27 MAR 2017 · Quanti anni hai? E da quanti sei paralizzato in quel peccato? Sì quello che riappare ogni volta e sembra invincibile. Un giudizio? L'ira? L'avarizia? La vanagloria? Forse sei schiavo della sessualità? Per il paralitico del vangelo erano "trentotto anni", una vita paralizzata sul ciglio della vita, deposta alla "porta delle pecore" come sulla soglia degli inferi, confusa nella sofferenza di storpi, ciechi, zoppi. E "un sabato" che non era festa per quell'uomo schiacciato sul giaciglio dell'impotenza, scivolando nella morte insieme alle pecore destinate alla macellazione. Ma non è soave l'odore di quelle membra sacrificate, piuttosto fumo acre di carni strappate al destino di pace e felicità, rattrappite come le nostre, vorresti muoverle e non ti rispondono, desideri amare e ne sei incapace. La paralisi ci ha reso irrilevanti; distesi sul "lettuccio" dei nostri giorni grigi, tiepidi e sterili, siamo come una mano di vernice trasparente e inodore spalmata su qualche parete, chi può accorgersi di noi? Quante giornate trafelate per correre dietro a mille cose, e poi la cena, e i bimbi a letto che non vogliono dormire, e arriva lui, nervoso, neanche ti guarda, si getta sulla cena e poi sprofonda sul sofà. Quante volte ci siamo trovati sul bordo di quella "piscina", accatastando desideri e progetti come legna da ardere tra le fiamme della delusione. E il cinismo a farti la corte, perché non cedere alle sue lusinghe? in fondo è l'unico con cui ci intendiamo. E questa solitudine acida che corrode ogni speranza: "La vita dell'uomo si svolge laggiù, tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. E' un fastidio alla fine, Melete. C'è una burrasca che rinnova le campagne - nè la morte nè i grandi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo di star vivi d'ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come le mosche d'estate - quest'è il vivere che taglia le gambe. Melete" (Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò). Siamo soli, con la fatica di parlare e discutere ancora una volta con chi non ci ha mai aiutato perché non poteva essendo debole come noi... E il fastidio di non riuscire mai ad immergersi nell'occasione giusta. Proprio nel momento in cui "l'angelo agita le acque", quando la predicazione, la preghiera, un'ispirazione sembrano "smuovere" l'apatia dei giorni, la routine mesta del matrimonio, l'abitudine ai silenzi con figli e colleghi, "qualcun altro arriva prima", con una menzogna, un'illusione, la paura e il peso del passato, e niente, non ce la facciamo, e le acque tornano alle stesse mancanze. Ma c'è questo tempo che ci consegna l'annuncio della svolta: digiuno, elemosina, preghiera, ovvero fame, povertà e speranze, la Quaresima ci proietta la clip della nostra vita, sino a questo istante. Giusto "trentotto anni", o cinquanta, o diciotto; non un giorno in più, non un anno in meno. Oggi, perché è qui che la clip ha un sussulto, un volto di luce e una parola. Qualcuno ti ha "visto", si è accorto e si preoccupa di te perché "sa che stai così da molto tempo": "Vuoi guarire?". Sei paralitico, ma non è per questo che sei nato; l'incapacità di avvicinarti all'altro e donarti a lui è una malattia, si può guarire. Benedetta domanda che libera la speranza dalle catene del cinismo! Così oggi Gesù ti dichiara il suo amore, innescando in te il desiderio di Lui ormai seccato come le tue membra. Di colpo si illumina tutto il passato, e non era quello che il demonio ci ha raccontato. Se il paralitico avesse avuto "qualcuno ad immergerlo", non avrebbe incontrato il Signore. Non avrebbe ascoltato la sua voce. Si sarebbe immerso, forse sarebbe guarito, avrebbe trovato lavoro, una casa, un fidanzato, un bel matrimonio, un po' di salute, uno stipendio adeguato, non avrebbe perso il padre da piccolo, niente violenze, avrebbe studiato e si sarebbe laureato, sarebbe un pochino più bello e presentabile, la sua famiglia non sarebbe stata così povera, non avrebbe subito l'ombra del fratello maggiore. Non sarebbe stato crocifisso trentotto anni. Non avrebbe conosciuto il Signore. E non sarebbe stato felice. La Croce, il lettuccio dove hai disteso sino ad ora la tua vita, proprio tutta la tua storia che ti è sembrata così grigia ed inutile, con le frustrazioni, la solitudine, il fastidio e la fatica di vivere, tutto è stato per incontrare Lui, la "porta" attraverso la quale entrare e trovare il pascolo della vita eterna. Il lettuccio roso dai tarli del giudizio, dell'invidia, della concupiscenza e di ogni peccato è il talamo preparato alla misericordia di Dio. Il fallimento umano, infatti, è il corteggiamento di Gesù: per vincere orgoglio e resistenze, riconoscere che siamo paralitici perché abbiamo creduto al demonio che ci ha schiacciati nella paura, e lasciarci amare da Lui. E' Gesù la piscina dove non è necessario che qualcuno ci immerga; le sue ferite sono per te, nessuno può passarti avanti. "Alzati, risorgi, prendi il tuo lettuccio e cammina": è qui la novità, il segreto, la rivoluzione. Gesù ci guarisce per "incominciare a camminare" in una vita nuova, in un percorso di conversione quotidiano per "non peccare più", aggrappati nella comunione della Chiesa alla Parola e ai sacramenti. Chi ha conosciuto la gratuità dell'amore di Dio sa che tornare a dar credito al demonio e peccare, sarebbe l'accadere di "qualcosa di peggio" della paralisi, ovvero precipitare all'inferno. Per questo Gesù ci invia nella storia facendo ogni istante memoria del suo amore, per non dimenticare da dove ci ha tratto. I cristiani non elaborano il passato come fosse un lutto, anzi, vivono il presente come il frutto della misericordia di Dio che ha irrorato misteriosamente ogni istante sino ad oggi, e "prendendo il lettuccio" dove hanno sperimentato la Gloria della sua vittoria sul peccato. La vita diviene così una missione, per testimoniare l'amore gratuito di Cristo a chiunque è chiuso nell'orgoglio e crede che la salvezza sia un peccato, e che per questo tenterà di strapparci alla Grazia per schiacciarci con i moralismi; ad annunciare a tutti che Cristo ha compiuto il "sabato" e ogni iota della Legge deposto con noi nella tomba per farci risorgere e così imparare a camminare nella fatica e nel fastidio di vivere, portando la Croce che tutti rifiutano. Forse saremo soli, senza nessuno che si accorga di noi per aiutarci, perché, senza esigere e aspettarci nulla, saremo noi ad immergere ogni paralitico che ci è accanto, nella misericordia di Cristo incarnata in noi.
