26 FEB 2025 · Consapevolezza e benessere emotivo, ciao a tutti e benvenuti a questo ottavo incontro dedicato al Cervello, organo che, in qualche modo, contiene il nostro sé, la nostra identità, la nostra conoscenza. Stiamo parlando di 1,3 kg di materia grigia, con 100 miliardi di neuroni (ciascuno interconnesso fino a decine di migliaia di volte). Si potrebbe confrontare con i numeri dell’Universo (ci sono 100 miliardi di stelle nella nostra galassia), ma parliamo di 100 milioni di anni luce per attraversarla tutta, che si confrontano con i 35 cm del nostro cervello. Alcuni suoi scopi sono il mantenimento della coerenza del sè (avere una storia di vita che fila), il risparmio energetico, la stabilità, la flessibilità. Acquisisce nuove informazioni di giorno, per elaborarle e memorizzarle di notte, tendendo però di solito a rinforzare percorsi noti, a dimostrazione di quanto sia difficile acquisire nuove competenze. Le abitudini, i percorsi noti, possono comunque cambiare (con la volontà, l’esercizio, il tempo e anche con la Consapevolezza). Il cervello, che è una parte del sistema nervoso, ha una miriade di funzioni molte delle quali sono spesso sottoutilizzate. Il sistema nervoso viene di solito diviso in tre macrosistemi, quello legato ai nervi sensoriali (SNP), il cervello e il midollo spinale (SNC) e il SNA (a sua volta diviso in simpatico, parasimpatico ed enterico). Alla nascita il SNC avvia il processo di costruzione dell’identità, mediante la proliferazione dei neuroni e delle connessioni tra questi, partendo da alcuni schemi innati (selezionati evolutivamente) come quello dell’attaccamento con coloro che ci accudiscono, e raccogliendo i dati di realtà esterna grazie al ruolo fondamentale dei cinque sensi. Verso i 18 mesi, riconoscendosi poi allo specchio, il SNC avvia i processi di classificazione e giudizio. Due parole sul SNA, che è un po’ il nostro sistema istintivo, oggetto degli studi di Stephen Porges, il neurofisiologo americano che ha formulato nel 2014 la interessante teoria polivagale. Il SNA è suddiviso storicamente nei due sistemi simpatico e parasimpatico, ai quali si è aggiunta la parte enterica che coinvolge intestino, pancreas e cistifellea. Il primo, il simpatico, ci mobilizza e attiva per poter fuggire e agire nel caso di pericolo, attivando le emozioni della paura e della rabbia (è il cosiddetto cervello rettiliano). Il secondo, ancora più antico, richiama reazioni animali primitive, e nel pericolo ci può bloccare fino alla immobilità totale con la emozione prevalente della paura (alcuni animali appaiono congelati, si chiama freezing, o addirittura improvvisano una finta morte). Nel parasimpatico, che è basato sul lunghissimo nervo vago, Porges individua due componenti. Un circuito ventrovagale recente e più mielinizzato che guida i muscoli di volto, faringe, polmoni, cuore, e ci fa esprimere le emozioni (cresciuto con i millenni di uomo moderno). E il sistema dorsovagale più antico che afferisce agli organi sottodiaframmatici quali stomaco, intestino, colon e vescica (che reagisce come appreso dagli uomini delle caverne). Nel pericolo il ventrovagale calma il cuore e in generale anche la normale reattività simpatica, mentre il dorsovagale farebbe rispondere anche noi umani con la immobilità. Il ventrovagale si è evoluto grazie alla sua regolazione con il care giver (chi ci ha accudito e ci accudisce), ed è maturato con le interazioni sociali positive (presenza di una base sicura dalla quale poter correre nel bisogno). La presenza di traumi, attaccamenti problematici, relazioni e stress sociale, facilitano la reazione del dorsovagale, e, fatto interessante, il ripetersi di queste reazioni ha un impatto anche sul corpo fisico, generando cambiamenti nella postura, e nello sviluppo di ossa e organi (riconosciamo facilmente una persona che tende ad avere reazioni estreme di paura). Calmare il nervo vagale di solito consente rilassamenti efficaci, un piccolo trucco quando vi sentite improvvisamente ansiosi e spaventati, ruotate la testa come per guardare dietro di voi, verificando che non c’è nessuno, improvvisamente il sistema avrà ricevuto un segnale tranquillizzante. In ogni momento della nostra vita, la nostra identità (il nostro cervello) è il risultato della somma di tutti gli istanti che lo hanno preceduto, a partire dalla nascita, organizzati in una storia di vita soggettivamente coerente (da non intendersi come storia razionale logica, ma come una vera e propria modalità per mantenersi in equilibrio con l’ambiente esterno). Il cervello per risparmiare energia non riparte da zero ogni volta, ricominciando a capire dove è, chi è, cosa fa, con chi, e perché, ma cerca la continuità con quanto stava facendo, e le conoscenze già presenti nel suo bagaglio di informazioni. Il cervello tenta di integrare sempre le novità (di solito