliottina l'anno successivo. Il 10 novembre si celebra nella cattedrale di Nôtre-Dame una grottesca festa della Ragione: al centro un tempio simil-greco circondato di cartapesta; ai lati, i busti di Voltaire (François-Marie Arouet, 1694-1778), di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) e di Benjamin Franklin (1706-1790); sulla scena un'attrice dell'Opéra a rappresentare la Ragione. Il 23 novembre la Comune decreta la chiusura di tutte le chiese di Parigi.
MISERIA E FAME
La miseria e la fame flagellano le città, per le cui strade si consuma la caccia ai sospetti. Le delazioni sono innumerevoli e il Tribunale rivoluzionario stenta a tenere il passo, sì che la Convenzione, preoccupata dell'efficienza del sistema, approva, il 10 giugno 1794, la riforma: sola pena prevista è la morte; tutti i cittadini hanno l'obbligo di denunciare i cospiratori e i contro-rivoluzionari; non v'è più bisogno di ascoltare testimoni, a meno che la "formalità " non sia necessaria per scoprire altri complici; le deposizioni sono soltanto orali e non più scritte; i difensori sono aboliti. L'articolo XVI della legge statuisce infatti che difensori dei patrioti calunniati sono gli stessi giurati patrioti; i cospiratori, invece, non meritano difensori di sorta. Grazie a tale legge è reso più sbrigativo il sistema delle "infornate " di condannati. Ogni giorno può essere giudicato un numero doppio di accusati rispetto a prima, il che fa salire il rendimento,
29 MAY 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3281
LA COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI E' UN'ESIGENZA DOVUTA AI TEMPI? FALSO! di Francesco Agnoli
Quello che si sente dire, non di rado, anche in ambienti cattolici, è che la concessione della comunione ai divorziati risposati è un'esigenza dovuta ai tempi. Troppe sono oggi le persone divorziate risposate, per mantenere in vita vecchie regole e vecchi schemi.
Si tratta con tutta evidenza di una idea debole, per la quale la verità è sottomessa all'arbitrio del numero. Fu utilizzata dai radicali al tempo del divorzio ("sono già milioni i divorzi de facto, per ignorare ancora la possibilità di un divorzio riconosciuto", si diceva già allora), e sempre dagli stessi per legalizzare l'aborto: "poiché gli aborti clandestini sono ormai la norma, tanto vale regolarizzare l'aborto tout court".
Ma lo scopo di questo articolo non è quello di valutare un simile ragionamento sul piano logico; e neppure da un punto di vista teologico. Lo scopo è semplicemente capire, da un punto di vista storico, se questa posizione sia compatibile con l'insegnamento di Cristo.
La domanda che vogliamo porci è allora questa: come si comporterebbe Colui che è sommamente buono e misericordioso, Gesù Cristo stesso, se venisse oggi? Cambierebbe la dottrina dell'indissolubilità matrimoniale, ritenendola inadeguata ai tempi, e irrispettosa per l'alto numero di divorziati risposati oggi esistente? Introdurrebbe eccezioni, casistiche, problematicità varie come quelle proposte dal cardinal Kasper? Renderebbe un po' più flessibile, quel laconico e lapidario comandamento che dice "Ciò che Dio congiunge, l'uomo non separi" (Mt.19,8)?
Il primo punto da cui partire è senza dubbio questo: il matrimonio, nel mondo antico, pre-cristiano, è di due tipi: monogamico, o poligamico.
La monogamia è presente in Grecia, presso il popolo ebraico e a Roma; in altre civiltà, invece, vige la poligamia.
L'insegnamento di Cristo sulla famiglia non è dunque una novità del tutto inaudita: la monogamia, lo si ripete, era intuita presso vari popoli come l'istituto portante della società. Siamo di fronte a quello che viene chiamato di solito il "diritto naturale": anche popoli non cristiani portano nel loro cuore il suono di esigenze morali universali. Come Ippocrate aveva capito che abortire è uccidere, in un'epoca in cui l'aborto era però la norma, così i romani comprendevano bene che l'optimum, nel rapporto uomo donna, è la fedeltà e la durata del coniugio.
Così in età repubblicana, cioè prima di Cristo, a Roma è previsto il fidanzamento, attraverso una cerimonia ufficiale comprendente lo scambio di un anello (messo nell'anulare, perché, secondo Aulo Gellio, esisterebbe "un nervo molto sottile, che parte dall'anulare e arriva al cuore"). Ad esso segue il matrimonio: una cerimonia solenne, contrassegnata da una sorta di comunione davanti ad un altare, su cui viene offerto a Giove un pane di farro. Inoltre vi è il sacrificio di un animale, di cui vengono lette, da un aruspice, le interiora. Una donna, sposata una sola volta, e quindi di buon auspicio, unisce le mani degli sposi, di fronte ai sacerdoti e a dei testimoni, a dimostrazione della funzione anche sociale del matrimonio. Uomini e divinità sono dunque chiamati a testimonianza di un fatto, lo si ripete, di cui è piuttosto chiara l'importanza.