28 NOV 2016 · AVVENTO E' CADERE TRA LE BRACCIA FORTI E SICURE DELLA VERITA' FATTA CARNE PER NOI
Avvento è anche e soprattutto lasciarsi cadere in quello che per il mondo è il vuoto, ma per chi ha imparato a conoscere Cristo è invece il suo amore infinito che, proprio sotto di noi, ci aspetta per accoglierci e abbracciarci. Avvento è camminare nella Chiesa per imparare a gettarci nella Grazia come ha fatto la Vergine Maria, Immacolata Concezione, nata cioè senza peccato originale, e per questo libera, felice della sua vita, senza mai desiderare di essere un millimetro più a destra, sinistra, avanti o indietro del posto nel quale Dio l'aveva messa. Ecco il segreto di Maria che al Padre piace di rivelare a ciascuno di noi, quello che profeti e re avrebbero voluto vedere e ascoltare e non hanno potuto: una persona felice come e dove è, con quella storia lì, suocera inclusa, forme e peso pure, carattere e malattie comprese, con ogni ingiustizia e sofferenza patita. Felice da esultare come e più che per un gol in finale di Champions League. Felice perché cadendo in ciò che mi ha fatto sempre paura - il vuoto sotto di me dipinto dal demonio come un orrido di frustrazione, dolore e morte - ho sperimentato la pienezza dell'amore di Dio. Non c'è altra felicità che scoprire il Paradiso laddove si era creduto fosse l'inferno, nella piccolezza che descrive autenticamente ciascuno di noi, accolta però nella grandezza infinita di Dio. La verità su noi stessi, infatti, è l'altra faccia della Verità su Dio, onnipotente perché capace di farsi più piccolo della nostra piccolezza per accoglierci e assorbirci nella sua grandezza. La Vergine Maria, fatta di terra ma già figlia del Cielo, lo ha vissuto ogni giorno, e per questo ci prende per mano durante i giorni di Avvento per condurci a sperimentare, un pochino alla volta, la bellezza di vivere qui sulla terra come in un anticipo di Cielo. Come? Convertendoci e "cadendo" dentro la realtà che ci umilia, per scoprire in essa la Verità che ci fa liberi per amare con l'amore che in essa ci abbraccia senza condizioni.
7 NOV 2016 · L'UMILE CONSAPEVOLEZZA DELLA NOSTRA PICCOLEZZA CONSENTE A CRISTO DI OPERARE IN NOI IL MIRACOLO DELLA FEDE CHE VINCE E SALVA IL MONDO
La Chiesa è nel mondo come “un gelso trapiantato e gettato nel mare”, rivela l’impossibile che va al di là delle leggi della natura. Come può un albero mettere radici nell’acqua? Non si è mai visto. Così il mondo, incontrando i discepoli di Cristo, si trova dinanzi allo spettacolo inedito di persone normalissime che vivono in un amore soprannaturale. Come può una moglie perdonare “sempre” – così suggerisce il numero “sette”, simbolo della pienezza – un marito che la tradisce continuamente e, “pentito”, torna immancabilmente da lei? Come possiamo noi ogni giorno, dimenticare, scusare, credere, coprire tutto? “Perché Tu, Dio, getterai nel mare più profondo le nostre colpe” (Mic 7, 19), il nostro uomo vecchio che scandalizza chi ci è accanto nelle acque del battesimo rinnovate nella Chiesa che ci amministra i sacramenti. Il Padre, infatti, ha compiuto in noi l’impossibile, liberandoci dal potere delle tenebre e rinnovando il miracolo della “fede” che ci “trapianta” nel regno del suo Figlio diletto, il “gelso” che ha steso le sue radici nel mare della morte, per elevarsi sino al cielo della vita. Come Lui, “sette volte al giorno”, dalle radici piantate nella nostra storia, assorbiamo dolore, tentazioni e morte, mentre dal Cielo riceviamo la sua vita. Ma il pericolo di cadere è sempre dietro l’angolo, e non si tratta di “aumentare” la fede”, ma di averla ricevuta in dono nella Chiesa, e di difenderla, "stando attenti a noi stessi" con la preghiera e l'aiuto dei pastori e dei fratelli. Ne basta un pizzico, come un “granello di senapa”, il più piccolo tra tutti i semi, ma che, divenuta adulta, accoglie i “piccoli” tra i suoi rami. Per questo abbiamo bisogno di ascoltare “sette volte”, sempre e di nuovo, l’annuncio del Vangelo, perché la fede viene dalla “stoltezza della predicazione”. Gli apostoli, quando predicavano, prima dell’annuncio della morte e resurrezione di Cristo, denunciavano sempre i peccati; “correggevano” chi ascoltava “sgridando” i loro demoni, come aveva fatto Gesù. Ogni “correzione”, infatti, è sempre un esorcismo