Sandro Parmiggiani "Antonio Ligabue" Mostra Palazzo Ducale, Genova

Mar 9, 2018 · 37m 34s
Sandro Parmiggiani "Antonio Ligabue" Mostra Palazzo Ducale, Genova
Description

Sandro Parmiggiani "Antonio Ligabue" Mostra, Palazzo Ducale, Genova fino al 1° luglio 2018 curatori della mostra: Sandro Parmiggiani, Sergio Negri http://mostraligabuegenova.com Una mostra antologica per ripercorrere la vicenda umana e...

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Sandro Parmiggiani
"Antonio Ligabue"
Mostra, Palazzo Ducale, Genova
fino al 1° luglio 2018

curatori della mostra: Sandro Parmiggiani, Sergio Negri
http://mostraligabuegenova.com


Una mostra antologica per ripercorrere la vicenda umana e creativa di Antonio Ligabue, uno degli autori più geniali e originali del Novecento italiano.
La mostra, curata da Sandro Parmiggiani e Sergio Negri, prodotta e organizzata da ViDi con la Fondazione Antonio Ligabue di Gualtieri (RE) in collaborazione con Comune di Genova e Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, propone 80 opere, tra dipinti, sculture, disegni e incisioni di Ligabue.
Il percorso espositivo si snoda tra i due poli principali entro i quali si sviluppa l’universo creativo di Ligabue: gli animali, selvaggi e domestici, e i ritratti di sé.
Tra gli animali abitatori delle foreste e delle savane si trovano alcuni dei maggiori capolavori dell’artista, come Tigre reale, realizzato nel 1941 quando Ligabue era ricoverato nell’Ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia; tra quelli delle campagne, le due versioni di Cani da caccia con paesaggio; c’è poi l’impressionante galleria di autoritratti, come i dolenti Autoritratto con berretto da motociclista del 1954-55 e Autoritratto del 1957.
Non mancano altri straordinari dipinti, dai paesaggi bucolici, alla Carrozzella con cavalli e paesaggio svizzero ad alcune versioni delle Lotta di galli, ad Aquila con volpe della fine degli anni quaranta, alla Vedova nera con volatile e alla Testa di tigre della metà degli anni cinquanta, fino alla Crocifissione.

Ligabue rappresenta sia animali domestici, colti in un’atmosfera agreste, inseriti in paesaggi in cui giustappone le terre piatte della Bassa reggiana, dove visse dal 1919 alla morte nel 1965, e i castelli, le chiese, le guglie e le case con le bandiere al vento sui tetti ripidi della natia Svizzera, sia gli animali della foresta e del bosco – tigri, leoni, leopardi, gorilla, volpi, aquile – di cui conosceva molto bene l’anatomia, spesso colti nel momento in cui stanno per piombare sulla preda, con un’esasperazione di stampo espressionista, sia nella forma sia nel colore, e con un’attenzione quasi spasmodica per la reiterazione di elementi decorativi.

Gli autoritratti costituiscono un filone di altissima e amarissima poesia nell’arte di Ligabue. In essi, il pittore si colloca in primo piano, quasi a occupare tutto lo spazio della scena, sullo sfondo di un paesaggio che pare quasi sempre, salvo rare eccezioni, un dettaglio del tutto ininfluente. I suoi ritratti di sé compendiano una perenne e costante condizione umana di angoscia, di desolazione e di smarrimento, un lento cammino verso l’esito finale; il suo volto esprime dolore, fatica, sgomento, male di vivere; ogni relazione con il mondo pare essere stata per sempre recisa, quasi che l’artista potesse ormai solo raccontare, per un’ultima volta, la tragedia di un volto e di uno sguardo, che non si cura di vedere le cose intorno a sé, ma che chiede, almeno per una volta, di essere guardato.
Questi autoritratti – afferma Sandro Parmiggiani, curatore della mostra – dicono tutta la sofferenza dell’artista; ne sentiamo quasi il muto grido nel silenzio della natura e nella sordità delle persone che lo circondano. Quando perduta è ogni speranza, ormai fattasi cenere, il volto non può che avere questo colore scuro, fangoso, questa sorta di pietrificazione dei tratti che il dolore ha recato con sé e vi ha impresso.
L’esposizione costituisce un ulteriore capitolo, dopo le rassegne di Gualtieri (2015), di Palermo e di Roma (2016), di Pavia (2017), per riportare il lavoro di Ligabue a una corretta valutazione critica e storica: un’occasione per riaffermare, al di là delle fuorvianti definizioni di naïf o di artista segnato dalla follia, il fascino di questo “espressionista tragico” di valore europeo, che fonde esasperazione visionaria e gusto decorativo.
Accompagna la mostra un catalogo Skira con testi di Sandro Parmiggiani, Alberto Manguel, Luciano Manicardi ( priore della Comunità di Bose) e un’ampia sezione, ricca di immagini, dedicata alla vicenda biografica di Antonio Ligabue.


catalogo mostra "Antonio Ligabue"
"Ligabue" Skira Editore
http://skira.net




La triste odissea di Antonio Ligabue ha inizio il 18 dicembre 1899 a Zurigo e si conclude il 27 maggio 1965 a Gualtieri, dove era approdato il 9 agosto 1919, espulso dalla Svizzera, dopo un’infanzia e un’adolescenza segnate dall’emarginazione (a soli nove mesi di età fu affidato dalla madre a un’altra famiglia) e dall’insofferenza verso il mondo che lo circondava – a scuola, tuttavia, già si erano rivelati la sua passione e il suo talento per il disegno. A Gualtieri la sua vita resta durissima, soprattutto nei primi anni, in cui, per riuscire a vivere, fa lo scariolante sulle rive del Po. Inizia a dipingere alla fine degli anni venti, apprezzato da rari estimatori, tra i quali Marino Mazzacurati. Nel 1955 tiene la prima mostra personale a Gonzaga, in occasione della Fiera millenaria, organizzata da Cesare Parmiggiani; nel 1961 un’esposizione a Roma, alla Galleria La Barcaccia, ne segna la consacrazione nazionale (“il caso Ligabue”), dopo un’intensa attività artistica, spesso incompresa e addirittura derisa, che nel tempo susciterà tuttavia l’ammirazione e l’interesse di collezionisti, critici e storici dell’arte. Tra le antologiche più recenti, si ricorda quella, con quasi duecento opere, tenuta nel 2005 a Palazzo Magnani di Reggio Emilia e a Palazzo Bentivoglio di Gualtieri, in occasione del quarantesimo anniversario della sua scomparsa.




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