In verità, però, se andiamo a scavare in profondità, scopriamo che anche la monogamia romana, forse la più solida nel mondo antico, era inficiata da mille eccezioni: il maschio, per esempio, poteva andare tranquillamente con le schiave, senza che ciò costituisse uno scandalo neppure per la moglie; inoltre poteva ripudiare la moglie per una serie piuttosto abbondante di motivi. Così anche la monogamia ebraica era quasi una finzione, in quanto le scuole rabbiniche potevano ampliare a dismisura la possibilità del ripudio, permettendo così agli uomini di sposare, in successione, molte e molte donne. Non solo: anche la poligamia era piuttosto praticata.
Se torniamo a Roma, in età imperiale, cioè all'epoca di Cristo, e poi nei secoli di graduale affermazione del cristianesimo, i costumi sono precipitati. Tutti gli storici sono concordi nel rilevare che la monogamia, già dissolubile, dell'età repubblicana, è in grave crisi. La durata media dei matrimoni è sempre minore; i divorzi sono sempre di più; persino la cerimonia nuziale, in perfetto accordo con la graduale diminuzione del senso del coniugio, è divenuta semplice, veloce, quasi banale. Ormai, come scrive Igino Giordani nel suo capolavoro, "Il messaggio sociale del cristianesimo", «per divorziare non occorrevano forme complicate. Come per sposare. Bastava un avviso a voce o per iscritto o per messaggio»; tutto era più semplice rispetto al passato repubblicano e il divorzio «divenne una piaga che incancrenì l'istituto del matrimonio e logorò la famiglia».
Il grande Seneca, un contemporaneo di Gesù, scrive che ormai le persone «divorziano per sposarsi e si sposano per divorziare». Giovenale, nel I secolo dopo Cristo, ricorda il nome di una donna che si è sposata 8 volte in 5 anni, mentre Marziale descrive la crisi del matrimonio contemporaneo citando Telesilla, con i suoi 10 mariti. Il grande storico romano Carcopino, nel suo La vita quotidiana a Roma, ribadisce il concetto: il divorzio in età precristiana, a Roma, era raro, in età imperiale estremamente diffuso. Anche perché, come ricorda la storica Eva Cantarella, nel suo L'ambiguo malanno, alla possibilità del divorzio richiesto dal marito, con la donna di solito come vittima impotente, si era andata affiancando la possibilità che a divorziare fossero anche le donne.
Dato di fatto incontestabile: all'arrivo di Cristo e nei secoli successivi nell'impero romano il matrimonio e la famiglia erano in crisi più che mai; una crisi che si riversava anche sulla società e che finiva anche per avere ripercussioni demografiche. In questo contesto, per citare ancora la Cantarella, la predicazione di Cristo sul matrimonio indissolubile fu senz'altro ben poco "realistica" e alquanto "rivoluzionaria". Tanto più che per i pagani il matrimonio durava sinché dura la volontà di stare insieme, mentre i cristiani "prendevano in considerazione la sola volontà iniziale, fissandola per così dire nel tempo, e solo ad essa attribuendo valore determinante".
Di qui le legislazioni degli imperatori cristiani, che piano piano cominciarono a limitare i divorzi, imponendo «per la prima volta, una casistica di circostanze che li giustificavano».
Quanto all'insegnamento e all'educazione cristiani, un apologeta come Giustino nella sua Apologia per i cristiani del II sec. d. C espone il pensiero tradizionale della Chiesa, condannando le seconde nozze e il divorzio dei suoi contemporanei e invitando a rispettare in toto l'insegnamento di Cristo. Che certamente non si impone facilmente, soprattutto presso i ceti più alti. Sembra per esempio che Ludovico il Pio, figlio di Carlo Magno, sia stato il primo sovrano franco ad avere una sola moglie, meritandosi anche per questo l'appellativo di "Pio".
Nel corso dei secoli seguenti la Chiesa si batterà in ogni modo anzitutto per insegnare l'importanza e la grandezza dell'indissolubilità matrimoniale, nello stesso tempo per difenderla, soprattutto dalla prepotenza maschile. Tutti ricordano che per questa posizione intransigente si arrivò persino ad uno scisma, quello con l'Inghilterra di Enrico VIII, quando sarebbe bastato annullare le nozze del re inglese, o concedergli il divorzio da Caterina, per scongiurarlo.
Ma i casi simili sono moltissimi. Ricordava infatti lo storico Jacques Le Goff su Avvenire (21/1/2007): "Si dice spesso che in caso di adulterio non vi è uguaglianza fra uomo e donna. Ora, in un certo numero di casi molto particolari, e spesso molto famosi, l'uomo è stato severamente condannato dalla Chiesa, pensiamo al re di Francia Roberto il Pio o a Filippo Augusto. Roberto il Pio, nei primi anni dell'XI secolo, dovette separarsi dalla seconda moglie, Berta di Blois, poiché il clero lo considerava bigamo (la prima moglie era ancora viva) e incestuoso (i due erano consanguinei in terzo grado). Il papa Innocenzo III, invece, eletto nel 1198, lanciò l'interdetto contro il regno di Filippo Augusto, che aveva ripudiato nel 1193 la moglie, Ingeborg di Danimarca, e aveva sposato Agnese di Merania. Negli statuti urbani del XII secolo in Italia e del XIII in Francia, si trovano articoli sulla punizione dell'adulterio che prevedono dure pene sia per gli uomini che per le donne. Così, ad esempio, le Consuetudini di Tolosa del 1293, che raccomandano e illustrano in un disegno la castrazione di un marito adultero...".