pieno di amore, perché se non si smaschera la schiavitù scacciando l’aguzzino, il fratello non sarà coinvolto dalla Buona Notizia e non si potrà aprire al dono della fede. Per questo, lo “scandalo” che impedisce ai “piccoli” di entrare nel Regno, è la rinuncia alla “stoltezza” dell’annuncio in favore della sapienza mondana: “Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa. Quanta superbia, quanta autosufficienza!” (J. Ratzinger). “Guai” a chi spegne lo zelo per la salvezza delle anime! “Guai” a chi strozza il “grido” che illumina il peccato rendendo così vana la croce di Cristo e il suo perdono; saranno “gettati in mare” con al collo la stessa “pietra” che ha fatto “inciampare” i “piccoli”. Dove si è smarrito il perdono tutto diviene possibile, come negli scandali gravissimi che purtroppo coinvolgono anche i ministri della Chiesa. Ma “è inevitabile che avvengano”, perché siamo liberi e possiamo sempre cedere agli inganni del demonio. Tutti noi abbiamo scandalizzato, perché tutti ci siamo scandalizzati di Cristo. Con Pietro e i discepoli siamo scappati e abbiamo trascinato tante persone nel nostro tradimento. Ma non esiste peccato che non possa essere perdonato! Possiamo incontrare nella Chiesa il volto misericordioso del Signore che ci viene a cercare sulla riva dei nostri fallimenti, ci "rimprovera" per sperimentare il suo "perdono" che ci spinge ad amarlo, nonostante tutto.
5 NOV 2016 · IN CIELO SI ENTRA PER AMICIZIA. E CRISTO CON IL SUO SANGUE CI HA FATTO DIVENTARE I SUOI AMICI PIU' INTIMI
«Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?»: ripetendo con insistenza queste parole del Signore, Sant'Ignazio di Loyola fece di Francesco Saverio, un giovane studente ambizioso lanciato verso il successo, l'apostolo santo dell'Oriente. Astutamente, il demonio cancella sempre la data di scadenza sulla suadente e illusoria etichetta di «mammona», termine aramaico che designava il «patrimonio» ma anche un idolo cananeo cui andava l’adorazione dei pagani. Ma, attraverso la predicazione di Ignazio, come gocce d'acqua che lentamente riescono a corrodere anche il ferro, la Verità si insinuò nelle maglie fitte della menzogna, ed ebbe la meglio. Francesco non era nato per essere schiavo di un idolo, feticcio di qualunque «ricchezza» terrena che, per quanto si fosse sforzato, non gli sarebbe mai appartenuta. Dio, invece, lo chiamava ad accogliere quella che era «sua» da sempre, il Figlio diletto nel quale era stato amato e creato, e gli «affidava» il Vangelo, l'unica «ricchezza vera». Di certo, all'alba di quella fredda mattina di dicembre, i suoi innumerevoli «amici» erano tutti lì, ad «accoglierlo» sulla soglia delle «tende eterne». Non si era risparmiato, gli aveva dato tutto, perché tutto aveva vissuto in Cristo, senza cercare se stesso nelle relazioni, offrendo ogni suo bene. E ora moriva sulla spiaggia di un'isoletta alle porte della Cina, solo, dopo aver percorso instancabilmente l'Oriente intero per dieci anni. «Fedele nelle cose più piccole», rinnegandosi in ogni suo affetto, pensiero, desiderio, era stato per questo «fedele nella cosa più grande», Cristo e il suo Vangelo. Volti, storie, sofferenze, uomini e donne di ogni razza e condizione, ciascuno fu raggiunto dal fuoco d'amore che ardeva nel cuore di Francesco; in quel missionario avevano incontrato Cristo, la «ricchezza vera». La sua storia è l’esegesi più autentica del vangelo di oggi. In essa è profetizzata anche la nostra. Siamo chiamati come lui a farci tutto a tutti, spendendo la nostra vita per l'annuncio del Vangelo, e «procurarci» così una «lobby» di «amici» che, nell'anticamera del Paradiso, «faccia pressione» perché Dio ci «accolga». Marito, moglie, figli, amici, denaro, nel mondo sono «ricchezze inique», idoli come «mammona», che gli uomini amano divenendone schiavi. Per chi ha conosciuto Cristo tutto è vissuto nel fuoco della Croce, che arde purificando le idolatrie, dove i rapporti e i beni divengono occasioni per donarsi e non accaparrare, facendo così di ogni «ricchezza» un «tesoro celeste». Non importa se l’apparente successo dei farisei li spinge a «beffarsi» di Cristo e dei suoi discepoli; Lui «conosce i cuori»: se saranno colmi del suo amore, quando per il mondo tutto «verrà a mancare» per noi si schiuderanno le porte del Paradiso.
