Francesca Rossi "Caroto e le arti tra Mantegna e Veronese"
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Francesca Rossi "Caroto e le arti tra Mantegna e Veronese" Verona, Palazzo della Gran Guardia https://mostracaroto.it/ Fino al 2 ottobre a Verona, negli spazi monumentali del Palazzo della Gran Guardia,...
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Verona, Palazzo della Gran Guardia
https://mostracaroto.it/
Fino al 2 ottobre a Verona, negli spazi monumentali del Palazzo della Gran Guardia, la grande esposizione su Giovan Francesco Caroto (1480 circa - 1555). E’ la prima mostra dedicata interamente all’artista, con oltre 100 opere provenienti da alcune delle più prestigiose collezioni italiane e internazionali, che presenta l’evoluzione del grande pittore, seguendolo dagli esordi giovanili al riconosciuto ruolo di artista.
Attraverso una serie di restauri sostenuti per la mostra e un’estesa campagna di analisi diagnostiche, l’esposizione diventa anche l’occasione per approfondire la conoscenza dell’operatività tecnica del pittore e degli interventi che nel corso del tempo hanno interessato le sue creazioni.
La storia che ha legato la città di Verona a uno dei suoi pittori più affascinanti e rappresentativi, Giovan Francesco Caroto (1480 circa-1555), negli ultimi anni si è arricchita di nuove testimonianze e significati, primo dei quali ci viene dal gesto generoso di cittadini veronesi a favore dell’artista e del Museo di Castelvecchio.
Nel 2019, infatti, è giunta alla Pinacoteca del Museo, in dono dalla famiglia Arvedi, la splendida Veritas filia Temporis (la Verità è figlia del Tempo) una grande tela ottagonale che decorava in origine la volta dello studiolo privato del gentiluomo e intellettuale veronese Giulio Della Torre. L’opera è uno dei capolavori della maturità dell’artista ed è databile all’inizio degli anni Trenta del Cinquecento.
Con questa importante donazione, la famiglia Arvedi ha assunto simbolicamente il ruolo di portavoce dei cittadini che hanno affiancato i Musei Civici partecipando attivamente, negli ultimi quattro anni, alle acquisizioni critiche e alla definizione del progetto scientifico della mostra in programma alla Gran Guardia dal 13 maggio al 2 ottobre 2022.
Veritas filia Temporis. Costituisce uno dei punti focali del percorso. Una sezione della mostra è intesa proprio a ricostruire idealmente lo studiolo Della Torre, insieme ad altri dipinti, disegni, medaglie e monete romane, marmi antichi e bronzetti moderni, libri e manoscritti. Nella tela ottagonale campeggiano tre figure allegoriche. Il Tempo, raffigurato come un vecchio con le ali e una clessidra nella mano destra (uno strumento che misura appunto lo scorrere del tempo) sostiene la Verità, sua figlia, una giovane donna nuda. Questo sta a significare che con il tempo la verità viene sempre a galla. Era consuetudine rappresentare la Verità senza vesti, perché essa non conosce finzioni né inganni. Si vede anche una terza figura, un giovane con le orecchie deformi che tiene con la mano destra alcuni serpentelli eccitati e aggressivi. Egli raffigura l’inganno, che cerca di trascinare verso il basso la Verità per avvolgerla nelle tenebre. Quindi il significato della scena nel suo insieme è la lotta tra il bene e il male, tra la verità e la menzogna. È probabile che sia stato lo stesso committente, Giulio Della Torre, a scegliere tale soggetto. Egli infatti fu autore di trattati di argomento etico e filosofico nei quali si mostra vicino alle posizioni del vescovo di Verona Gian Matteo Giberti sulla riforma della Chiesa ed è possibile che con questo tema intendesse alludere alle dispute religiose che all’inizio del Cinquecento dilaniavano anche il mondo cattolico.
Caroto era un intimo amico di Giulio Della Torre, ne realizzò il ritratto e dipinse a fresco il salone di rappresentanza della sua abitazione: è rimasto solo un frammento che raffigura le Virtù cardinali e teologali, datato 1524, ora in collezione privata.