Possiamo citare un altro caso interessante, che ci dice di come l'indissolubilità sia stata per la Chiesa una verità non negoziabile, neppure con i più potenti. Come nel caso di Teutberga. Racconta lo storico Robert Louis Wilken, nel suo I primi mille anni, riguardo al papa Niccolò I: «In un famoso confronto sfidò il re Lotario II di Lotaringia, che aveva divorziato dalla moglie Teutberga perché non gli aveva dato un erede maschio. Quando gli arcivescovi di Colonia e Treviri giunsero a Roma con i verbali di un sinodo che aveva riconosciuto la validità del divorzio, Niccolò scomunicò i due vescovi. Per tutta risposta l'imperatore Ludovico II (fratello di Lotario, ndr) fece marciare le sue truppe su Roma, accusando Niccolò di 'volersi ergere a 'imperatore del mondo'. Il papa però fu irremovibile e alla fine Lotario dovette accettare Teutberga come sua legittima consorte».
Ora, a parte notare quanto gesti come questo, ripetuti molte volte nella storia, abbiano significato per la difesa della dignità femminile, spesso esposta, in passato,
22 MAY 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7799
VANDEA, UN GENOCIDIO IN NOME DELLA FRATERNITE' di Giorgio Cavallo
La Francia ha inventato la politica moderna. Lo ha fatto durante la Rivoluzione, quando sono stati coniati gli stessi concetti di destra e di sinistra. Tutto il nostro modo di ragionare e di intendere la politica è nato a Parigi, mentre le teste degli oppositori al regime (veri o presunti, poco importava) cadevano sotto la lama affilata del rasoio nazionale, la ghigliottina. Ma la Rivoluzione ha generato anche la sua opposizione e nemesi, la Contro-Rivoluzione. L'ha fatta sorgere dalla periferia profonda, tra i mulini a vento e le fredde campagne della Bretagna, dell'Angiò, del Poitou. Il termine con il quale si identifica questa opposizione al fenomeno totalizzante e degenerativo della Rivoluzione è "Vandea", dal nome dell'attuale dipartimento affacciato sull'Atlantico. Di fronte alla tirannide di Robespierre e dei suoi emuli ed alle disgraziate leggi anticristiane messe in atto dalla banda di fanatici salita al potere nel 1789, i contadini vandeani e bretoni presero le armi dimostrando che è possibile opporsi alla tempesta, ed opporsi in armi.
Per capire come andarono le cose, bisogna prima ricordare che la regione occidentale della Francia fu segnata nel corso della seconda metà del XVII secolo dall'opera evangelizzatrice di un grande santo e mistico: San Luigi Maria Grignon de Montfort, autore del famoso Trattato della vera devozione alla Santa Vergine. Devotissimo alla Madonna e affezionato sostenitore della preghiera del Rosario, San Luigi Maria ha influito molto sulla coscienza dei bretoni e dei vandeani, al punto che è possibile dire che senza il suo insegnamento non vi sarebbe stata l'insorgenza del 1793. Perché il punto è che la sollevazione della Vandea avvenne in nome della regalità di Cristo e di Maria (non a caso il simbolo degli insorti era un Sacro Cuore) e, solo secondariamente, in nome del re. Ad insorgere non furono i nobili, spesso collusi con il nuovo potere e talvolta addirittura artefici dei primi fuochi rivoluzionari; no: furono i contadini a sollevarsi contro la scristianizzazione della Francia, contro il massacro di preti e suore e contro la leva obbligatoria che tanti figli mandava a morire per difendere uno Stato divenuto apostata. Ma, necessitando essi dell'esperienza dei nobili, i quali avevano tutti frequentato la scuola militare come usanza imponeva all'epoca, si recarono da alcuni di loro affinché costituissero un piccolo esercito: l'Armata Cattolica e Reale.