4 NOV 2016 · VIVERE SAPIENTEMENTE E' AMMINISTRARE OGNI GRAZIA RICEVUTA CONFIDANDO NELLA MISERICORDIA DI DIO CONSAPEVOLI DELLA PROPRIA DEBOLEZZA
«Che cos'è questo che sento dire di te?». Le voci dei fratelli ci «accusano» di aver «sperperato» e sottratto loro gli «averi» del Signore. Ad essi, infatti, spettava l’amore che Dio ci ha dato in «amministrazione». Invece di gestire con generosità i frutti del suo «giardino», abbiamo allungato la mano avidamente cercando di diventare ricchi come il padrone. Per questo «non possiamo più essere amministratori», «allontanati» da Lui e dai suoi averi. Ma imprevedibilmente, proprio quando dobbiamo «rendere conto», si schiude per noi la porta della conversione, quando ci accorgiamo che senza le «sostanze» di Dio da amministrare siamo nulla, incapaci di qualsiasi cosa. «Non abbiamo forze» per «zappare» un terreno che non darà mai il raccolto d’amore che solo Dio può concedere. Spogliati della nostra identità, ci «vergogniamo di mendicare» la dignità che solo Dio può donarci. Non abbiamo che una possibilità, ripartire da dove abbiamo fallito, dagli «averi» del Signore. Essendone stati amministratori ne abbiamo intuito l’immensa entità; nessuno ci «accuserà» se stavolta sapremo sottrarne qualcosa con la «scaltrezza» del mondo. I «figli della luce» si illudono di poter amministrare con giustizia, ma non tengono conto delle insidie della carne che possono trasformarli in «amministratori di ingiustizia». Accanto alla «semplicità delle colombe» occorre «l’astuzia dei serpenti», la «scaltrezza» «lodata» sorprendentemente da Dio.
Perché i denari non cadano nelle nostre avide tasche ma siano fecondi per tutti, essa ci insegna a fare come i «figli di questo mondo» usi ai favori illegali e interessati perché «i loro pari» contraccambino nel bisogno: ad essere generosi con i denari altrui, a disporre con magnanimità dei tesori di misericordia di Dio per riscattare noi stessi salvando anche gli altri. Non abbiamo molto tempo, restano i giorni che ci saranno concessi. La nostra missione coincide con la nostra conversione: confidare nella «ricchezza» del Signore e con le parole e i gesti aprire audacemente i suoi forzieri perché giunga ad ogni uomo il condono del proprio debito. Vivere nel miracolo della misericordia, possibile solo perché il Figlio ha coperto ogni ammanco: ci ha fatti suoi «amici» «chiamandoci a sedere» alla mensa del suo corpo e del suo sangue con i quali ha cancellato il nostro debito; risorgendo, ha preparato per noi una «casa» dove accoglierci tutti per l’eternità. Sì, ci ha scelti sapendo che siamo amministratori disonesti. Tutti! Ed è il grande mistero dell'elezione, di Davide e di ogni apostolo, che ha tradito spudoratamente. Ma proprio in questa parabola risplende il segreto di ogni vocazione, di presbitero, di vergine consacrata, di sposo e padre, di sposa e madre: innanzitutto accettare di essere deboli e inadatti alla missione; assumere umilmente la verità, che non potremo mai rifondere il debito delle nostre infedeltà, che, cioè, non saremo noi a riparare agli errori. Ma l'importante è essere sapienti, "scaltri" come lo sono quelli del mondo con le loro cose; e approfittare a mani basse della Grazia per rimettere i debiti di coloro che ci sono affidati. Non siamo noi il centro della missione, ma i tesori di misericordia di Dio. Con essi possiamo farci amici per il cielo, raggiungere ogni uomo per offrirgli la stessa nostra esperienza.
3 NOV 2016 · L'AMORE AUTENTICO CERCA E RAGGIUNGE CHI E' PERDUTO 'CARICANDONE SOFFERENZE E PECCATI
L'invidia corrode nella «mormorazione» i cuori superbi. Come i «farisei e gli scribi» mastichiamo amaro nel vedere qualcuno che riteniamo peggiore di noi gustare gioioso l’amore di Dio, che si «protende ad accogliere» «tutti» i peccatori gratuitamente. Con noi, invece, i conti si fanno diversamente; anche il perdono ha un prezzo, almeno la promessa di cambiare, per contraccambiare. Il «pareggio di bilancio» noi l’abbiamo approvato senza che ce lo imponesse l’Unione Europea... Ma Dio no, Lui ha sempre i conti in rosso. «Lascia» i guadagni sicuri di «novantanove pecore» e si lancia alla ricerca di una, una sola pecora che s'è smarrita. Probabilmente la peggiore, la più egoista, una di quelle che è meglio perderle che trovarle. E gioisce per lei, più che per le altre. È il folle cuore di Dio che non può rallegrarsi sino a che l’ultimo dei peccatori non sia stato «ritrovato» e «accolto». Nessuno di noi farebbe lo stesso. A scuola, nei posti di lavoro, tra gli amici, accade l’esatto contrario. Le teste calde sono espulse ancor prima di perdersi. Quando emerge quel difetto di tuo padre, o quel peccato di tua moglie, o quell'atteggiamento di tuo figlio, niente, è più forte di te, l'altro non lo possiamo "ricevere", ci è impossibile "mangiare con lui". Li disprezziamo, non abbiamo pazienza, figurati se riusciamo ad infilarci nella melma di letame nella quale il prossimo è caduto per prenderlo sulle nostre spalle. Non possiamo perché dimentichiamo che proprio i nostri peccati e le loro conseguenze ci hanno resi «unici» agli occhi di Dio... Il demonio riesce a rubarci la memoria dell'amore di Dio per noi, strappandoci la gratitudine per la sua misericordia.