durante il riposo notturno), in modo coerente con la propria storia di vita, e spesso le scarta, rinforzando percorsi noti (questo è il motivo per cui bisogna impegnarsi molto per apprendere qualcosa di nuovo e consolidarlo). Quando l’integrazione diventa problematica per altri motivi (traumi, verità dalla difficile accettazione, paure), si crea una condizione di disequilibrio, potenzialmente portatrice di sofferenza emotiva, da risolvere costruendo un nuovo equilibrio interno. Come dice Giorgio Rezzonico: «La psicologia cognitiva costruttivista suggerisce che la conoscenza è un processo intersoggettivo che rende coerente e continua l’esperienza soggettiva di ciascun individuo. Le basi biologiche, mediante i sistemi comportamentali geneticamente programmati, accompagnate dalle matrici socioculturali e storiche, ordinano l’esperienza individuale, con la mediazione simbolica del linguaggio, per consentire lo sviluppo dei livelli di riflessività e di riordinamento propri della nostra specie umana. La ri-descrizione mediata dell’esperienza rende quindi possibile l’emergere della coscienza e del senso generale integrato di sé, e quindi della propria identità. L’obiettivo della coerenza genera sequenze di possibili storie, con la partecipazione essenziale delle emozioni, per la permanenza del sé e per l’integrazione delle esperienze nell’identità narrativa, in modo dinamico tra le due spinte opposte verso stabilità e cambiamento». Costruire conoscenza per ogni essere umano è un processo dinamico che coinvolge cognizioni, motivazioni ed emozioni. Le neuroscienze oggi spiegano sempre più in dettaglio questi processi, che non vanno visti solo al livello di semplici interazioni molecolari, ma possono essere letti anche a un livello superiore di storia personale. La conoscenza non è una fotocopia interna della realtà esterna, ma una lettura soggettiva individuale (come suggerisce l’approccio post-razionalista), nel tempo, all’interno di un percorso evolutivo-processuale di integrazione continua delle informazioni. I processi mentali sono l’attività di un sistema conoscitivo complesso, che vuole mantenere coerenza e sincronizzazione interna, sempre, fin dalle sue prime fasi di sviluppo, ad esempio con l’attivazione del già citato comportamento di attaccamento (all’interno di un contesto sistemico). Secondo l’ipotesi evolutiva di Gerald Edelman, premio Nobel 1972 per gli studi su anticorpi e immunologia, le funzioni cerebrali si formano secondo un processo selettivo che permette l’adattamento tra cervello e ambiente, attraverso l’azione motoria (teoria della selezione dei gruppi neuronali – TSGN). Il rientro, una sorta di collegamento ricorsivo tra aree cerebrali, garantisce la sincronizzazione tra gruppi neuronali appartenenti a mappe diverse precedentemente formate, con connessioni reciproche che viaggiano simultaneamente e in parallelo. Tutto ciò sia per fenomeni semplici come micro–comportamenti, che per fenomeni complessi come la stessa coscienza. La relazione di attaccamento, dunque, assume una importanza fondamentale nello sviluppo di un individuo, e quindi del suo cervello. Come ci insegna la psicologia cognitiva, lavora sul cervello e sulle reti neuronali in modo significativo, tanto da predisporre i nostri comportamenti nel mondo. «Dalla relazione di attaccamento si dispiega poi uno specifico stile affettivo e relazionale, che diventa espressione di una organizzazione di significato personale, peculiare per ciascun individuo, organizzata in Modelli Operativi Interni (M.O.I.).» Tra le tante funzioni presenti nel nostro cervello, come sappiamo, c’è la consapevolezza, che, quando utilizzata a fondo ci aiuta a tenere insieme tutta questa complessità, fatta di neuroni. Vi lascio con un nuovo esercizio meditativo, molto importante, utilizzato soprattutto nei paesi anglosassoni per aiutare a superare momenti di depressione. Assumete una posizione comoda respirando rilassati, e chiudete gli occhi. Ascoltate per 15 minuti l’ambiente circostante, cercando i diversi suoni e rumori presenti, immaginando di poter spostare in modo telescopico le proprie orecchie su quelli più lontani per sentirli meglio, costruendo una mappa mentale della posizione di tutti i suoni udibili. Obiettivo dell’esercizio è individuare in modo puntuale i suoni presenti, posizionarli con precisione nella mappa mentale, per poterli recuperare quando si vuole dedicando in quel momento la massima attenzione possibile. Difficoltà dell’esercizio è la necessità mentale di definire ogni particolare suono, insieme ad altri pensieri distraenti. Il suono va solo distinto. La definizione fa parte del giudizio, che deve essere invece sospeso. Allo stimolo definitorio o alla distrazione, concentrarsi sul respiro e riprovare a raggiungere l’obiettivo. Buona pratica di meditazione e alla prossima puntata.