PERDERE TUTTO IN CASO DI SCONFITTA
Fu così che emersero delle figure straordinarie, come quella del marchese Charles Melchior Artus de Bonchamps, del conte Henri du Vergier de La Rochejaquelein o ancora di François-Athanase de Charette de La Contrie, alcuni tra i più celebri comandanti dell'esercito cattolico. Tra loro, personaggi diversi ma accomunati indubbiamente da un coraggio leonino: comandare un esercito insorgente voleva dire perdere tutto in caso di sconfitta. Tutto voleva dire tutto, poiché i rivoluzionari non perdonavano, e per i non allineati il destino poteva essere amaro: oltre alla pena di morte, anche la ritorsione sui familiari e sui beni che la nobiltà locale deteneva da secoli e secoli. Per il caso di Charette, valga il ricordo che la sua famiglia apparteneva all'antichissima dinastia italiana dei Del Carretto (tra Liguria e Piemonte), con origini che si perdevano nell'Alto Medioevo e che da secoli si era stanziata in Francia. Dunque, dinastie che si erano legate in modo indissolubile con il territorio: un territorio che ora chiamava i loro antichi signori per essere difeso. Recentemente, un libro ha raccolto alcune delle più sorprendenti figure della Vandea Militare: è la Storia delle Guerre di Vandea scritta da Giuseppe Baiocchi (Ed. Il Cerchio, Rimini 2023), monumentale opera della quale è stato edito il primo volume e che racconta con tono divulgativo gli episodi salienti del conflitto focalizzando l'attenzione sulle biografie di Bonchamps, del cavaliere Baudry d'Asson, del marchese di La Rouërie.
La difesa avvenne in modo eroico, spesso disperato. I contadini attaccavano con tecniche miste tra un esercito regolare e una banda di guerriglieri e, proprio per questo, inizialmente ebbero la meglio su un esercito ancora abituato a tattiche e schemi antichi. Per tutta la primavera-estate del 1793 la Vandea mise in scacco i blu repubblicani, costituendo un problema serio per la dittatura dei giacobini. Ma come? La Rivoluzione, figlia della "religione laica" dei Lumi, aveva "liberato" il popolo ed ora una parte di quel popolo si ribellava? Robespierre diede l'ordine di schiacciare la Vandea ad ogni costo.
Dopo la drammatica battaglia di Cholet del 17 ottobre 1793 le cose mutarono. Alcuni dei comandanti storici furono uccisi: è il caso di Bonchamps, che prima di morire ordinò di non infierire sui prigionieri nemici e ne liberò circa cinquemila. Un gesto di clemenza che non fu riconosciuto dai repubblicani, ormai convinti della necessità di dover sterminare i vandeani. Tutti i vandeani. E così, mentre il resto dell'armata cattolica iniziava un lento sciame tra le brume autunnali della Normandia, terminando tragicamente il suo percorso penoso nelle paludi di Savenay, i giacobini ordinarono lo sterminio sistematico di tutta la regione, che avvenne dal principio del 1794.
STERMINARE LE DONNE E I BAMBINI
Non dovevano rimanere in vita nemmeno le donne e i bambini; le prime, considerate alla stregua di «solchi riproduttori» e i secondi ritenuti «potenziali briganti». Dunque, individui da sterminare con rigore scientifico, sistematico. L'obiettivo: migliorare la specie francese, depurandola dal cancro della Reazione. Pura eugenetica, prima dell'eugenetica. I vandeani erano esseri inferiori, che avevano alzato la testa contro le sedicenti tesi di pace, amore e libertà recate da Voltaire e dai suoi eponimi, ed incardinate nel motto rivoluzionario «liberté, égalité, fraternité».
Le violenze e i soprusi attuati dalle Colonne Infernali (drappelli dell'esercito regolare che avevano il compito di seminare morte e sterminio) furono di una efferatezza tale che lo storico francese Reynald Secher ha parlato di genocidio vandeano. Il genocidio figlio dell'Illuminismo. La rassegna degli orrori è tale che fa ancora raccapriccio, e che ci ricorda come il sonno della ragione generato dalla follia totalitaria generi mostri, evocando l'inferno in Terra. Interi paesi furono dati alle fiamme, i civili seviziati, arsi vivi, squartati. In alcuni casi (poi testimoniati dalle cappelle espiatorie erette nella Restaurazione) ad essere uccisi in modo spietato furono specialmente le donne incinte ed i bambini. Centinaia di bambini, una vera e propria strage degli innocenti. Tra i nomi dei massacri più noti, quello di Lucs-sur-Boulogne tra il febbraio e il marzo 1794, con un numero di vittime tra le 500 e le 600. Nel mentre, i prigionieri dell'esercito cattolico catturati vivi andavano incontro a destini altrettanto tragici: non volendo sprecare pallottole per fucilarli tutti, i ribelli nelle mani dei carnefici furono annegati nella Loira, secondo ciò che la creatività suggeriva. Il «matrimonio repubblicano», a tal proposito, consisteva nell'immergere nei flutti della «vasca da bagno nazionale» (il fiume) un giovane ed una giovane nudi. Spesso, preti e suore subirono questo doloroso supplizio; altri, come il beato Noël Pinot, furono condotti alla ghigliottina ancora vestiti dei paramenti sacri: il suo martirio è narrato con attenzione nel saggio di Baiocchi. Martirio, sì. Perché di martiri, uccisi in odium fidei, si trattò: i civili e i religiosi sterminati dall'esercito del boucher de la Vendée (il macellaio della Vandea) François Joseph Westermann e annegati per ordine del rappresentante in missione Jean-Baptiste Carrier a Nantes furono a tutti gli effetti dei martiri, vittime dell'odio anticattolico che la Rivoluzione francese aveva dimostrato fin dai suoi albori, e che ora era emerso nella sua più luciferina violenza.