Ma senza misericordia no party... Senza l'esperienza di essere stati cercati dal Signore e presi sulle sue spalle perché incapaci di tutto, e accolti nelle viscere rigeneratrici della Chiesa, saremo esigenti e moralisti; disprezzeremo gli altri perché schiavi del disprezzo di noi stessi. Senza "gioia" perché obbligati a lavorare con sudore senza conoscere il riposo della misericordia. Ma coraggio, ancora una volta proprio le ferite che ci ha inferto il demonio agli occhi di Dio sono il segno che ci assomiglia a suo Figlio! Credilo, anche se è assurdo per un cuore abituato all'esigenza. Credilo che Gesù si è lasciato ferire e sfigurare, sino a diventare un rifiuto degli uomini, per assomigliare a te. Noi non avremmo potuto far nulla per tornare ad essere immagine e somiglianza di Dio. Per questo, Dio si è infilato nella sporcizia che ci ha sfigurato per prenderci e tirarci fuori, lavarci nel suo sangue e farci assomigliare a Lui. Credilo, Lui è l'unico Pastore che ama tanto una pecora perduta come te e me da diventare come lei per farla diventare come Lui! Nella pecora smarrita della parabola, infatti, è adombrato Lui, l’Agnello di Dio, l’unico «perduto» nella morte per riscattare le altre novantanove che si credevano «giuste», mentre invece vagavano «sperdute» nel «deserto». Nel sepolcro il Padre ha «ritrovato» suo Figlio, lo ha risuscitato «prendendolo sulle sue spalle» e lo ha riportato «a casa»; qui, nella gioia straripante e coinvolgente della Pasqua, è apparso agli «amici» che lo avevano tradito con il perdono di ogni peccato nella carne, e li ha inviati ad annunciare ai «vicini» lo stesso perdono e la «conversione», la gioia di lasciarsi amare. Così la Chiesa è chiamata ogni giorno a «cercare» la «dramma perduta», il fratello più debole e difficile, che la carne vorrebbe dimenticare. Con la «lucerna» della fede accesa nelle tenebre della menzogna, possiamo «cercarlo con cura» e pazienza, senza temere di scendere dove lui è caduto, e sporcarci della stessa terra impura, per «spazzare» via la polvere e l’immondizia che il tempo perduto nei peccati ha lasciato in lui, perché Cristo possa far risplendere il suo volto.
6 JUN 2016 · BEATI NEL BEATO CHE HA VINTO LA MORTE E CI ATTIRA NELLA VITA NUOVA DEL CIELO GIA' QUI SULLA TERRA
Fratelli, è un lunedì meraviglioso; il Signore ci ama infinitamente, per questo ci dona di cominciare questa settimana con il compimento nella nostra vita del Mistero ineffabile che abbiamo celebrato ieri. Così questo lunedì diventa il prototipo di ogni lunedì, di ogni nuovo inizio della nostra vita, dopo una confessione o un'eucarestia ad esempio; oggi, infatti il Signore ci annuncia che siamo “beati”. Attenzione, siamo "beati" per ciò che viviamo nel presente al quale è già legato indissolubilmente quello che gusteremo nel futuro. "Beati", dunque, in questo momento, che abbraccia il presente qui sulla terra e il futuro nel Cielo, a cui possiamo credere proprio perché ne possiamo pregustare già qui la "beatitudine". Essere "beati" allora non è solo una promessa, ma è la nostra identità autentica, ed è anche la missione alla quale ci chiama. Sì, perché la “beatitudine” è, soprattutto, un “invio” a vivere quello che siamo, ad annunciare e a testimoniare la “beatitudine” che Cristo compie in noi nella Chiesa.
“In ebraico la parola “ashrei” – felice – tradotta con "beato", non allude a sentimenti, sensazioni, stati d'animo, nemmeno a tranquillità e appagamento. Indica, invece, un “dinamismo”, tanto che la parola “beato” si potrebbe tradurre con "cammino rinnovato in ogni momento" (M. Vidal). La tradizione ebraica ha compreso le Dieci Parole ricevute sul Sinai - i "comandamenti" - come il "cammino" della vita: terminano infatti con "Fa questo", ovvero, cammina così, “e avrai la vita”. Su un’altra montagna, quella che s'innalza dolce dalle rive del lago di Tiberiade, in piena Galilea immagine della terra di missione, e sulla quale il Signore risorto ha dato appuntamento ai suoi apostoli per inviarli ad annunciare il Vangelo, Gesù ha consegnato alla Chiesa sua Sposa il famoso Discorso in cui è tracciato il cammino della Nuova Alleanza; e l'ouverture che ne sintetizza i contenuti è composta proprio con le note delle “beatitudini”.
Oggi la Chiesa, nella quale il Signore "è tutti i giorni" con i discepoli, le consegna anche a noi, già compiute su un altro monte, il Golgota; sulla Croce, infatti, Gesù ha inciso con il suo sangue ogni “povertà di spirito”, “afflizione”, “fame di sete e giustizia”, “persecuzione a causa della giustizia”, “insulto” e “calunnia”, offrendo con “mitezza” ai suoi assassini la “misericordia” e la "pace” nel suo corpo; per questo ha ricevuto la “grande ricompensa” della resurrezione, la porta spalancata sull’autentica “terra” promessa, il Regno dei Cielo nel quale si è “saziato” di “consolazioni” nel “vedere” di nuovo il volto del Padre. Fratelli, Gesù è il “Figlio di Dio” che ha “ereditato” per noi il destino eterno di felicità che ci offre gratuitamente nella Chiesa attraverso la “misericordia” che ci rigenera per vivere secondo la volontà di Dio, cioè “beati”. Fratelli, Cristo è risorto, primizia dei “beati”!
Entrando con Lui nella morte anche noi sperimenteremo, oggi, la sua stessa “beatitudine”. Non ce ne sono altre, perché nessuna di quelle che offre il mondo, nessuna di quelle che oggi speriamo è incorruttibile. Che vuoi, guarire da una malattia? E chi non lo vorrebbe, e a volte Dio ce lo concede. Ma ci riammaleremo di nuovo. Se però nella malattia che ti “affligge” sperimenti già la “consolazione” di Cristo, che cioè è con-la tua solitudine e, abbracciandoti, ti fa distendere sulla Croce che “purifica” il tuo “cuore” da ogni menzogna del demonio per “vedere” il Padre tra le piaghe e i dolori, allora questa è la “beatitudine” vera, che non sfugge dalle mani, mai.