Qualche tempo dopo, all’inizio degli anni Trenta, decorò anche lo studiolo con un ciclo di tele di cui sono note, oltre alla Veritas filia Temporis, altri tre elementi: una Tentazione di Cristo e un San Michele arcangelo precipita Lucifero del Museo di Castelvecchio e un’altra raffigurazione di San Michele conservata al Museo di Belle Arti di Budapest.
Madonna della farfalla. Un’opera fra le più belle e più famose del pittore. Si tratta di un lavoro giovanile, un dipinto eseguito a olio su tavola, risalente agli anni 1510-1515 e al clima stilistico dell’esperienza a fianco di Mantegna e a contatto con la cultura mantovana e leonardesca. Non ne conosciamo la destinazione originaria. Essa è nota solo dall’inizio del Novecento, quando si trovava nella collezione viennese del barone Heinrich von Tucher. Dopo la morte del proprietario vagò a lungo tra collezioni private per ricomparire poi a New York e infine, negli anni Novanta, tornare di nuovo in Italia, nella collezione Martello di Fiesole. Le sue traversie tuttavia non erano finite. Trasferita nuovamente negli Stati Uniti, sembrava dispersa per sempre. Nelle ricerche effettuate per la mostra è stata finalmente rintracciata presso un collezionista privato che gentilmente ha accolto la proposta di presentarla al Museo di Castelvecchio in anticipo sulla mostra in Gran Guardia, a partire dal 4 marzo 2022, per poi esporla alla mostra.
Nella Galleria di Castelvecchio e nella Gran Guardia il dipinto viene posto in dialogo con una replica del soggetto, leggermente diversa, facente parte delle collezioni civiche, la Madonna con il bambino. I due dipinti sono identici nelle due figure principali ma presentano varianti compositive nel paesaggio sullo sfondo e nel disegno del seggio sul quale le Madonne sono sedute. Era una pratica comune nelle botteghe artistiche del tempo replicare attraverso cartoni, cioè disegni con i contorni bucherellati per il trasposto su altri supporti, oppure carte lucide, le composizioni che avevano incontrato il favore del pubblico, soprattutto nel caso di piccoli dipinti devozionali come questo, che erano molto richiesti. Nel periodo dell’esposizione le due opere verranno sottoposte a indagini scientifiche per il confronto del disegno preparatorio sottogiacente usato dal pittore nell’una e nell’altra versione, allo scopo di verificare differenze ed elementi comuni nella tecnica esecutiva e nelle modalità di riproduzione dei modelli adottate nella bottega dell’artista.
In attesa di approfondimenti, si ipotizza che la Madonna della farfalla costituisca un prototipo rispetto all’altra versione, purtroppo penalizzata da un mediocre stato di conservazione e perciò più difficile da studiare. Colpisce invece della versione in collezione privata l’ottimo stato di conservazione che consente di apprezzare l’eccellente qualità della stesura pittorica. In questa si distingue anche la maggior ricchezza di particolari, descritti amorevolmente con l’abilità del miniatore. Spicca in particolare il bracciolo della elegante seggiola, finemente intagliato, che reca la firma del pittore (“IO. F. CHAROTVS. F.”) e, sul pomello, una farfallina dalle ali bianche che ilbambino tiene legata con un filo sottilissimo. L’insetto non è solo un prezioso elemento decorativo, ma anche un sottile riferimento iconografico alla resurrezione di Cristo. EÈ tanta l’attenzione alla natura che Caroto - il quale, ricordiamolo, era anche un pittore naturalista e uno speziale, titolare di una farmacia in piazza delle Erbe - pone nella resa dei particolari, per esempio nelle venaturedelle ali, che è stato possibile riconoscere la farfalla come una pieride del biancospino (Aporia crataegi). Oltre 100 opere provenienti da alcune delle più prestigiose collezioni italiane e internazionali, formeranno il percorso espositivo articolato in 10 sezioni, che comprenderà anche 3 istallazioni multimediali. Per rendere più fruibile il percorso è stato previsto un supporto didattico accessibile tramite App in italiano ed inglese, oltre ad una ricca proposta di percorsi didattici pensati per tutti i pubblici.
Il catalogo è edito da Silvana Editoriale.
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