COMBATTERE PER CRISTO SOVRANO DELLA STORIA E DEI POPOLI
I nomi dei macellai che infierirono sui ribelli è stato macchiato di infamia, tant'è che la stessa Rivoluzione li sconfessò, condannando alla ghigliottina sia Westermann che Carrier (ma non altri, come il lugubre organizzatore delle Colonne Infernali, Louis-Marie Turreau). Invece, i nomi dei vandeani riposano in eterno coperti da una gloria che, a posteriori, nessuno può a loro togliere. Per quanto stigmatizzati come dei perdenti e degli illusi, nessuno (nemmeno Napoleone!) poté negare che il coraggio di uomini come Charette era fuori dal comune. Ma più che il coraggio contò la causa, l'idea per la quale queste migliaia di uomini e donne ritennero giusto combattere per ripristinare l'Ancien Régime, il vecchio ordine con al centro Cristo sovrano della storia e dei popoli. La causa era tanto radicata e sentita che nemmeno lo sterminio di circa trecentomila vandeani bastò a sopire il desiderio di giustizia della più cattolica delle regioni francesi. La Vandea, infatti, rimase la spina nel fianco della Rivoluzione. Insorgenti bretoni sotto la guida di Georges Cadoudal tentarono a più riprese di uccidere Napoleone. E la sollevazione dell'Ovest francese continuò con alti e bassi fino al 1815, con un'ultima parentesi addirittura nel 1832, nel tentativo di fare cadere il regime liberale di Luigi Filippo d'Orléans, salito al trono dopo la breve rivoluzione di luglio del 1830. L'anno di Rue du Bac. L'anno della fine della chimera della Restaurazione, esperimento fallito perché ormai le idee della Rivoluzione erano e
10 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=817
MARTA SORDI, ADDIO ALLA GRANDE STORICA di Alfredo Valvo
Marta Sordi lascia un vuoto incolmabile nel campo degli studi di storia antica, che ha dominato per decenni, e fra gli amici – allievi e colleghi – che l'hanno conosciuta e stimata. Nata a Livorno nel 1925 e laureatasi in Lettere all'Università degli studi di Milano con Alfredo Passerini, Marta Sordi intraprese subito dopo la laurea la sua attività di ricerca. Presso l'Istituto italiano per la Storia antica, a Roma, per un quinquennio fu allieva di Silvio Accame, maestro e amico. Dal 1962 all'Università di Messina Marta Sordi formò una prima Scuola, attiva ancor oggi.
Alcuni anni più tardi, nel 1967, passò a Bologna, dove ha lasciato una traccia incancellabile, e infine approdò due anni dopo all'Università Cattolica di Milano, dove insegnò Storia greca e Storia romana fino alla fine della sua lunga carriera accademica, nel 2001. Il numero delle sue pubblicazioni è difficilmente calcolabile. Non vi è problema aperto nel campo degli studi di storia antica nel quale Marta Sordi non sia autorevolmente intervenuta lasciando comunque, sempre, un'impronta di originalità e fornendo risposte almeno degne di considerazione, il più delle volte risolutive. Dominava senza difficoltà tutta la storia antica – il mondo etrusco, greco e romano, il cristianesimo dei primi secoli – sostenuta da una intelligenza vivacissima, una memoria prodigiosa e una capacità di cogliere sempre il nocciolo delle questioni.
Tra le sue opere si ricordano La Lega tessala fino ad Alessandro Magno (1958), I rapporti romano-ceriti e l'origine della civitas sine suffragio (1960), Il cristianesimo e Roma (1965), Roma e i Sanniti nel IV secolo a.C. (1969), Il mito troiano e l'eredità etrusca di Roma (1989), ; La 'dynasteia' in Occidente: studi su Dionigi I (1992), Prospettive di storia etrusca (1995), I cristiani e l'Impero romano (2004). Nel 2002 sono usciti due volumi che raccolgono i suoi scritti minori: Scritti di Storia greca e Scritti di Storia romana, ai quali sono da aggiungere Impero romano e cristianesimo. Scritti scelti (2006), e Sant'Ambrogio e la tradizione di Roma (Roma 2008). Ma molti altri sono i contributi pubblicati successivamente. Resta indicativa della sua originalità e della sua personalità una delle sue principali caratteristiche nell'affronto di ogni problema storico, che è stata anche una lezione per le generazioni di studenti che l'hanno avuta per maestra: l'interpretazione delle fonti, siano esse letterarie epigrafiche o di qualsiasi altra natura, non può essere condizionata da pregiudizi, di qualsiasi genere. La conoscenza vastissima, per non dire totale, dei documenti utili per la ricostruzione storica e una capacità di sintesi talvolta prossima alla divinazione, oltre naturalmente all'intelligenza storica, consentivano alla Sordi di dominare il campo del dibattito con assoluta libertà, cioè in piena indipendenza dalle tante opinioni, apparentemente consolidate, che costituiscono la communis opinio. (...)