Come quella di due fidanzati che possono sperimentare le primizie del “Regno dei Cieli” nel pudore, nella libertà, nella sincerità, nel rispetto e nella castità in cui imparano il dono reciproco, mentre sono “perseguitati a causa della giustizia” del mondo e della carne che li vorrebbe sottomettere alla dittatura del desiderio.
Come quella di due sposi che, “operando la pace” donata loro da Cristo risorto nel perdono che prende su di sé il peccato dell’altro, fosse anche un tradimento, sperimentano la libertà senza limiti dei “figli di Dio” che non hanno nulla da difendere perché vivono già l'anticipo della vita celeste che è l'amore di Cristo che distrugge le barriere del peccato e della morte. Come quella di chi, “ammansiti", cioè resi "miti" e senza pretese dinanzi alla storia e ai fratelli attraverso gli eventi dolorosi e difficili accettati perché illuminati nella Chiesa, "ereditano" in tutto e in tutti la "Terra" dove gustare il latte e il miele dell'amore e della misericordia di Dio.
Allora coraggio fratelli, siamo "beati", soprattutto quando "tutti" - anche chi ci è accanto ingannato dal demonio - ci ritengono dei “miserabili”, ovvero dei “pitocchi” e “rannicchiati per lo spavento” (secondo l’originale greco tradotto con “poveri”), cioè vigliacchi e inutili per aver creduto a Cristo e consegnato a Lui la vita. Per questo "insulteranno" noi e i nostri figli al lavoro e a scuola, e "ci perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di noi per causa” sua. Ma sarà proprio in quei momenti che gusteremo sino in fondo la “beatitudine” che sa di Paradiso, così soave da farci “esultare”, come i martiri durante il supplizio. Sì fratelli, perché la “fame di giustizia” che muove alla violenza il mondo dominato da satana e dalla sua ingiustizia, in noi è stata “saziata” dalla Giustizia di Cristo che ci ha amati così tanto da perdonarci e ricrearci in Lui; e ci ha fatto addirittura degni di assomigliargli nelle sofferenze, per ricevere nel Cielo - a cui crediamo e che attendiamo perché nella Chiesa ne stiamo pregustando l'amore - la sua stessa “ricompensa”, ovvero la vita eterna nell'eterna beatitudine. Per questo oggi saremo “beati”, cioè “profeti” che, dalla Croce che tutti sfuggono, annunciano la Terra che tutti desiderano, il Regno preparato per ogni uomo le cui primizie risplendono in noi. Non dobbiamo far nulla, solo essere quello che siamo, rinnovati, sostenuti e guidati dalla Chiesa, entrando in questo lunedì così come si presenterà, accomodandoci all'ultimo posto, il più vicino al Cielo, dove c'è già Cristo, la nostra "beatitudine".
3 MAY 2016 · Dal Vangelo secondo Giovanni 16,12-15.
"Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà".
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IL PESO DELLA VERITA'
La Verità "pesa". La conoscenza della verità, infatti, spesso è un peso difficile da portare, anche perché oggi è considerata un deragliamento verso il fondamentalismo intollerante che attenta alla libertà altrui: "La non verità, il restare lontani dalla verità, sarebbe per l’uomo meglio della verità. Non è la verità a liberarlo, anzi egli dovrebbe piuttosto esserne liberato. L’uomo sta a suo agio più nelle tenebre che nella luce; la fede non è un bel dono del buon Dio, ma piuttosto una maledizione. Stando così le cose, come dalla fede potrebbe provenire gioia? Chi potrebbe avere addirittura il coraggio di trasmettere la fede ad altri? Essa sembra essere piuttosto il guscio della soggettività, in cui l’uomo può sfuggire alla realtà e nascondersi ad essa." (Joseph Ratzinger).
Occorre vivere secondo coscienza, ci viene ripetuto. Scriveva J.G.Fichte: “La coscienza non erra mai e non può mai errare”, poiché è “essa stessa giudice di ogni convinzione, non conosce alcun giudice sopra di sé”. La coscienza decide in ultima istanza, ed è per natura inappellabile: "dal momento che i giudizi di coscienza si contraddicono, ci sarebbe dunque solo una verità del soggetto, che si ridurrebbe alla sua sincerità... la coscienza è l’istanza che ci dispensa dalla verità e si trasforma nella giustificazione della soggettività, che non si lascia più mettere in questione, così come nella giustificazione del conformismo sociale, che, come minimo denominatore comune tra le diverse soggettività, ha il compito di rendere possibile la vita nella società" (J. Ratzinger).
Si tratta anche della nostra esperienza, la superficialità del "carpe diem", del cogliere l'attimo, rinunciando alla possibilità di conoscere la verità. La "dittatura della coscienza", lungi dall'aver liberato l'uomo, lo costringe a nuove e più schiavizzanti catalogazioni, alla sottomissione a marchi ideologici indelebili. Li vedete i nostri figli? E il pensiero unico che rimbalza ovunque? Non ci "pesa" dirci cristiani, con parole e gesti? L'ambiente circostante, infatti, prima ti assorbe e poi si trasforma in uno spietato aguzzino che esige la coerenza del proprio status, pena il rifiuto, l'esclusione e l'espulsione.
Quando si cade - fumando una sigaretta o mangiandoti una bistecca alla brace - infrangendo le dure regole tracciate dalla "tolleranza che non tollera" sbandamenti da quanto ha stabilito sia tollerabile, è già troppo tardi, non si hanno vie d'uscita. Di norma l'intollerabile del tollerante è Gesù Cristo e coloro che gli appartengono. La coscienza collettiva moderna tollera tutto, ma non la Croce. La tolleranza intollerante è l'abito culturale indossato dall'Anticristo, l'anti-verità: "Il Cristo col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi” (Vladimir Sergeevic Solovev). L'Anticristo aborriva “l'assoluta unicità” di Cristo: "Egli è uno dei tanti; o meglio è stato il mio precursore, perché il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile all’uomo d’oggi". E non accettava che Cristo fosse vivo: “Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto. È marcito, è marcito nel sepolcro...”. La "coscienza tollerante" moderna parte da qui: Cristo è marcito nel sepolcro, e con Lui ogni pretesa di verità. Per questo essa diviene un peso difficile da portare e l'uomo, nella sua debolezza, preferisce disfarsene.
Ma non è così! La verità non è marcita nel sepolcro! Lo Spirito Santo effuso nei nostri cuori ce la svela compiendola, perché Egli insegna difendendo, perdonando. La verità tutta intera è essenzialmente perdono, quello che il mondo non conosce, la salvezza che l'Anticristo, il padre della menzogna, vuole sottrarre all'umanità. In ebraico la parola verità è 'emet, derivato dalla stessa radice da cui la parola fede. La radice 'mn ha il significato fondamentale di sicuro, attendibile, capace di portare un peso. In questa luce si comprendono le parole di Gesù: è la stessa verità che porta il suo stesso peso. E' la verità che, svelandosi, porta la sua drammatica e liberante oggettività. In altre parole significa che mentre il peccato è smascherato appare simultaneamente il perdono capace di distruggerlo e di consegnare la possibilità di una vita nuova.
Quando nella Chiesa incontriamo il Signore, quando Egli prende dimora in noi attraverso il suo Spirito, si svela anche tutto ciò che non gli appartiene, come quando si accende la luce in una stanza. Ma in quella stanza piena di disordine, polvere e spazzatura che è la nostra vita c'è anche Lui con il suo perdono. Apparendo accanto a Cristo e come suo nemico, il peccato si manifesta allora come il nostro stesso nemico; da esso lo Spirito Santo ci difende, come ha difeso il Signore nel Getsemani e sulla Croce.
Per questo la "verità tutta intera" alla quale conduce lo Spirito Santo è capace di liberare davvero strappandoci dalla menzogna che ci tiene schiavi perché, rivelando la Verità, la estirpa alla radice. Scriveva Sant'Agostino che "Non c’è vera confessione dei peccati che non sia lode di Dio, non c’è vera lode di Dio che non sia anche confessione dei peccati. "Non si ha nessuna pia e salutare confessione dei peccati se non si rende lode a Dio con il cuore, o anche con la bocca e la parola" (S. Agostino). Nella confessione dei propri peccati l'uomo può dar gloria a Dio, può portare "il peso" (significato del termine "gloria") della Verità perché ne diviene partecipe per aver ricevuto lo Spirito Santo. Confessare i peccati, infatti, è testimoniare il suo amore, il "mio" di Gesù che lo Spirito "prende" da Lui per annunciarlo ai suoi discepoli e a ciascuno di noi. Così, attraverso la predicazione della Chiesa, il Paraclito ci difende e consola annunciandoci e compiendo in noi "quanto è proprio del Padre", ovvero il suo perdono rigenerante rivelato nel Figlio.
Che meraviglia! Sai quali sono le "cose future" che lo Spirito vuole annunciarti? Che in ogni istante Dio ti ama e fa di te un figlio unico e irripetibile, nonostante le debolezze e contraddizioni: "Proprio questo è il dramma dello Spirito Santo, il dramma della Chiesa e anche il nostro: lo sforzo di trarre lo Spirito dal fango. E non è rifuggendo il fango che ci facciamo Spirito, ma solo sopportando il fango che è in noi e negli altri; sottoponendolo alla nuova forza vitale, al respiro di Gesù Cristo, nello Spirito Santo che ancora oggi trasforma il mondo." (J. Ratzinger).
2 MAY 2016 · Dal Vangelo secondo Giovanni 14,6-14
In quel tempo, Gesù disse a Tommaso: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”.
Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.
Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò”.
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VEDERE IL VOLTO DEL DIO VERO SPLENDERE NELLA COMUNIONE DELLA CHIESA
I nostri occhi cercano il Padre: "Se quello che i mortali desiderano potesse avverarsi, per prima cosa vorrei il ritorno del padre": così Telemaco, il figlio di Ulisse, testimoniava nell'Odissea l'angoscia di un figlio alla ricerca di suo padre. In fondo la vita non vi e' altro che l'attesa di nostro Padre, e ogni atto che compiamo nasconde l'esigenza insopprimibile. E' orfano chi non può vedere suo Padre. Abbiamo tutti un urgente bisogno di vedere il volto di nostro Padre, di conoscere le nostre radici, di scoprire un punto di appoggio per la nostra vita. La nostra e' una generazione di orfani cui e' stata preclusa la visione decisiva.
Come si può vivere senza Padre? Impossibile, devastante. Nella vita morale regna il caos del relativismo, ogni opinione diviene via, verita' e vita. L'esito e' sotto i nostri occhi. Morte, coniugata in aborto, droga, divorzio, anoressia, bulimia... “Se l’occhio non fosse solare, non potrebbe riconoscere il sole” (Goethe). Il processo che conduce alla conoscenza del Padre e' un processo vitale di assimilazione, un catecumenato, nel quale, passo dopo passo, il catecumeno giungeva ad accogliere in pienezza l'elezione ad essere cristiano, e, come San Francesco, poteva spogliarsi dell'uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e rivestire l'uomo nuovo, il figlio di Dio: «Non avete ricevuto uno spirito di schiavitu', per ricadere nel timore, ma uno spirito che vi rende figli, col quale gridiamo: Abba, Padre!» (Rm 8,15).