Curò e diresse la collana dei «Contributi dell'Istituto di storia antica», uscita con cadenza annuale dal 1972 in poi presso Vita e pensiero; negli ultimi dieci anni aveva coordinato con energia e rigore i convegni annuali della fondazione Canussio di Cividale del Friuli, della quale ha presieduto il comitato scientifico. Marta Sordi ricevette prestigiosi riconoscimenti della sua attività, tra i quali la Medaille de la Ville de Paris, nel 1997, la Medaglia d'oro per i Benemeriti della cultura, nel 1999, e la Rosa Camuna per la Regione Lombardia, nel 2002. L'entità e l'importanza dell'opera scientifica di Marta Sordi si commentano da sole.
Chi ne ha condiviso un lungo tratto della vita ha ricevuto da lei una lezione di fermezza e di coraggio, di ideali e principi affermati e vissuti, dello studio e della ricerca intesi come servizio alla verità, di fedeltà e obbedienza alla Chiesa. Una conclusione è sempre troppo limitativa di una personalità grande.
Tuttavia, nel presentare più di due anni or sono, all'Università Cattolica, Impero romano e cristianesimo.
Scritti scelti, mi vennero in mente parole ricorrenti nel pensiero e negli scritti di Benedetto XVI che Marta Sordi gradì molto, anche se ne rimase stupita, e che qui ripeto come estremo omaggio, carico di affetto e di rimpianto: «La fede è chiamata a spingere la ragione ad avere il coraggio della verità». Credo che questa esortazione Marta Sordi l'abbia messa in pratica lungo tutta la sua vita di studiosa.
9 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7756
LA PASQUA DELLE TRE ENCICLICHE DI PIO XI CONTRO NAZISMO, COMUNISMO E MASSONERIA di Roberto de Mattei
Il titolo "La Pasqua delle tre encicliche" vuole ricordare tre importanti documenti emanati da papa Pio XI a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro nel marzo del 1937. Tre Encicliche che si rivolgevano a tutti i cattolici del mondo e che mantengono ancora oggi la loro attualità.
Pio XI, ottantenne e convalescente dopo una lunga malattia che lo aveva immobilizzato per mesi, affrontava tre gravi sfide poste alla Chiesa dalle ideologie anticristiane del suo tempo: il neopaganesimo della Germania hitleriana, con la Mit brennender Sorge;il comunismo della Russia sovietica, con la Divini Redemptoris; l'anticristianesimo del Messico laicista e massonico, con la Firmissimam constantiam. L'uscita di queste tre encicliche nel giro di due settimane fu un fatto unico nella storia della Chiesa.
IL NEOPAGANESIMO DELLA GERMANIA HITLERIANA
La prima enciclica, la Mit brennender Sorge, era datata la Domenica di Passione il 14 marzo 1937. Pio XI affermava: «Se è vero che la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell'ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; tuttavia chi li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi e, divinizzandoli con culto idolatrico, perverte e falsifica l'ordine, da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme. (...) Sulla fede in Dio genuina e pura si fonda la moralità del genere umano. Tutti i tentativi di staccare la dottrina dell'ordine morale dalla base granitica della fede, per ricostruirla sulla sabbia mobile di norme umane, portano, tosto o tardi, individui e nazioni al decadimento morale. Lo stolto, che dice nel suo cuore: "non c'è Dio", si avvierà alla corruzione morale. E questi stolti, che presumono di separare la morale dalla religione, sono oggi divenuti legione».
IL COMUNISMO DELLA RUSSIA SOVIETICA
La seconda enciclica, la Divini Redemptoris, fu pubblicata il 19 marzo 1937, festa di S. Giuseppe, patrono della Chiesa e dei lavoratori cristiani. Denunciando il comunismo mondiale e ateo che dalla Russia si diffondeva nel mondo, Pio XI diceva: «Per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta, e accuratamente preparata dell'uomo contro "tutto ciò che è divino" (...) Procurate, Venerabili Fratelli, che i fedeli non si lascino ingannare! Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana. E se taluni indotti in errore cooperassero alla vittoria del comunismo nel loro paese, cadranno per primi come vittime del loro errore, e quanto più le regioni dove il comunismo riesce a penetrare si distinguono per l'antichità e la grandezza della loro civiltà cristiana, tanto più devastatore vi si manifesterà l'odio dei "senza Dio».
Pio XI lanciava un «appello a quanti credono in Dio»: «Ma a questa lotta impegnata dal «potere delle tenebre» contro l'idea stessa della Divinità, Ci è caro sperare che, oltre tutti quelli che si gloriano del nome di Cristo, si oppongano pure validamente quanti (e sono la stragrande maggioranza dell'umanità) credono ancora in Dio e lo adorano. Rinnoviamo quindi l'appello che già lanciammo cinque anni or sono nella Nostra Enciclica Caritate in Christi affinché essi pure lealmente e cordialmente concorrano da parte loro "per allontanare dall'umanità il grande pericolo che minaccia tutti". Poiché - come allora dicevamo, - siccome "il credere in Dio è il fondamento incrollabile di ogni ordinamento sociale e di ogni responsabilità sulla terra, perciò tutti quelli che non vogliono l'anarchia e il terrore devono energicamente adoperarsi perché i nemici della religione non raggiungano lo scopo da loro così apertamente proclamato"».
Il Papa aggiungeva: «Dove il comunismo ha potuto affermarsi e dominare - e qui Noi pensiamo con singolare affetto paterno ai popoli della Russia e del Messico, - ivi si è sforzato con ogni mezzo di distruggere (e lo proclama apertamente) fin dalle sue basi la civiltà e la religione cristiana, spegnendone nel cuore degli uomini, specie della gioventù, ogni ricordo. Vescovi e sacerdoti sono stati banditi, condannati ai lavori forzati, fucilati e messi a morte in maniera inumana; semplici laici, per aver difeso la religione, sono stati sospettati, vessati, perseguitati e trascinati nelle prigioni e davanti ai tribunali».
IL LAICISMO MASSONICO DEL MESSICO
Proprio al Messico era dedicata la terza enciclica, Firmissimam constantiam, emanata il giorno di Pasqua, il 28 marzo 1937. In essa il Papa affermava che «quando le più elementari libertà religiose e civili vengono impugnate, i cittadini cattolici non si rassegnino senz'altro a rinunziarvi».'Qualora i poteri costituiti «insorgessero contro la giustizia e la verità al punto di distruggere le fondamenta stesse dell'autorità, non si vedrebbe come dover condannare quei cittadini che si unissero per difendere con mezzi leciti ed idonei se stessi e la Nazione, contro chi si vale del potere pubblico per rovinarla».
Pio XI non invitava alla resa, ma ricordava ai cattolici messicani ad avere «quella visione soprannaturale della vita, quella educazione religiosa e morale e quello zelo ardente per la dilatazione del Regno di Cristo che l'Azione Cattolica si propone di dare. Di fronte a una felice coalizione di coscienze che non intendono rinunziare alla libertà rivendicata loro da Cristo (Gal. 4, 31) quale potere o forza umana potrebbe aggiogarle al peccato? Quali pericoli, quali persecuzioni, quali prove potrebbero separare anime così temprate dalla carità di Cristo? (cf. Rm, 8, 35)».
I cristeros messicani avevano impugnate le armi in nome di Cristo Re. Pio XI, rivolgendosi ai cattolici messicani, richiamava la sua enciclica Quas primas dell'11 dicembre 1925 in cui proclamava Cristo Re dell'universo. Una verità che opponeva alle ideologie anticristiane che alla vigilia della Seconda guerra mondiale minacciavano il mondo. Ma anche nelle ore più buie la virtù della speranza, alimenta la fede dei cristiani.'Così, nella Divini Redemptoris, Pio XI affermava: «Con gli occhi rivolti in alto, la nostra fede vede i "nuovi cieli" e la "nuova terra", di cui parla il primo Nostro Antecessore, San Pietro (II Petr., III, 13). Mentre le promesse dei falsi profeti in questa terra si spengono nel sangue e nelle lacrime, risplende di celeste bellezza la grande apocalittica profezia del Redentore del mondo: Ecco, Io faccio nuove tutte le cose (Apoc., 21, 5)».
È questo il nostro augurio nella Pasqua di Resurrezione del 2024, ricordando la Pasqua delle tre gloriose encicliche di Pio XI del 1937.'
20 FEB 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7703
CONCORDATO DEL 1984: QUARANT'ANNI DI SCRISTIANIZZAZIONE di Roberto De Mattei
Quarant'anni fa, il 18 febbraio 1984, il presidente del Consiglio Bettino Craxi ed il cardinale
Segretario di Stato Agostino Casaroli firmarono solennemente a Villa Madama, il Nuovo Concordato tra la Santa Sede lo Stato italiano, che rivedeva profondamente i Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929.
I Patti Lateranensi del 1929, avevano sancito un nuovo rapporto di collaborazione tra Chiesa e Stato in Italia, la cosiddetta "Conciliazione", dopo il lungo dissidio seguito all'occupazione militare dello Stato pontificio e alla presa di Roma del 20 settembre 1870. Essi avevano il loro principio fondamentale nel riconoscimento della Religione cattolica, apostolica e romana, come la sola Religione dello Stato. Da questo principio scaturivano alcune importanti conseguenze, come l'insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole, il riconoscimento giuridico del matrimonio sacramentale, la proclamazione del carattere sacro della città di Roma.
La Costituzione repubblicana del 1948, pur essendo animata da un profondo spirito laicista, nel suo articolo 7, recepì i Patti Lateranensi come fondamento dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia. La novità del "Nuovo Concordato", firmato nel 1984, come spiegò lo stesso Presidente del Consiglio Craxi, consisteva invece nel realizzare la «moderna separazione» tra Stato e Chiesa, affermando il principio della "neutralità" dello Stato in materia di religione. Lo stesso cardinale Casaroli precisò che il «fulcro» del Nuovo Concordato era costituito dall'abolizione del "principio originariamente richiamato dai Patti Lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato». La segreteria di Stato vaticana e la Conferenza episcopale italiana, esprimevano pubblicamente il loro plauso per il nuovo traguardo raggiunto.