Il figlio e' libero, ha imparato a vedere il Padre attraverso la sofferenza che sorge dai passi della propria storia, quelli che conducono, a poco a poco, come in un catecumenato, a compiere la volonta' di Dio. Vedere il Padre e' vedere Cristo, l'unico che ha compiuto la volontà di Dio. Vederlo e' imparare da Lui, lasciarsi attirare nella sua stessa vita che ci trascina nel passaggio dalla morte alla vita attraverso le ferite della Croce. Gesu' e' via, verità e vita, perche' percorre per noi e con noi la via dolorosa, quella che attende ogni giorno i nostri passi. Verità e vita perche' via autentica, che non rigetta nessuna sofferenza, che conduce al luogo che Lui ci ha preparato, l'intimita' incorruttibile con la fonte della vita eterna, l'intimita' con nostro Padre.
Con Gesù nella Chiesa si impara ad essere figli e ad obbedire dalle cose che patiamo, passando dall'infantilismo che fa "del proprio “piacere” la misura ultima del bene e del male", alla maturita' di chi puo' soffrire per compiere il bene autentico. Gesu' e' via, verita' e vita perche' ci insegna a vivere nel Getsemani, il luogo dove scaturisce, puro e abbandonato, il grido liberante: "Abba', Padre! Tutto ti è possibile, allontana da me questo calice! Non però quello che io voglio, ma quello che tu vuoi". Vedere il Padre con gli stessi occhi di Cristo, il nostro sguardo nello sguardo di Lui, nel quotidiano Getsemani che costituisce la nostra vita. I rapporti con i genitori, con il coniuge, con il figlio, con il fidanzato, con gli amici. La sessualità e lo studio, il lavoro e lo svago, tutto vissuto come figli nel Figlio, smettendo di "pensare la vita in termini infantili, quasi fosse un paradiso terrestre dove tutto è facile, senza fatica, dove nulla è richiesto".
Vedere il Padre ci basta, perchè è sapere che esiste una volontà buona, giusta, bella e piena per la propria vita, ed essa coincide con il dono totale di sè. Vedere il Padre è non appropriarsi di nulla e nessuno, è rispettare e accogliere chi ci è vicino. Vedere il Padre è lasciarsi ferire dall'amore che nulla esige per sè ma tutto dona. Vedere il Padre è sapersi amati oltre ogni morte e dolore, di un amore più forte di qualunque peccato.
Vedere il Figlio è dunque vedere il Padre, e questo è quanto basta ad ogni uomo per essere felice, in qualunque circostanza. Ed il volto di Cristo si incarna pienamente nella Chiesa, corpo vivente e visibile del Signore. Così chiunque fissi e guardi la Chiesa può vedere Gesù, e, in Lui, il Padre, l'approdo di ogni vita, il destino di ogni uomo. La missione della Chiesa, e di ciascuno di noi, non è dunque altro che essere quello che già siamo, per incendiare il mondo con la luce di Cristo. Essere suoi. Essere uno con Lui. Rimanere nel suo amore. Che Dio ce lo conceda, è questa davvero la Grazia più grande da implorare al Padre nel nome di Cristo: lo Spirito Santo che ci faccia intimi a Gesù, una sola carne e un solo spirito con Lui.
Per noi, per il mondo. Perchè i figli, i genitori, gli amici, chiunque abbiamo a cuore possa vedere Dio, e credere in Lui. Quante volte soffriamo, ci scoraggiamo, perchè gli altri non si accorgono di Dio, non ne vogliono sapere. Certo, ognuno è libero, ma per esserlo davvero una volta almeno nella vita deve poter vedere Dio, toccare il suo amore. Poi potrà rifiutarlo. Per questo siamo stati chiamati nella Chiesa. Per questo prima di tutto, prima ancora che pregare per i figli, o per chiunque, è fondamentale chiedere a Dio d'essere suoi sino in fondo. E' l'evidenza di Dio in noi che aprirà al mondo lo sguardo su Dio.
E' questo il fondamento della missione della Chiesa, dell'educazione, della testimonianza, della nostra stessa esistenza: "È necessario che ogni cosa risalga alle sue origini. Perciò tra tante e tanto grandi chiese, unica è la prima fondata dagli apostoli e dalla quale derivano tutte le altre. Così tutte sono prime e tutte apostoliche, perché tutte sono una. La comunione di pace, la fraternità che le caratterizza, la vicendevole disponibilità dimostrano la loro unità. Titolo di queste prerogative è la medesima tradizione e il medesimo sacro legame. Che cosa poi gli apostoli abbiano predicato, cioè che cosa Cristo abbia loro rivelato, non può essere altrimenti provato che per mezzo delle chiese stesse che gli apostoli hanno fondato, e alle quali hanno predicato sia a viva voce, sia in seguito per mezzo di lettere" (Tertulliano, Sulla prescrizione degli eretici, 20, 1ss).
Esistiamo perche' Gesù possa prendere dimora in noi, e fare di noi, giorno dopo giorno, la comunione di pace e di vita eterna che, come una lettera viva, giunga al mondo intero. Lui il nostro luogo, e con Lui nel Padre, nostra eterna dimora. E noi sua dimora, qui ed ora, nella nostra carne, ed eternamente, in un vincolo d'amore che nulla e nessuno potrà mai distruggere. Anche oggi, e in ogni istante. Che Dio ce lo conceda, al di là di ogni ostacolo frapposto dalla nostra debolezza.
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