IL CENTRO CULTURALE LEPANTO
L'11 febbraio 1984, una settimana prima della firma del Nuovo Concordato, il Centro Culturale Lepanto, che avevo l'onore di presiedere, pubblicò, come inserto pubblicitario, su alcuni quotidiani nazionali un «manifesto» intitolato «Può un cattolico preferire lo Stato ateo?». Scrivevamo tra l'altro: "Non meraviglia che le forze rivoluzionarie e anticristiane, che professano l'ateismo e l'egualitarismo radicale, esprimano la loro sostanziale soddisfazione verso un progetto concordatario in cui vedono affermato il principio dell'uguaglianza delle religioni, e quindi un implicito ateismo di Stato, destinato ad avere enormi conseguenze in seno alla società civile. Ciò che invece è strabiliante è che la stessa intima soddisfazione per questo Concordato venga espressa pubblicamente dai vertici del mondo cattolico, sia laici che ecclesiastici, tanto da considerarlo molto migliore dell'antico e quindi a questo nettamente preferibile. Il Centro Culturale Lepanto - associazione civico-culturale che si ispira all'immutabile dottrina della Chiesa - rivolge a queste autorità del mondo cattolico italiano una domanda, rispettosa ma pressante: Può un cattolico preferire uno Stato "neutrale" in materia di religione, e quindi implicitamente ateo, ad uno Stato ufficialmente cattolico? Questa preferenza non contraddice la dottrina cattolica e lo stesso buon senso? Negli ultimi due secoli, il Magistero della Chiesa, soprattutto per bocca dei Sommi Pontefici, ha sempre condannato il principio anticristiano del laicismo e della neutralità religiosa, affermando per contro il dovere dello Stato di riconoscere pubblicamente e di sostenere efficacemente la vera Religione. Tra le innumerevoli citazioni, ci limitiamo a riportare questa di san Pio X: «È una tesi assolutamente falsa, un errore pericolosissimo, pensare che bisogna separare lo Stato dalla Chiesa. Questa posizione si basa infatti sul principio che lo Stato non debba riconoscere nessun culto religioso. Essa è assolutamente ingiuriosa verso Dio, poiché il Creatore dell'uomo è anche il fondatore della società umana, e mantiene in vita sia questa che noi singoli individui. Perciò gli dobbiamo non soltanto un culto privato, ma anche un culto sociale ed onori pubblici» (Enc. Vehementer dell' 11 febbraio 1906). Lo stesso buon senso impone del resto che un cattolico abbia il diritto di vivere in una società in cui costumi, leggi e istituzioni subiscano la più profonda influenza da parte della vera Religione. La stessa logica esige che il cattolico reclami l'irrinunziabile diritto di formare una famiglia cattolica, una civiltà cattolica, uno Stato di principio e di fatto cattolico. Assolutamente illogico è invece che un cattolico preferisca uno Stato "neutrale" ad uno Stato animato dallo spirito della Santa Chiesa. Come può infatti egli preferire uno Stato in cui la Religione cattolica perda il suo primato e il suo prestigio per essere trattata alla stregua di una setta qualsiasi? In cui l'insegnamento religioso non venga più impartito nelle scuole, se non su esplicita richiesta? In cui 1e preziose figure dei cappellani debbano abbandonare ospedali, carceri, caserme? In cui l'adorabile immagine del Crocefisso venga estromessa da ogni edificio pubblico? In cui la bestemmia non sia più perseguibile come reato, ma venga considerata una rispettabile opinione? Non sono forse queste le logiche conseguenze del Nuovo Concordato?".
CONCLUSIONI
Ciò che era scandaloso non era l'accordo, ma l'elogio che di esso facevano le autorità ecclesiastiche. Esse avrebbero potuto presentare il Nuovo Concordato come un compromesso doloroso, ma necessario, esprimendo il loro rammarico per una oggettiva menomazione dei diritti della Chiesa e ricordando l'ideale dello Stato cattolico, come modello a cui tendere. La CEI, in una dichiarazione ufficiale del 19 febbraio 1984, si vantava invece di aver "dato il deciso contributo di sua competenza nelle fasi dell'elaborazione del testo, lieta ora che il contributo sia stato accolto".
Il 12 dicembre 1984 venne posta a Roma la prima pietra della grande moschea islamica che fu ufficialmente inaugurata il 21 giugno 1995, Fu questa una delle prime conseguenze della scomparsa del carattere sacro della città di Roma, tutelato dai Patti Lateranensi.
Quarant'anni dopo possiamo confermare ciò che nel 1984, unica voce cattolica in Italia, affermavamo ad alta voce. Il Nuovo Concordato rappresentò una grave tappa nel processo di scristianizzazione del nostro paese.
La storia che ci hanno insegnato a scuola è sbagliata; proviamo a guardare alla realtà dei fatti senza pregiudizi e senza paraocchi
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